Cronaca

Identificati i resti del soldato della Grande Guerra ritrovato sull’Adamello

I resti umani ritrovati oltre un secolo dopo la Grande Guerra a passo val di Fumo appartengono ad un alpino vittima di una valanga.

Nell’estate del 2016, una particolare scoperta avvenuta a quasi 3.000 metri di altitudine sull’Adamello, alle pendici occidentali del Corno di Cavento, scosse e incuriosì tutta la comunità alpina. Con l’arrivo della bella stagione, i ghiacci restituirono il corpo di un militare italiano, nazionalità desunta dai resti della divisa e dell’equipaggiamento, risalente al Primo Conflitto Mondiale. Nel corso dei mesi, diverse ipotesi vennero avanzate sulla provenienza del soggetto e sulle modalità della sua dipartita.

Le prime ipotesi vedevano il malcapitato soldato passare a miglior vita a causa di una rovinosa caduta in profondo crepaccio, congettura che in parte giustificava la locazione e le condizioni dei suoi resti. Solo grazie alle analisi approfondite e specialistiche portate avanti dal ritrovamento fino al presente però, è stato possibile stabilire senza ombra di dubbio l’identità del milite deceduto.  Ricostruire la storia di un individuo, disperso oltre che tra i ghiacci alpini, anche tra le pieghe di un’epoca così tumultuosa e scarseggiante di appigli di riferimento sicuri e attendibili, non è certamente una questione semplice. 

Al culmine di un progressivo avvicinamento alla verità, per mezzo di un’articolata ricerca storica e di numerosi test di varia natura condotti sul materiale ritrovato, la svolta decisiva è arrivata dall’analisi di alcuni documenti che il soldato, fino ad allora senza nome, portava con sé. 

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Parte dell’abito dell’alpino, in cui sono stati ritrovati i documenti, © L’Adigetto

Incredibile pensare che una catastrofe naturale, in grado di ridurre un essere umano letteralmente in frantumi, possa risparmiare qualcosa di tanto fragile ed effimero come dei consunti fogli di carta. Il soldato aveva appresso, ben conservata all’interno della giacca, una piccola sacca di tela, con all’interno i resti di alcuni documenti che lo riguardavano, tra cui delle cartoline in franchigia per la posta da campo e una ricevuta di spedizione ferroviaria risalente al 19 novembre 1915.

I residui dei documenti non erano ovviamente conservati in ottimo stato. Analisi con tecniche fotografiche e di elaborazione avanzate dell’immagine, hanno tuttavia permesso di ricostruire buona parte dei testi che riportavano all’epoca. Da tutto questo, nonché dalle ricerche storiche effettuate in seguito (molto più mirate, viste le nuove informazioni a disposizione, rispetto a quelle condotte in prima battuta), è emersa l’identità dell’ex soldato senza nome: si tratta di un alpino di nome Rodolfo Beretta, nato a Besana in Brianza, provincia di Milano, il 13 maggio 1886, morto l’8 novembre 1916 per la caduta di una valanga.

A diffondere la notizia è stato l’Ufficio beni archeologici della Soprintendenza per i beni culturali della Provincia di Trento.

Le analisi condotte sui resti poi, hanno evidenziato l’assenza di tracce, lesioni o ferite riconducibili ad un’attività bellica. Dettaglio che ha da subito indirizzato i ricercatori, è stato un pezzo di cavo telefonico annodato attorno al corpo, probabilmente utilizzato dagli alpini come corda di sicurezza. Questo ha contribuito ad accreditare l’ipotesi, poi verificata, che la morte del soldato fosse avvenuta a seguito di un evento naturale, come la caduta in un crepaccio, o una valanga.

Il prolungato studio dei resti da parte degli esperti ha consentito quindi di ricostruire la storia di questo compatriota caduto durante la Grande Guerra, esempio caratteristico e non unico di un passato storico ricco, ma tristemente martoriato dai conflitti.

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Un commento

  1. Infatti allora non era ancora in uso la medaglietta con i dati incisi nel metallo.Soltanto una scatoletta di latta in due parti ad incastro simile a quella delle mentine, con all’interno un foglietto scritto a penna contenente i dati anagrafici .Chi la propose evidentemente non ne aveva mai fatto un collaudo, specie per lo schiacciamento , la deformazione, le infiltrazioni di acqua.
    Lo aveva deciso “un’autorita’ “e cio’ bastava.Anzi, non avevano neppure, agli inizi, l’elmetto di acciaio.Gia’ tanto che avessero adottato le uniformi mimetiche grigioverdi, al posto di piu’ eleganti divise da battaglia rosse, bianche, con cappelloni ed inserti colorati utili come bersaglio.

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