AlpinismoAlta quota

La voce dal Nanga Parbat: Emilio Previtali reporter dal fronte

Emilio Previtali al Nanga Parbat (Photo ©thenorthface/david_göttler)
Emilio Previtali al Nanga Parbat (Photo ©thenorthface/david_göttler)

ISLAMABAD, Pakistan – “C’è una grande parte di mondo e di vita degli uomini che non possiamo capire, se nessuno con sensibilità, con tecnica e con creatività ce lo racconta”. È questo forse il cuore della questione, lo scopo per cui vale la pena per un alpinista e uno sciatore del calibro di Emilio Previtali , rimanere al campo base del Nanga Parbat e osservare, e scrivere e documentare, mentre Simone Moro e David Goettler si preparano a tentare la primissima invernale dell’ottomila. Certo, dalle sue parole trapela quella passione e quel bisogno di narrare tipico dello scrittore, ma l’esigenza in lui convive con quella di scalare e di sciare. Lo abbiamo raggiunto telematicamente nella sua tenda ai piedi dell’immensa montagna himalayana di 8126 metri, “un oceano da attraversare” nella sua descrizione. Ecco cosa ci ha spiegato.

Per prima cosa, che impressione ti ha fatto il Nanga Parbat quando è comparso all’orizzonte?
Quando sali da Tarashin la parete del Rupal te le trovi proprio di fronte, sbuchi da un pendio in mezza costa e arrivi ai piedi di una specie di collina che non lo capisci subito, ma è una morena. E’ enorme. Quando sono arrivato lì la parte alta della parete era immersa nella nebbia ma le linee principali, quelle dove passa la via di Steve House o dove ha fatto il suo tentativo di Tomàz Humar le ho riconosciute subito. La cima in alto non si vedeva ma ero curioso i capire dove potesse essere, mi chiedevo standoci così sotto di quanto avrei dovuto inclinare indietro la testa per vederla tutta, la parete. Fino al giorno dopo la parte alta della montagna è rimasta nascosta nella nebbia, poi il 1° gennaio appena sveglio sono uscito dalla tenda e c’era il cielo sereno e l’ho vista per intero. Ecco. Adesso mi sono abituato a vederla ma lì per lì sono rimasto a bocca aperta. E’ molto molto più grande di come me la immaginavo. E’ enorme. Gigantesca, davvero. Se possibile ho provato ancora più rispetto e ammirazione per tutti gli alpinisti che ci sono saliti sopra. Questa non è una montagna da salire, questo è un oceano da attraversare.

Emilio Previtali al Nanga Parbat (Photo ©thenorthface/david_göttler)
Emilio Previtali al Nanga Parbat (Photo ©thenorthface/david_göttler)

Partiamo dal tuo obiettivo sportivo, sciare da campo 2: quando ci proverai? Ora che hai visto la montagna da vicino, quali saranno le difficoltà maggiori?
Premetto che per ora almeno, da C2 non c’è neve abbastanza per sciare integralmente. Il mio obiettivo sportivo di sciare sul Nanga è un traguardo che mi sono dato per rimanere impegnato e motivato, sono entusiasta di essere qui a fare questo lavoro di raccontare “live” la spedizione. Aggiungo anche che sono contento di essere libero di farlo a modo mio, come voglio io. Sono grato a Simone di aver creduto in me e di avermi offerto questa possibilità. Questo è un progetto a cui in fondo lavoro da tanto tempo, ci sto mettendo il massimo impegno, non è una sofferenza non essere a fianco di Simone e David durante la salita, in fondo il mio Nanga Parbat ha a che vedere con lo scrivere e il raccontare, più che con l’obiettivo alpinistico. Non c’è e non c’è stata nessuna preclusione da Simone o David, anzi, ma la formazione migliore della nostra squadra è questa, con loro due sulla montagna e io qui in basso. Salirò ancora con loro, per stare insieme almeno ancora una volta ai campi alti. Sciare è un traguardo personale importante intanto perché l’ambente e la discesa da compiere è bellissima e poi perché avrei il privilegio di sciare da solo su una montagna di 8000 metri in inverno. Non mi interessa stabilire un record, mi piace l’idea di usare la mia passione per realizzare un altro dei miei sogni, quello di farmi portare con gli sci sulle più belle montagne della terra, quelle che sognavo a bambino.

Ad oggi fino a che quota sei salito?
Fino a 5000 metri, son stato solo un paio di notti in quota a dormire, ma faccio i miei allenamenti da solo partendo e tornando qui al CB in giornata, quando David e Simone sono sulla via e quando il programma di lavoro della giornata me lo consente.

C’è una montagna di fronte alla parete Rupal: qualcuno su Facebook insinua che potrebbe essere fra i tuoi obiettivi…
Non dico niente. Hahahahaha. Qui ci sono un sacco di potenziali bellissimi obiettivi alpinistici da salire in velocità. Non dimentichiamoci mai che è inverno e salire in inverno su alcune di queste montagne qui intorno sarebbe comunque un bellissimo risultato alpinistico a se stante. L’unico difetto di queste montagne è che vivono nell’ombra del Nanga Parbat che è così grande e così bello e celebre, che nessuno viene mai qui con l’obiettivo di salirle, queste linee o queste montagne. Io se avrò tempo un colpo o due ad alcune possibilità che ho visto vorrei darlo, più per piacere personale che per altro. Il problema è che sono da solo e che ho talmente lavoro da fare qui, che non so se veramente ne avrò la possibilità. In fondo in questa spedizione il mio ruolo è in supporto a quello degli altri. Ma se appena ci sarà una piccola possibilità, mi piacerebbe sfruttarla.

