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Etica e alpinismo? un disastro!

Stiamo vivendo un rapido degrado del modo di pensare l’alpinismo guardando al futuro.

Basti pensare alle ultime vicende di Nirmal Purja – che dopo aver raggiunto le cime dei 14 ottomila utilizzando in ogni occasione (tranne sul Dhaulagiri) l’ossigeno supplementare, i trasporti in elicottero e ogni altro sussidio – ha portato in cima all’Ama Dablam un bandierone di 100 metri (per il quale è anche sotto investigazione) il tutto per coprirsi di sponsor e di dollari.

Già da diversi anni le montagne più alte sono preda delle spedizioni commerciali che, con il solo obbiettivo del ricavo economico, massimizzano le entrate con gruppi numerosissimi (anche di 80 alpinisti al K2) e minimizzano le spese sottopagando gli sherpa, ai quali sarebbe più corretto a questo punto cambiare il nome in “schiavi”.

Ora ci mancava la spedizione di Simone Moro e Tamara Lunger, che hanno deciso di utilizzare un acclimatamento artificiale in camera ipobarica seguendo un protocollo molto “raffinato” per prepararsi ai Gasherbrum in invernale. In passato altri alpinisti (tra cui Kilian Jornet per l’Everest o Adam Bielecki per il K2 invernale) avevano usato in allenamento maschere ipossiche.

Ormai non c’è più limite: andare in montagna segue delle logiche che nulla hanno più a che vedere con l’“Alpinismo”. Che cosa dobbiamo aspettarci nei prossimi anni? Magari fra un po’ si arriverà in elicottero sotto la cima e si saliranno solo gli ultimi 500 metri. Intanto, col denaro si può fare di tutto e magari anche morire perché si seguono delle logiche non naturali.

Certo, ci si nasconde dicendo che l’alpinismo non è uno sport e quindi non si può parlare di pratiche riconducibili al doping, sebbene in Italia per la legge sportiva l’uso della camera ipobarica è vietata non solo prima della gara, ma anche in allenamento. E fare certe cose sulle alte montagne in maniera continua e strutturata è come dire che Adam Ondra sale una via di 10a e una di 11a in meno di dieci minuti, ma con la corda dall’alto. Per fortuna l’arrampicata sportiva rientra nel mondo dello sport e almeno lì le regole sono chiare e ci sono i controlli antidoping. Nell’arrampicata in falesia già siamo nel limbo.

Oggi siamo arrivati a un vero e proprio circo sostenuto da media, social e sponsor. Non siamo più in montagna, siamo altrove. La domanda è: ci interessa questo alpinismo? A me sinceramente no e penso che anche molti altri siano della stessa idea.

L’alpinismo, per sopravvivere alla “maledizione” pronunciata da Messner già diversi anni fa quando diceva che “è morto”, deve rinnegare questi approcci e riscoprire le salite vere quelle di ricerca e di avventura.

Se fossi nelle aziende ci penserei due volte a sponsorizzare spedizioni così fuori da ogni etica corretta.

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