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Montagna e radicali liberi, ecco cosa succede

Photo courtesy of Stefan Tolpeit
Photo courtesy of Stefan Tolpeit

Un recente studio dell’Eurac, l’Accademia Europea di Bolzano, svolto in collaborazione con il Cnr di Milano e l’Ospedale di Bolzano, sembra aver trovato la spiegazione di come nell’organismo si sviluppano i radicali liberi in alta quota.

La relazione tra i due elementi era già conosciuta dalla comunità scientifica, ma non la curva di produzione dei radicali: l’ascensione crea uno stress ossidativo, dato dalla carenza di ossigeno, e perciò si formano queste molecole, che possono risultare dannose per le cellule.

I ricercatori dell’Eurac hanno monitorato le condizioni fisiche di sedici persone salite in elicottero a 3830 mt e rimaste in quota sull’Ortles per 72 ore. Le analisi hanno mostrato che i radicali liberi cominciano a svilupparsi già dopo 9 ore, pur senza alcuno sforzo fisico, continuino a crescere, raggiungendo il picco dopo 24 ore di permanenza, e poi inizino a diminuire; funziona nella stessa maniera il danno provocato da queste molecole.

Il mal di montagna, però, non è imputabile ai radicali liberi. “Gli esami, condotti prima di salire sul ghiacciaio e durante il soggiorno in quota, hanno evidenziato che l’aumento del diametro del nervo ottico e la presenza di stress ossidativo non sono collegati” spiega Giacomo Strapazzon, vicedirettore dell’Istituto per la Medicina d’Emergenza in Montagna dell’Eurac. L’aumento del diametro del nervo ottico e lo stress ossidativo, infatti, non sono collegabili.

Si tratta, però, di un bel passo in avanti per la medicina in montagna.

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