Storia dell'alpinismo

Walter Bonatti e il Grand Pilier d’Angle

Il Grand Pilier d’Angle è un pilastro d’angolo che sorregge la cima del Monte Bianco. Uno scudo di roccia e ghiaccio che se lo guardi dalla piazza della chiesa di Courmayeur è talmente in alto da passare inosservato. È il culmine delle infinite creste che dal fondo della Val Veny diventano l’Aiguille Noire de Peutérey, Les Domes Anlaises, l’Aiguille Blanche de Petérey e, per finire, il Pilier d’Angle.

1957, la prima salita del Pilier d’Angle

Sono i primi giorni di agosto del 1957, Walter Bonatti e Toni Gobbi dalla piazzetta di Courmayeur il Pilier d’Angle l’hanno adocchiato, scrutato. Si sono anche portati in quota per guardarlo meglio emergere dal ghiacciaio della Brenva, per 900 metri, con quella fessura obliqua che lo taglia in due. Il primo agosto sono sulla seraccata terminale e attaccano il sistema di fessure e camini che s’allungano sotto e poi a destra dello “scudo rosso”. La roccia non è bella, ma man mano si innalzano il granito migliora e si susseguono diedri, camini, placche fino alla costola nord-est che porta sui pendii terminali, ripidi, di misto e poi ghiaccio: siamo su una parete rivolta a sud ma con una quinta che guarda a nord.

La scalata è di grande impegno e l’ambiente grandioso. Dopo due bivacchi Bonatti raggiunge con Gobbi la cima del Pilier e da qui con altri 600 metri di creste e nevai la vetta del Monte Bianco. È il 3 agosto.

1962, Bonatti ritorna

Il Pilier rimane nella testa di Bonatti. È tra i pochi che ne intuisce e capisce la forza e l’estetica, nonostante sia là, in cima, sfuggente allo sguardo non solo della gente comune, ma anche degli alpinisti e delle Guide. “La più grande massa rocciosa che si affaccia sulla Brenva… precipita di colpo sul grande ghiacciaio con un appicco di un chilometro”. Cosi Bonatti descrive questa cima di 4200 “tuttora inesplorata”.

Nel 1962 ci torna, questa volta con l’amico Cosimo Zappelli. Ha puntato l’orrido imbuto di misto e ghiaccio a destra della via del ’57: mille metri da percorrere che incutono angoscia. Sa che la sfida è estrema, non è ancora il tempo del “piolet traction”, anche se questa salita ne anticiperà in parte la tecnica. C’è poi l’ambiente e la scelta temporale e delle condizioni della parete: con neve o secca? Per Bonatti è il momento della sintesi di tutto ciò che sa da concentrare su una salita estrema con le massime difficoltà tecniche, interpretative e di equilibrio tra rischio e azzardo.

Primo tentativo

Arrivo al Colle More alle due di notte, una splendida gelida luna crescente, che sembra fatta apposta per girare da queste parti” scriverà. Le condizioni sono perfette: Bonatti è rapito dal panorama che quel balcone gli offre. C’è un unico angolo buio, terrorizzante: la parete nord del Pilier d’Angle. Rimane inchiodato al colle per mezzora, paralizzato da bellezza e paura, solo con il suo istinto, il suo sapere. Zappelli tace nel rispetto totale della natura e di quell’uomo che in quel momento e anch’esso natura pura. Poi sente la voce di Walter: Io l’anima su quella parete non ce la lascio. È una delle rare rinunce vere e oneste della storia dell’alpinismo.

Secondo tentativo

È la notte del 22 giugno. Bonatti e Zappelli son tornati e hanno davanti i pendii di buona neve gelata dell’attacco. Salgono di buon passo verso il punto dove tutto ciò che casca dall’alto va a sbattere. C’è un calcolo prezioso dei tempi, della velocità perché “la rapidità della scalata è l’unica protezione possibile”. Un’altra pagina della storia dell’alpinismo che si apre, si esplicita e diventa tecnica per il futuro. Si gradina, con forza e ripetitività. C’è un punto emblematico che hanno chiamato “le rocce sinuose”. Le vedono e sanno di essere in linea con la via programmata. Hanno paura. Una fascia strapiombante di granito ricoperto di un sottile strato di ghiaccio sbarra loro la strada. A Bonatti ricorda la Patagonia. Proprio in quel momento un boato esplode alla sua desta. Dalla Major, la via sulla parete della Brenva, s’è staccata una massa di ghiaccio mostruosa che precipita. I due sono fuori tiro fisicamente, ma la psiche ne è colpita.

Superate le “rocce sinuose”, la parete continua nella sua estrema verticalità e difficoltà. Il sole che s’è alzato ha iniziato a far precipitare una gragnola di ghiaccioli e sassi; portano il casco che li protegge. Bonatti per accelerare non incide gradini, ma una piccola tacca dove appoggia le punte dei ramponi. La salita continua a riservare una continuità di difficoltà estreme e la natura tutt’attorno è carica di pericoli pronti a fare danni irreparabili. Nel pomeriggio trovano un luogo per una sosta, valutano di essere oltre la metà della parete. Walter ha una fiaschetta con del vino: è il suo compleanno. Ma riprendono a salire per sfuggire all’incubo. Una seconda colossale valanga s’abbatte sulla parete della Brenva, rimbalza sul Pilier e rischia di sfiorarli. Salgono ancora, sulla punta dei ramponi, la luce è gelida, fredda, scura, ma il pendio è ora bianco, un ultimo seracco e finalmente alle 18.05 sono sulla cima del Pilier d’Angle. Hanno salito un pezzo importante della storia dell’alpinismo. Pochi lo sanno.

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Un commento

  1. A parte il “mitico”zaino per cui gli vennero mosse “accuse”di sponsorizzazione.( oggi i grandi alpinisti e pure i normali praticanti sono costellati di logo king size da capo a piedi), nulla si sa dei fabbricanti delle attrezzature di Bonatti…divenuto famoso.
    Ad esempio..gli scarponi??Pare gli venissero confezionati su misura da abili artigiani di Vipiteno.
    Sarebbe interessante OGGI saperlo..tanto piu’che probabilmente quei marchi o nomi sono spariti..fanno parte della storia.

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