Walter Bonatti
l'alpinista
La storia del Walter Bonatti alpinista è fatta di foto, immagini che lo ritraggono nei più svariati angoli del Monte Bianco o delle Grigne. Foto che in maniera quasi automatica riconduciamo al protagonista, divenuto celebre non solo per le sue scalate, ma anche per i suoi autoscatti nelle terre remote del Pianeta. Risulta a volte difficile pensare che non siano foto “di Bonatti”, ma “con Bonatti”. Scattate cioè da altri, dai suoi compagni di cordata, dagli amici, da chi lo ha accompagnato fin sotto l’attacco della via.
Sono state numerose le persone a cui si è legato, alcune hanno avuto presenza fulminea mentre altre sono comparse e rimaste per un periodo più o meno lungo. Con ognuna di queste Walter ha condiviso una parte del suo percorso umano e alpinistico, due strade destinate a incrociarsi continuamente. È grazie a loro se oggi possiamo presentarvi questa ricostruzione del Bonatti verticale e del suo alpinismo. Quello che ne scaturisce è il racconto di un confronto onesto con la montagna.
I primi anni
Fu in questi anni che si formò il carattere deciso, a tratti spigoloso, di Bonatti. E, sempre in questi anni, nacque l’esploratore, prima del mondo verticale, poi di quello orizzontale. Leggeva i grandi classici dell’avventura come London, consultava i libri d’alpinismo e si allenava senza sosta. Mentre gli amici giocavano a calcio lui si dedicava ai salti mortali, alle flessioni e alle trazioni alla sbarra. Walter era un quattordicenne abituato a far le cose da sé, senza bisogno di legarsi sempre ad altri, caratteristica che emerse ancora più forte in montagna. I continui trasferimenti dell’infanzia lo portarono probabilmente a essere autonomo, non bisognoso di legami stabili. A un mese dalla nascita la famiglia lasciò Bergamo per trasferirsi a Monza, le estati le passava però a Semonte, da sua Zia. Nel 1936 un nuovo trasferimento lo portò in provincia di Piacenza, dai parenti del papà, dove rimase qualche anno. Nel 1940 ritornò a Monza, ma con i bombardamenti alleati dopo l’armistizio dell’8 settembre fu costretto a scappare. Per un certo tempo visse in un collegio a Gazzaniga, dove terminò le scuole medie. Ancora un trasferimento lo riportò verso Monza, e fu qui che iniziò prima a praticare ginnastica alla società “Forti e liberi” per poi dedicarsi, poco dopo, all’arrampicata con il gruppo dei “Pell e Oss”. Con loro un Bonatti diciassettenne iniziò a esplorare le montagne lombarde, la prima uscita la fece in Grigna, sul facile Campaniletto.
Determinato e metodico
È sorprendente scoprire come questi anni, dalle prime scalate fino alla partenza per il K2, siano facilmente ricostruibili scalata dopo scalata. Possiamo conoscere giorno, montagna, via, composizione della cordata e altri dettagli di ogni singola salita. È possibile farlo grazie a un quadernetto conservato tra i materiali dell’Archivio Walter Bonatti, al Museo Nazionale della Montagna di Torino, dove Walter ha annotato ogni dettaglio. Un residuato degli anni scolastici, si nota immediatamente aprendolo alla prima pagina dove si trova un appunto a matita indicante giorno e data della morte di sua mamma Agostina e la scritta “CHIMICA”. Il reperto, se vogliamo trattarlo da archeologi dell’alpinismo, mostra un Bonatti poco noto, metodico e puntiglioso. Svela la passione immediata per il mondo che l’ha accompagnato nella parte più giovane della sua vita fino alla coscienza dell’età più matura. Racconta l’evolversi del suo alpinismo e delle sue capacità. Le ultime pagine parlano delle salite compiute prima della partenza per la seconda montagna della Terra. In questo periodo si lega spesso con il milanese Roberto Bignami (che poi morirà nel 1954 durante l’avvicinamento al poco conosciuto monte Api, in Himalaya), realizzando nel marzo del 1953 la prima invernale della cresta Furggen sul Cervino e poi, qualche mese dopo, “una vera mietitura di successi alpinistici”. Tre prime sulle Alpi centrali: Torrione Fiorelli per la parete nord, Picco Luigi Amedeo per lo spigolo sudovest, Torrione di Zocca per lo spigolo est. I successi più grandi ottenuti con Bignami nel 1953 sono però la salita del Monte Bianco per il canalone nord del colle di Peuterey e, ormai con condizioni invernali, la nord del Pizzo Palù (via Feult-Dobiasch). Qui si interrompe lo schematico racconto alpinistico ricostruibile attraverso i quaderni di Walter, l’anno successivo sarebbe partito per il K2, la sua più dolorosa sconfitta.
Una foto liberatoria
Quel che è certo è che Walter tornò cambiato dal Pakistan, per un certo tempo venne assorbito dai doveri istituzionali e dalle celebrazioni della vittoria, poi tornò alla montagna. Per un attimo scomparve dalle immagini del trionfo himalayano, ricomparve poi sull’inviolata parete sudovest del Dru. Fu un’esperienza che lo stesso Bonatti descrisse come l’ingresso in un’altra dimensione: sei giorni in parete, cinque bivacchi, arrampicata sostenuta ed estrema. Le uniche foto di quell’impresa furono quelle scattate con il teleobiettivo dalla terrazza della stazione di Montenvers.
Foto di gruppo della spedizione al Gasherbrum IV nel 1958, al campo base. Da sinistra, in seconda fila: Roccardo Cassin, l'ufficiale pakistano Abdul Dar, Giuseppe Oberto, Donato Zeni, Walter Bonatti, Toni Gobbi, Fosco Maraini. Seduti: Bepi De Francesch e Carlo Mauri.
Foto @ Archivio Walter Bonatti, Centro Documentazione Museo Nazionale della Montagna – CAI Torino

Si ringrazia il Museo Nazionale della montagna Duca degli Abruzzi - Cai Torino per la consulenza e i materiali dell'archivio Bonatti