Cronaca

Massimo Dell’Orso, ucciso da terremoto e burocrazia – di Stefano Ardito

Un’altra terribile notizia per chi ama i Monti Sibillini, sconvolti dai terremoti dell’estate e dell’autunno 2016. Nella notte tra il 30 aprile e il maggio, dopo un anno e mezzo di esilio sulla costa abruzzese, ha scelto di togliersi la vita, gettandosi dal terzo piano di un palazzo di Alba Adriatica un uomo molto conosciuto tra i frequentatori di Castelsantangelo sul Nera e di Visso.

Massimo Dell’Orso, 56 anni, gestiva il Centro Faunistico del Parco Nazionale dei Sibillini, tra Castelsantangelo e la frazione di Vallinfante. Per conto dell’area protetta collaborava con gli zoologi al lavoro. Si occupava del lupo Merlino, ospite dei recinti del Centro. E teneva d’occhio la colonia di cervi più importante del Parco, che vive nei boschi intorno alla frazione. 

Massimo Dell’Orso e Stefania Servili, foto Stefania Servili

Negli anni, con la moglie Stefania Servili, fotografa professionista che ha dedicato migliaia di scatti al massiccio, Massimo ha aperto tre piccoli bed & breakfast. Il terremoto del 30 ottobre del 2016 ha devastato Castelsantangelo e le sue frazioni, così come le vicine Visso, Preci e Norcia. 

Qualche settimane fa, insieme a Maria Cristina Garofalo, Dell’Orso ha pubblicato La notte della polvere, un libro autofinanziato dagli autori, e i cui proventi sono destinati al Parco per la ricostruzione del Centro Faunistico. Ma dietro a questo impegno per la rinascita delle sue montagne e dei loro borghi covava una depressione profonda. 

Nei mesi successivi al sisma, Massimo e Stefania, come tanti residenti dei borghi terremotati di Lazio, Abruzzo, Umbria e Marche, hanno fatto domanda per ottenere una delle SAE (Soluzioni Abitative di Emergenza, le “casette”). La domanda è stata accolta, e i due sono stati inseriti in lista d’attesa. 

Più tardi però, presentando la richiesta per delocalizzare i bed & breakfast, i due hanno dovuto rinunciare alla “casetta” e quindi alla possibilità di tornare a vivere in tempi brevi sui Sibillini. Al tempo stesso hanno perso il diritto di essere ospitati dallo Stato o di ricevere il CAS, il Contributo di Autonoma Sistemazione. E hanno dovuto trovare un nuovo alloggio a loro spese. 

Quando il 30 ottobre 2016 abbiamo varcato la soglia di un hotel di Tortoreto, stanchi e traumatizzati” ha scritto Stefania Servili ad aprile “pensavamo di fermarci solo una notte per cercare poi una sistemazione diversa e più vicina. Siamo rimasti quasi un anno e mezzo. Siamo stati accolti con affetto e circondati di premure. Poi ce ne siamo dovuti andare, vittime di una cieca burocrazia, lasciando tanti amici e un pezzo del nostro cuore”.

Visso dopo il terremoto del 2016, foto Stefano Ardito

Abbiamo pensato che l’iter per la delocalizzazione delle nostre attività fosse più veloce, invece ci siamo trovati in mezzo alla strada” ha raccontato Stefania Servili, dopo il suicidio del marito, a Chiara Gabrielli de Il Resto del Carlino.

Abbiamo chiesto informazioni sulla procedura, alla fine abbiamo scritto una lettera al commissario alla ricostruzione Paola De Micheli. Lei però ha risposto solo alla Regione Marche, per ribadire che le leggi sono quelle e vanno rispettate.” 

Il terremoto non è l’unica causa della morte di Massimo, ma ha condizionato moltissimo il suo stato d’animo. Lui amava la natura, era innamorato del Parco. Lontano, sulla costa, si sentiva un lupo in gabbia. “Non abbiamo scelto di rinunciare alla SAE, siamo stati costretti” continua Stefania Servili. 

Se fossimo stati in una “casetta” a Castelsantangelo, tutto questo non sarebbe successo. Ce lo devono avere sulla coscienza, mio marito. Non c’è la volontà di far rinascere il nostro territorio distrutto”. 

Dell’Orso è stato sepolto il 3 maggio, nel cimitero di Castelsantangelo sul Nera. Poi gli amici e la famiglia lo hanno salutato nella struttura polivalente del paese. “Massimo ci mancherà, ma sarà presente nella magia dei Sibillini, nei colori delle orchidee, nell’ululato del lupo” si legge nel comunicato del Parco. 

Ma la morte di Massimo Dell’Orso, e il dolore di Stefania Servili, meritano una risposta ufficiale. Esiste davvero la volontà di far tornare professionisti e imprenditori nei borghi devastati del Lazio, dell’Umbria, delle Marche e dell’Abruzzo. Oppure per restare, in una “casetta” o altrove, bisogna scegliere di farsi assistere e basta? 

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