Ecco appunto, il tuo primo obiettivo nella spedizione è quello di stare al campo base e raccontare al mondo quel che succede (o non succede). Ora che sei lì ti pesa “far da parte” l’alpinista per dar più spazio allo scrittore?
Come ho detto sopra per me lo scrivere è una passione grande almeno quanto l’alpinismo, soprattutto adesso, in questa fase della mia vita. Ho imparato a dominare e gestire quell’ ansia di mettere il risultato sportivo, la realizzazione alpinistica al primo posto a tutti i costi. Vorrei che in futuro scrivere diventasse sempre più parte del mio lavoro, della mia passione per la montagna e per i viaggi, per il piacere che provo nel conoscere luoghi o persone diverse. Non aspiro a fare il giornalista in senso classico, mi piace di più l’idea di essere un reporter, uno che vede e racconta i luoghi e le persone. Ho una idea precisa di quello che voglio fare e di come lo voglio fare questo lavoro, devo seguire il percorso che mi sono fissato e rispettare le tappe, poi si vedrà. Quindi no, non mi pesa tenere in secondo piano l’alpinista o lo sciatore che c’è in me questa spedizione. Anzi. Poi avrò tempo di recuperare.

Emilio Previtali al Nanga Parbat Photo ©thenorthface/david_göttler)
Emilio Previtali al Nanga Parbat Photo ©thenorthface/david_göttler)

I tuoi post sono sempre amatissimi, come dimostrano i tanti “mi piace” su Facebook. Essere uno scrittore per te è soprattutto saper usare le parole per dire esattamente quello che si pensa, o saper ruotare l’asse del proprio punto di vista e vedere la realtà da prospettive altre, talvolta oblique e trasversali?
Indipendentemente dal fatto che si scrivano dei libri o delle didascalie per un catalogo o dei post su Facebook, scrivere e scrivere bene per me vuole soprattutto dire, governare il senso. Significa saper usare le parole e le storie per dire esattamente quello che si vuole dire. Scrivere è un modo per fare ordine, per capire e per farsi capire, almeno per me. Non scrivo per il gusto di fare i riccioli alle parole o per farmi dire che bella frase o come scrivi bene. Scrivo per ricordare, per restituire alla memoria una atmosfera, una situazione, un fatto, una emozione che ho vissuto o che ho visto vivere. Scrivere è disegnare il paesaggio che c’è dentro di noi e per riuscire a farlo non sempre bisogna dire esattamente come stanno le cose. Scrivere è dipingere o scolpire, non sempre e non solo è fotografare esattamente, precisamente la realtà. Certe volte bisogna scrivere deserto per fare pensare acqua e fare sentire la sete. Ma questo è un concetto che è difficile da sviluppare parlando e scrivendo di alpinismo agli alpinisti, o scrivendo soltanto su Facebook. E’ arrivato il momento forse anche per me di trattarla meglio la mia passione per la scrittura e farla evolvere. Di prendermi più sul serio. Di accogliere la responsabilità del narratore che l’essere scrittore porta con sé.

È la prima volta che ti trovi “al fronte” come cronista d’alpinismo?
Si e no. In tutte le mie spedizioni ho sempre raccontato in prima persona quello che succedeva a me e intorno a me. Ho seguito vari alpinisti dietro alle quinte e Simone soprattutto, in varie avventure, in quelle che erano le prime spedizioni raccontate live attraverso internet alla fine degli anni ’90. In questo senso, anche se in pochi lo sanno, penso di essere stato un pioniere. Quando Simone era alla traversata Everest-Lhotse e mi mandava degli sms di 160 caratteri o mi telefonava per un minuto, io ci ricostruivo sopra la storia che mi aveva accennato. Come dicevamo allora ridendo “allungavo il brodino”, ma la cosa realmente importante era rimanere fedele alla realtà, ai fatti. Volevamo restituire l’emozione, più che offrire la cronaca. E’ così che ho iniziato. Poi ho fatto il direttore editoriale per FREE.rider per nove anni per la Vivalda Editori, seguivo eventi e spedizioni, non avventure lunghe come questa, ma insomma qualcosa del genere. E poi seguo per The North Face il progetto STORY.teller, lo yearbook con le storie delle avventure vissute degli atleti del team, escludendo la presenza in molte spedizioni come atleta e sciatore, spesso mi è capitato di aiutare i miei compagni di team a raccontare le loro avventure, sulla carta o sulla pellicola.

Emilio Previtali in tenda al Nanga Parbat (Photo ©thenorthface/david_göttler)
Emilio Previtali in tenda al Nanga Parbat (Photo ©thenorthface/david_göttler)

In questa tua veste speciale al Nanga Parbat, c’è qualcosa che hai capito e che forse non avresti potuto capire se fossi stato più al centro dell’azione?
Senz’altro questo è un punto di vista privilegiato, forse l’unico per capire a fondo il senso e le difficoltà delle spedizioni invernali. Ho capito una infinità di cose che hanno a che vedere non solo con gli alpinisti e con le montagne ma anche con la gente che vive qui, con questo paese e con i suoi problemi. Non si può raccontare bene, fedelmente, una spedizione come questa senza essere qui. Una volta i grandi giornali avevano i loro inviati e le spedizioni avevano i loro portavoce, adesso le notizie i giornalisti e i giornali spesso le cercano su internet. Le notizie rimbalzano e rincorrono se stesse. Parte da lì la disinformazione, dalla prevalenza della forza dei canali di distribuzione della notizia rispetto alla notizia stessa. Messner ha avuto parecchie volte con lui dei giornalisti nelle sue spedizioni, addirittura a volte ha portato con sé degli artisti, dei pittori o degli scultori al campo base. C’è una grande parte di mondo e di vita degli uomini che non possiamo capire, se nessuno con sensibilità, con tecnica e con creatività ce lo racconta.

Tags

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back to top button
Close