Introdurre un personaggio come Enrico Camanni è complesso per un giovane che, in fondo, cerca di seguirne le orme. Le sue come quelle di Roberto Mantovani o di altri loro compagni. Giovani ribelli della montagna, anticonformisti che si sono creati un mestiere, quello di giornalisti di montagna. Sono la storia loro. Sono l’insegnamento per i più giovani. Anche se oggi non è più come un tempo. Non è più come negli anni rivoluzionari. Oggi è tutto più complesso, tragico, anche se forse meno drammatico.
Per scoprirlo c’è il nuovo libro di Enrico, “Verso un nuovo mattino. La montagna e il tramonto dell’utopia”. Un testo disincantato, sincero, ribelle, contestatore. Uno specchio dei tempi sempre attuale raccontato in prima persona dal protagonista, ancora ribelle ma dai capelli più contenuti e meno selvaggi.
Perché hai scelto di raccontare la tua vita in un libro?
Ho scritto un sacco di libri dove io non c’ero. Libri che parlavano di cose che non vissuto. Nel caso del nuovo mattino però c’ero, l’ho vissuto. Così è nata la voglia di provare, dopo essermi confrontato con il mio editor, di provare a usare questo stile misto che incrocia l’autobiografia con il saggio letterario rendendolo molto più leggibile.
È stato un esperimento molto interessante, anche se difficile. Per questo con l’editor abbiamo dovuto lavorare a stretto contatto in modo da trovare il giusto equilibrio tra i vari aspetti.
In più, devo ammetterlo, mi sarebbe sembrato molto ipocrita parlare di cose che ho vissuto direttamente come fossi assente nella scena.
Sono tanti i momenti tragici in questo libro, ci sono tante storie intime come la perdita di un amico…
Il nuovo mattino, come dice anche la quarta di copertina, è una storia tragica. È una storia scanzonata, ma anche tragica. Molti non ci sono più e non sono certo morti nel loro letto a 90 anni. Non si può far finta di nulla e poi, in fondo, tutte le storie eroiche sono tragiche e romantiche.
Ma gli uomini del nuovo mattino erano contro gli eroismi…
Si, erano conto l’eroismo che gli ricordava i militari, le sacrestie, la vecchia montagna però non si può dire che questa non sia una storia romantica. Erano, e siamo, dei romantici. Il fatto che qualcuno sia morto giovane ci sta, fa parte della storia.
Cosa rimane oggi del nuovo mattino?
È una storia fuori tempo. Oggi non è più così. Ci sono altri canoni ispiratori, però rimane la passione per questa storia, anche nei giovani. Mi fa piacere vedere questo interesse da parte delle più giovani generazioni. Quando vado a presentare Le Alpi ribelli, che è una premessa a tutto questo, mi accorgo che tanti ne han sentito parlare. Dopodiché magari capita che hanno le idee confuse sul periodo e sugli accadimenti, ma una base esiste.
C’è anche da dire che è una storia che non è mai stata raccontata. Gobetti ne ha scritta una parte, solo dei frammenti. Gian Piero Motti invece l’ha vissuta, ma non l’ha raccontata. Io avevo realizzato un’antologia, che però è un’antologia.
Mancava il racconto e bisognava provare.
Leggendo le tue parole si scopre che non eravate poi tanto diversi dai giovani d’oggi, da quelli che provano a fare qualcosa, a realizzarsi. A cambiare è forse il substrato in cui vi muovevate, soprattutto quello economico…
È vero ed è vero che è facile fare la “rivoluzione” quando sai che una volta perso l’interesse puoi trovare più o meno facilmente un lavoro perché dietro hai comunque una situazione economica che non è quella attuale ma di quegli anni. Venivamo fuori dal boom economico e tutto sommato prima o poi un lavoro si trovava. Contestavamo la società ma sapevamo che quella società ci avrebbe consentito, prima o poi, di avere uno spazio.
Per me non è proprio andata così perché io non ho mai fatto il rivoluzionario. Io mi sentivo rivoluzionario, ma non condividevo assolutamente la violenza. A 18 anni sono entrato alla Rivista della Montagna e ho iniziato a lavorare, certo in nero, ma non erano i tempi di adesso.
Come sono i ragazzi di oggi?
Credo che siano esattamente come noi perché tutti i giovani devono essere ribelli. Anche i vecchi devono esserlo, ma i ragazzi di più (ride). La differenza tra noi e loro sta forse nel fatto che noi credevamo di poter cambiare il mondo, ne eravamo convinti. Oggi invece creano dei mondi paralleli che sono bellissimi, ma non credono più di poter cambiare le cose.
La montagna invece?
Ai tempi era un territorio ribelle dove anche quelli più ortodossi, andando in montagna, uscivano dal conformismo sociale. Facevano qualcosa di diverso. Oggi invece la montagna è sdoganata. Basta vedere come ci vestiamo. Abbiamo lo zainetto, le scarpe in Vibram e il Moncler. Ci siamo conformati, la montagna si è uniformata, è un dato di fatto. Andare in montagna all’epoca era un atteggiamento ribelle, se poi ci infilavi delle connotazioni rivoluzionarie allora diventava eversivo
Hai lasciato la Rivista della Montagna perché non si voleva innovare e così hai fondato Alp, cos’è cambiato da allora? Il mondo della montagna ha imparato a innovarsi?
Secondo me è cambiato pochissimo ed è rimasto sostanzialmente un mondo conformista, conservatore. Più conservatore che conformista perché in fondo, osservandolo, non è cambiato più di tanto in questi anni.
La vera differenza sta nel fatto che negli ani ’80 un ragazzo di 26 anni, con molta passione e un figlio in arrivo, poteva tentate l’avventura. Poteva farlo perché c’erano soldi. Non credo che oggi si possano trovare editori per fare un mensile e soprattutto per fare operazioni di quella portata. Sento che anche oggi ci sarebbe bisogno di un grande cambiamento, di un linguaggio nuovo, di qualcosa che ti tocchi il cuore, di qualcosa che ti faccia stupire. È chiaro che non lo si può più fare con le tecniche di allora. Ai tempi già la videoimpaginazione era qualcosa di visionario, oggi ne siamo sopraffatti. Oggi bisogna trovare altre tecniche
Il bisogno di innovazione resta sempre perché il mondo della montagna continua a rimanere conformista ed è brutto vedere che le spinte innovative arrivano sempre più da fuori che da dentro.
La legge di gravità , i pericolo oggettivi, funzionavano e funzionano tuttora in barba alle correnti di pensiero e mode, abbigliamento militare o fantasioso ..