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Everest, medici al lavoro al campo base

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CAMPO BASE EVEREST, Nepal (Ansa) — Il Campo Base dell’Everest, a quota 5.364, è una distesa di tende variopinte, almeno 500; in questo momento ospitano almeno una trentina di spedizioni, ognuna delle quali ha disteso tra le tende le tipiche bandierine nepalesi, preghiere colorate che oscillano contro il ghiacciaio dal quale si parte per andare ai campi più alti, verso la vetta.

Parte da qui anche la più grande spedizione di medicina in alta quota mai organizzata, la britannica Xtreme Everest, dell’University College di Londra. Con 200 volontari che hanno fra 18 e 63 anni e 24 fra medici e biologi (che vanno anche ad aggiungersi al lavoro dei volontari, in quanto si sottopongono ad alcuni esperimenti), decine di guide e portatori, 22 tonnellate di attrezzatura tecnica, la spedizione è partita poco più di due settimane fa da Kathmandu e da Lukla ha cominciato il lungo il percorso di trekking per raggiungere il Campo Base, aumentando progressivamente la quota.
 
Gli esperimenti sono cominciati già lungo il percorso e l’obiettivo è scoprire perché alcuni individui riescono facilmente adattarsi ad una quantità inferiore di ossigeno e altri hanno invece disturbi in alcuni casi molto gravi. Quando si sale progressivamente in quota la pressione atmosferica diminuisce e di conseguenza si riduce la quantità di ossigeno.
 
Quando questa diventa troppo bassa (ipossia), l’organismo non ha più l’ossigeno necessario per sopravvivere. E’ un problema che si verifica per gli alpinisti, ma che devono affrontare anche tanti pazienti ricoverati nei reparti di terapia intensiva. "La maggior parte di noi sono medici che lavorano nei reparti di terapia intensiva e uno dei problemi più frequenti dei nostri pazienti è il basso livello di ossigeno", la responsabile scientifica della spedizione, Kay Mitchell.
 
Sta lavorando al computer in una delle grandi tende blu adibite a laboratorio. "Siamo qui – prosegue – perché il problema di affrontare bassi livelli di ossigeno si manifesta anche nelle persone sane che vanno in alta quota. Sia nel caso degli alpinisti, sia nei pazienti in terapia intensiva, non sappiamo perché l’organismo di alcuni reagisce bene e si adatta, mentre altri hanno seri problemi. Siamo qui per scoprirlo".
 
La ricerca é organizzata in quattro grandi settori: studiare il consumo di ossigeno ad alta quota e capire come l’ossigeno si lega ai tessuti dell’organismo; scoprire gli effetti dell’alta quota sull’afflusso di ossigeno al cervello e sulle funzioni cognitive; analizzare gli effetti dell’alta quota sul funzionamento dei polmoni; sperimentare un nuovo sistema portatile per la respirazione in alta quota, messo a punto per gli alpinisti.
 
Nella tenda accanto, una giovane biologa sta preparando i campioni di sangue per analizzare i valori dell’emoglobina e dell’ematocrito. "Queste analisi – spiega – le facciamo direttamente qui, mentre il plasma viene separato e congelato in azoto liquido. Lo analizzeremo al ritorno a Londra". Poco lontano nella stessa tenda un giovane volontario sta pedalando su una cyclette, mentre una serie di strumenti registra i suoi parametri, dal battito cardiaco alla saturazione di ossigeno.
 
Un’altra volontaria ha un blocchetto di fogli colorati dai quali emanano odori diversi, che deve riconoscere. Improvvisamente arriva un suono simile a un gong: "é l’ora del té – dice la ricercatrice – e poi abbiamo un po’ di nostalgia del Big Ben".
 
Enrica Battifoglia
 
 Foto: courtesy of www.ansa.it

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