Alta quota

Simon Messner, alpinismo tra successi ed errori

Abbiamo incontrato Simon Messner a Venezia, sull’Isola di San Servolo, davanti al bivacco dedicato allo zio Günther, trasportato in laguna e trasformato, durante la Biennale d’arte, in contenitore di installazioni artistiche per merito di Salewa e dell’associazione ArtintheAlps.

Il ventinovenne Simon Messner, unico maschio e penultimo dei quattro figli di Reinhold, si è raccontato all’indomani delle prime salite compiute quest’estate in Pakistan su due seimila: l’ascensione solitaria del Geshot Peak/Toshe III (6200 metri), di fronte al Nanga Parbat, e il Black Tooth (6718 metri), cima secondaria della Muztagh Tower, in Karakorum, condivisa con Martin Sieberer.

Due prime che hanno consacrato il suo ingresso nell’alpinismo professionale oltre che nella squadra di un noto marchio di attrezzatura di montagna. Un ingresso volutamente tardivo, dettato da un approccio consapevole all’alpinismo d’alta quota, impostato sulla libertà di scelta. “Libertà è per me non dover andare a tutti i costi a misurarsi perché si deve dimostrare qualcosa, ma decidere da soli quando è il momento di farlo”.

Gentile, aperto e disponibile, Simon ha l’onore e l’onere di un grande nome da gestire:Il mio nome è e sarà sempre messo in relazione con quello di mio padre. E’ anche per questo che sento di voler fare qualcosa di leggermente diverso e cercare di arrampicare quando mi interessa farlo, non quando devo. Molti atleti devono partire per portare qualcosa a casa e pubblicare le ascensioni, io mi sento libero e questo è molto importante per me.” Anche per questo Simon ha deciso di muovere i suoi passi a cavallo tra due mondi, quello dell’alpinismo e quello del racconto per immagini, dedicandosi a girare documentari assieme al padre. “Ad oggi ne abbiamo realizzati una decina (in Mord am UnmöglichenMurder of the impossible, abbiamo inserito anche alcune riprese dell’avventura sul Black Tooth). Ci sono tante storie fantastiche nella cultura alpina e dobbiamo salvarle. Papà ce le raccontava da piccoli prima di andare a dormire. A me interessa passarle alle generazioni successive. L’alpinismo è una parte della mia attività, l’altra è la cultura, intesa come conoscenza delle storie della montagna. Questo mi consente di essere libero”.

Che cos’è per lui l’avventura? “Una parola difficile. Oggi dobbiamo guardarla in un modo diverso, non come cinquanta o cent’anni fa. La reale avventura, quella senza comunicazioni con la civiltà, non esiste più, perché abbiamo sempre con noi il telefono. E comunque anche se non lo portiamo con noi, non è più come una volta”.

C’è poi un altro aspetto, quello dell’esperienza, che matura con gli errori. Per Simon il primo approccio con le grandi montagne dell’Asia è avvenuto nel 2017, in Nepal, a Nord dell’Annapurna, sul Kangshar Kang assieme a Philipp Prünster: “L’idea venne perché mio padre ne aveva conservato una foto in qualcuno dei suoi diari e l’aveva messa sul tavolo della mia camera: C’era scritto: “still to make” e per molti anni ho cercato di tenerla a mente per capire se era possibile. L’abbiamo provata, ma siamo stati molto fortunati a sopravvivere. Una valanga ci ha travolti investendoci fino al petto, ma lasciando fortunatamente la testa fuori. Una seconda valanga ci ha portato via tutto il materiale che avevamo lasciato in alto come riserva. Così fummo costretti a rientrare nella civiltà. Sulla via del ritorno però siamo stati tentati da alcune belle pareti di granito di 5000 metri mai scalate e abbiamo deciso di provare almeno quelle. Pensavamo che, essendo buoni rocciatori avremmo almeno potuto padroneggiare queste, ma Philpp ha fatto un lungo volo perdendo conoscenza dopo aver sbattuto sulle rocce – temevo fosse morto – ed è stato difficile calarlo perché ero su una brutta sosta. Siamo stati veramente fortunati a sopravvivere e abbiamo imparato moltissimo da questa esperienza. E’ quando qualcosa non funziona che impari veramente”. Quindi più di un successo conta l’errore? “A volte la nostra società non ti permette di sbagliare, vuole solo vedere che tutto va bene e se raggiungi la cima ti applaudono. La spedizione del 2017 fu un totale fallimento, ma ci ha fatto crescere tantissimo”.

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3 Commenti

  1. Un altro bivacco storico piazzato a San Martino di Castrozza.Precisamente su aiola erbosa tra Via de Gasperi e via Cavallazza, ( visionabile col noto sito di navigazione su strade)con sagoma di alpinista d’antan in legno, cartello espositore e massi di dolomia e pinetti davanti. Ha i segni e la patina del tempo, non e’ stato riverniciato.Era sullaPala di San Martino ed e’stato rimpiazzato.Non era di quelli ad accesso facile vandalizzabili od occupabili come casetta vacanze di gruppo, estromettendo altri.Iniziative Encomiabili, sempre .

  2. Complimenti a Simon per essere quello che e’ e al papà per averlo spinto senza mai insistere. È una lezione di alpinismo e di vita che tutti dovremmo apprendere. A partire da me che a 45 anni ancora soffro dei fallimenti e non imparo !

    1. Il fatto di ammettere di fallire e di non imparare denota grande maturità e coraggio, dote che riconosco in pochissime persone.
      Messner, in quanto a doti rare, penso ne abbia un vasto assortimento, beato lui, io mi limito a osservare, da spettatore e mediocre “esploratore-escursionista-pseudoalpinista”.
      Buone montagne a tutti!

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