Storia dell'alpinismo

Walter Bonatti e Luciano Ghigo sul Grand Capucin, un incontro tra estremi

Quando gli estremi si incontrano tutto può accadere. Nel caso di Walter Bonatti e Luciano Ghigo, che l’incontro lo vollero sulla parete Est del Grand Capucin, il momento fu magico e il risultato altrettanto.

Gli “estremi”

Ghigo è di una manciata di anni più grande, Bonatti ne ha compiuti 21. Il primo spigoloso nelle forme quanto schivo nel carattere, disegnatore alla Fiat Mirafiori e per le sue arrampicate sul Monte Bianco e nelle Marittime si è guadagnato il titolo di Guida; l’altro bello e limpido “con i lineamenti del volto disegnati senza un’ombra, un corpo agile e forte”, non è un chiacchierone, ma gli piace parlare di ciò che conosce e di quel che pensa.

Il Gran Capucin aveva rapito Bonatti fin dal 1949 quando il ragazzo era salito al Colle del Gigante in una torrida giornata estiva. Era tra le guglie e canaloni che sorreggevano il Mont Blanc du Tacul e da queste si esponeva in avanti e in altezza con la forza del suo granito giallo, verticale.

Primi tentativi

Il 24 luglio del 1950 Bonatti si lega a un amico, superano la crepaccia terminale e finalmente appoggiano le mani sul ruvido granito del Gran Capucin. Salgono dritti per la fessura centrale, le difficoltà sono estreme e l’ambiente impressionante per la verticalità, il vuoto. Poche decine di metri e il temporale incombe e li raggiunge: scendono di fretta e vanno a bivaccare al Col Flambeau, praticamente fuori dalla porta del rifugio Torino (mancano i soldi per una branda).

Dopo 20 giorni, tornano, questa volta con Ghigo. È un’estate da schifo, con temporali e neve, ma questa volta sono sotto un grande strapiombo e l’alba “radiosa” li accoglie. Salgono e il tempo scorre, sono sotto a un tetto lungo una placca liscia. Il sole ha picchiato ed è ancora caldo anche se il tramonto è vicino. Trovano un gradino aereo dove appoggiano mezza chiappa, uno a fianco dell’altro. Ancora bello, salgono e il sole li cuoce. La salita è estrema, lenta fino a un diedro inciso da una fessura strapiombante.

Passa il tempo e il meteo si guasta. Vento e neve, in pochi minuti tutto diventa bianco. Sopra di loro la via di fuga della cengia che porta sul versante nord del Grand Capucin. Sono costretti a un bivacco fradicio, freddo e inquieto.

All’alba tutto è più difficile e solo la maestria (certo non la grande esperienza) e l’istinto portano Bonatti e i suoi compagni sulla cangia e poi a precipitarsi lungo la meno verticale parete nord, che nel fitto della neve e dell’ignoto, diventa un incubo. Bonatti in discesa incappa in una manovra disgraziata che lo costringe a scendere per molti metri a testa in giù e solo la sua forza e disperazione lo salvano. Sono passate 80 ore di “rocambolesca avventura” quando si sentono in salvo sul ghiacciaio.

Secondo tentativo, si torna sul Grand Capucin

20 luglio 1951, gli “estremi” tornano insieme sul Grand Capucin. Tutto fila liscio mentre risalgono la parete fino al grande tetto e il giorno successivo si conclude sulla grande cengia. Grande arrampicata.

Il 22 luglio sono impegnati da “dure acrobazie”: il vuoto è estremo, esce un chiodo e Bonatti precipita, si aggrappa a una cornice di granito, respira. Il dolore è atroce per i cristalli di quarzo che mordono la carne. Il buio li coglie in piena azione, ancora un bivacco mentre i primi fiocchi di neve incominciano a volteggiare attorno. Non trovano nulla a cui appoggiarsi: si terranno ai chiodi e ad anelli di corda che con il passare delle ore stritolano le cosce, le braccia e la vita.

Alba bigia e ventosa, alle 5,30 i due ragazzi sono in azione. Le fessure s’allargano anche se il vuoto rimane impressionante. Alle 14,30 del 23 luglio sono in cima al Grand Capucin. Scendono, fuggono dal loro pilastro, sanno d’aver fatto una cosa grande, forse non immaginano che quella loro via diventerà una delle più salite dai migliori alpinisti del mondo, per anni. Tutt’ora.

Bonatti tornerà molti anni dopo sul Grand Capucin e lo racconterà ai suoi appassionati lettori di “Epoca”. Rimarrà amico di Ghigo, ma non arrampicheranno mai più insieme.

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2 Commenti

  1. Gira sul web in 2 puntate una ripetizione filmata a colori dei passaggi salienti della Via Bonatti-Ghigo.
    Nella foto in bianco e nero n.2 si vede l’equipaggiamento dei Due primi salitori.
    I ripetitori hanno a disposizione: parecchie corde dinamiche, friends, qualche chiodo e martello , scarponi e ramponi per avvicinamento e poi scarpe da arrampicata,caschetti leggeri ipersponsorizzati ed abbigliamento tecnico.Presumibilmente smartphone e gps e ricezione previsioni del tempo piu’scientifiche ed affidabili, tracciato e chiodi e cordini ancora in loco. Piu’ allenamento psicofisico all’arrampicata secondo moderni dettami .Fanno benissimo ad usare il meglio del meglio.
    Dal confronto risulta ancora piu’ esaltante il valore della prima impresa.

  2. Buongiorno , una impresa che sa di magico e incredibile ,per i tempi e atrezzatura ,e capacità. Se succedesse oggi
    un avventura del genere, verrebbero criticati ,dai sapientoni del CAI, tuttologi, politici e anche da virologi…in realtà hanno realizzato un desiderio, hanno vissuto alla grande.

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