AlpinismoAlta quota

Luca Montanari in vetta al Peak Lenin, ma niente Manaslu

Luca Montanari tra tra il C2 e il C3 del Peak Lenin
Luca Montanari tra tra il C2 e il C3 del Peak Lenin

VERONA – Ferragosto in cima ai 7134 metri del Peak Lenin per Luca Montanari, la Guida alpina italiana impegnata tra la primavera e l’estate nel progetto alpinistico Trilogy Expedition 2013. La trilogia avrebbe dovuto comprendere l’Ama Dablam, tentata a maggio, il Peak Lenin e il Manaslu, per il quale l’alpinista avrebbe dovuto partire proprio ieri. Tuttavia è di mercoledì scorso la decisione della rinuncia all’ottomila.

Montanari era partito per il Pamir il 28 luglio insieme a Paolo Frittella, maresciallo nei Corpi Speciali del 9° Col Moschin. I due alla metà di agosto hanno tentato insieme la cima: il militare si è fermato a 6400 metri a causa del mal di quota, mentre la Guida alpina di Verona ha proseguito da solo fino alla vetta della montagna, alta 7134 metri.

Il rientro in Italia è avvenuto qualche giorno dopo, anche perché i due avevano davanti a loro un’altra spedizione imminente, quella al Manaslu (8163 metri), organizzata nell’ambito dei 150 anni del Club Alpino Italiano dal Consorzio Il Cigno, dalle sezioni del CAI della provincia della Spezia e della Provincia di Massa Carrara in collaborazione con l’Esercito Italiano 9° Rgt. Col Moschin e il Corpo Forestale dello Stato. Il team dei “Liguri-Apuani” – di cui fanno parte anche Fabrizio Molignoni, Cristiano Virgilio, Riccardo Vaira, Edoardo Rixi, Lorenzo Ratti, Maurizio Cattani, Paolo Cavallo e Tiziano Boldrini – è partito per il Nepal proprio ieri, 30 agosto. Tutti tranne Montanari.

“Trilogy si ferma qui, almeno per quest’anno – ha scritto infatti Montanari -. Niente Manaslu, nessuna terza tappa. Non partirò come membro della Spedizione Alpinistica Liguri Apuani Manaslu 2013, organizzata per i 150 anni del CAI e con il patrocinio dell’Esercito Italiano. Trilogy Expedition si interrompe, il mio sogno si spezza. Ho affrontato l’Ama Dablam con tutto l’entusiasmo di chi scopre una meraviglia nascosta per la prima volta, nonostante il rigore e l’attenzione che la mia professione di guida mi imponevano di mantenere. Sono salito in vetta al Peak Lenin, affascinato da scenari misteriosi e suggestivi, godendo della cima e del buon esito di un anno di allenamenti intensi. Tutto questo, in preparazione al Manaslu. Per arrivare al suo cospetto sereno, preparato e consapevole. Scalare una montagna, qualunque essa sia, è come pregare: o ci credi davvero, oppure torni indietro. Ho cominciato questo lavoro perché avevo questo credo: mai sarei ricorso all’ossigeno, mai avrei tentato di salire a tutti i costi, prevaricando sui compagni di cordata e mettendo, talvolta, a repentaglio la sicurezza. Ho cominciato questo lavoro perché sapevo che mi avrebbe reso felice. Ciò premesso, rinuncio a partire perché sono venuti meno dei presupposti fondamentali.

Montanari tra il C1 e il C2 a circa 5000 metri del Peak Lenin
Montanari tra il C1 e il C2 a circa 5000 metri del Peak Lenin

“Il primo motivo – spiega ancora la Guida alpina -: la volontà di ricorrere all’ossigeno per tentare la cima. Salire una montagna in stile alpino e ricorrere all’ossigeno sono due concetti fortemente contrapposti, che nascondono diversità di vedute profonde ed inconciliabili tra loro. Ricorrere all’ossigeno è volersi ergere a pari livello della vetta, giungere su ad ogni costo, dominarla, conquistarla. Il secondo motivo: l’importanza di fare un buon lavoro di squadra, dividendosi i ruoli e le responsabilità con trasparenza e in base alle effettive competenze, senza far rivalere i propri titoli. In montagna siamo tutti uguali: il più esperto supporta e guida il novizio, il più forte sostiene e incoraggia il più debole. Per arrivare in fondo all’obiettivo, vincenti in ogni caso. Per arrivare insieme. Non pregiudicherò mai la mia sicurezza – e quella del gruppo – per una gara di resistenza o una corsa al titolo di un giornale. E non comprometterò mai la mia reputazione rinunciando a scegliere se fare quella che credo sia la soluzione più giusta, avendo ancora la possibilità di scegliere.

“Il terzo è piuttosto una riflessione – conclude Montanari -. Dalla prima volta che ho messo piede in montagna ad oggi, ho imparato ad essere tenace ma non ostinato, a lasciarmi andare alle emozioni più profonde ma mai all’adrenalina fine a se stessa, a sentire l..ambiente dentro di me, senza mai violarlo. A rinunciare senza mai forzare, quando non ci sono le condizioni. In questo modo, non mi sono mai sentito solo. Ma è provando un senso di solitudine profonda che rinuncio. Aver saputo per tempo tutte queste cose, o no, conta poco, di fronte all’amarezza di non condividere lo stesso credo. Concludo con un doveroso chiarimento: queste motivazioni sono legate al mio modo di vivere la montagna. Non ci sono approcci giusti o sbagliati, quando si è convinti del proprio modo di affrontare una vetta. Ci sono solo approcci diversi, che vanno – tutti – tenuti in considerazione. E rispettati”.

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