Alpinismo

Nanga Parbat, fermo il nuovo “tentativo di soccorso” a Tomek

Il padre di Tomek Mackiewicz, fin dal rientro di Elisabeth Revol a Islamabad e poi in Francia, ha espresso con forza il desiderio di capire e sapere se suo figlio sia morto.

Per fare questo ha affidato la sua rabbiosa reazione a un gruppo editoriale polacco che ha deciso di supportarlo. La prima reazione della moglie di Tomek, informata dell’iniziativa di coinvolgere istituzioni, privati, servizi segreti e faccendieri, è stata una dichiarazione al Gruppo di Soccorso internazionale, al quale lei stessa ha partecipato pubblicamente e che pacatamente l’altro ieri ha ringraziato, che diceva che i rapporti tra Tomek e suo padre erano sporadici e che da mesi non si vedevano. Ma il sangue non è acqua.

E dunque Mr Mackiewicz senior si è affidato a un gruppo organizzativo che ha tentato di assoldare qualche esperto internazionale di Nanga Parbat e di invernali, primo fra tutti Daniele Nardi, il quale dopo 24 ore di tormento ha ragionevolmente declinato l’invito.

Nel frattempo pareva che un gruppetto di alpinisti polacchi fosse disposto a partire ma, come molti sanno per entrare in Pakistan serve un visto rilasciato dall’Ambasciata Pakistana del paese di origine. Senza il visto le compagnie aeree non ti fanno nemmeno salire sull’aereo.

All Muhammad Saltoro, capo dell’agenzia di Tomek ed Elisabeth, viene da giorni inseguito dai parenti paterni affinché organizzi una squadra per raggiungere a 7280 metri il povero Tomek.

Vengono persino pubblicate, anche in Italia, delle fotografie spacciate per quelle di vetta e per le ultime di Tomek (ma del giorno precedente al tentativo), già vecchie e anche un poco ridicole, se non fosse che danno il tragico segno della follia che di nuovo in questi giorni sta imperversando insieme al vento ed alle bufere attorno al Nanga Parbat.

L’altro ieri Ali Muhammad, dopo essersi molto agitato e aver messo insieme persino una squadra, anche con il supporto di un’altra agenzia pakistana specializzata nella regione del Nanga, ha scritto all’organizzatore del soccorso bis che se ne sta in Polonia: 

 Caro Jarek,

Grazie per la tua e-mail relativa alla potenziale missione di salvataggio per Nanga Parbat, prevediamo le seguenti sfide e difficoltà:

  1. Maltempo previsto nel mese di febbraio;
    2. Necessità di sofisticate attrezzature per l’arrampicata e attrezzature invernali per una montagna come il Nanga Parbat;
    3. Come detto sopra, il previsto peggioramento delle condizioni meteorologiche e il ghiaccio blu tra il campo 2 e il campo 3, sulla parete Kinshofer, rendono molto difficile la scalata;
    4. La potenziale squadra di soccorso degli scalatori locali deve sistemare le corde fino al campo 4 e sarà necessario allestire quattro campi; per fare tutto questo ci vuole molto tempo, energia, personale e altre risorse, comprese le finanze.
  2. A causa della forte nevicata, la localizzazione di Tomek è una sfida molto scoraggiante;
    6. Almeno sei persone sono necessarie per portare Tomek al campo base;

Tenendo in considerazione i fattori gravi di cui sopra, ci sono minime probabilità di successo di questa potenziale missione di salvataggio.
Quindi, purtroppo, siamo dispiaciuti di dover rinunciare a svolgere questo “compito erculeo” quest’inverno e soprattutto in condizioni così estreme.

Molte grazie e cordiali saluti

Hassan Jan, che vediamo in una foto diffusa del gruppo pakistano di soccorso (foto in alto), è troppo esperto come alpinista e come uomo, era con la spedizione K2 2014 in vetta, è amico sincero di un alpinista e guida alpina seria come Michele Cucchi, che gli è stato istruttore più volte in corsi del soccorso alpino, per farsi ingannare da un’illusione assurda e pericolosissima, seppur ispirata da un padre affranto.

Hassan Jan è anche, lo speriamo di cuore, abbastanza saggio per non lasciarsi convincere da allettanti proposte economiche, che certo risolvono l’annata per chi vive ad Hushey ai piedi del Karakorum, ma a volte rendono poco lucidi e possono indurre altre disgrazie. E certamente un’assicurazione con un rimborso di 5000 dollari com’è quella promessa non mitigherebbe nulla. Speriamo anche che gli amici pakistani lascino da parte la tentazione per eroismi ai quali sono sensibili, ma degni di essere espressi in stagione più favorevole.

Dopodiché speriamo che per Tomek, pirotecnico nel causare eventi e reazioni del Nanga Parbat, ci si prenda tempo fino all’estate prossima. Che il padre di Tomek si metta il cuore in pace, com’è ragionevole e giusto che faccia, reciti una preghiera, se ci crede, e consenta alla moglie e ai figli di Tomek di ricevere dalle autorità Pakistane la dichiarazione di morte di suo marito e loro padre in modo da “sbrigare tutte le pratiche burocratiche” che consentiranno loro di continuare a vivere.

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