Medicina e benessere

Trapianti e alpinismo: via libera

Jacques Pirenne sull'Everest
Jacques Pirenne sull'Everest

BERGAMO —  Soggetti trapiantati, selezionati e ben allenati, possono effettuare attività fisiche faticose e sopportare l’esposizione all’alta quota tanto quanto i soggetti sani. E’ questa la conclusione a cui è giunto uno studio condotto da Jacques Pirenne, chirurgo belga e luminare del campo dei trapianti, che ha seguito un gruppo di trapiantati di fegato nella scalata al Kilimanjaro.

Prendo spunto, per questo articolo, dalla recente e interessante conferenza organizzata da Silvio Calvi, Past President del CAI Bergamo e trapiantato di fegato, che ha avuto luogo al Palamonti il 9 maggio 2012 con la presenza del chirurgo belga Jacques Pirenne, per parlare di quanto i trapiantati di fegato siano in grado di fare anche in alta quota.

Pirenne, che oltre ad essere un chirurgo è un alpinista,  ha salito le vette più alte di tutti i continenti (“seven summits”). A Bergamo ha raccontato la sua esperienza con 11 pazienti trapiantati di fegato che hanno partecipato ad una spedizione alpinistica al Kilimanjaro alcuni anni orsono. Si è trattato di un evento straordinario, mai realizzato prima d’ora. I dati di questa singolare esperienza sono stati pubblicati sull’ American Journal of Transplantation del 2004. Sicuramente i dati scientifici riguardanti l’argomento in letteratura sono molto scarsi o del tutto inesistenti a proposito di un confronto e di una valutazione riguardanti il comportamento in alta quota di soggetti trapiantati e di soggetti sani. In realtà non esistono dati circa la tolleranza alla quota di trapiantati di fegato. A parte questi raccolti sul Kilimanjaro

Ma come si è svolta la spedizione e la ricerca ad essa connessa? Sei soggetti trapiantati di fegato (con trapianto effettuato almeno 2 anni prima) sono stati selezionati per raggiungere la vetta del Kilimanjaro (5895 m.). Si è trattato di una salita lunga circa 80 km, con partenza a 1800 metri ed arrivo a 5895 metri, effettuata in sei giorni. E’ stato individuato  un gruppo di controllo di quindici soggetti sani, con un profilo simile (performance fisica e suscettibilità al male acuto di montagna) e con età e indice di massa corporea pure simili a quelli dei soggetti trapiantati.

E’ stata utilizzata la “Borg-scale”  per valutare lo sforzo fisico ed i parametri cardiopolmonari  a riposo sono stati comparati in modo prospettico con sei soggetti di controllo per sesso e per VO2 Massimale. Criteri di inclusione sono stati una funzionalità cardiopolmonare ed una funzionalità epatica normali, un’età inferiore ai 50 anni, uno sport praticato non a livello professionistico ed un corretto stile di vita. In tutti i soggetti la fase della preparazione fisica ha avuto inizio sei mesi prima dell’inizio dello studio in oggetto, con tre sedute di allenamento di tipo aerobico alla settimana, con un incremento graduale dal 40 all’80 % della massima riserva cardiaca.

E’stata somministrata la profilassi antimalarica in tutti i soggetti partecipanti alla spedizione, ma i soggetti trapiantati non hanno effettuato la vaccinazione contro la febbre gialla, in quanto controindicata. E’ stata praticata una profilassi per il male acuto di montagna con acetazolamide due volte al giorno nei soggetti di controllo e con salmeterolo aerosol  due volte al giorno e con desametasone per i soggetti trapiantati ogni quattro ore nella fase finale della salita. La terapia immunosoppressiva nei trapiantati era basata sull’uso del tacrolimus, farmaco antirigetto.

I risultati sono stati sorprendenti. Non si sono notate differenze dal punto di vista della performance fisica, della “Borg-scale” e degli score di valutazione del male acuto di montagna tra soggetti trapiantati e soggetti di controllo. L’83% dei trapiantati e l’84.6 % dei soggetti di controllo hanno raggiunto la vetta della montagna.: quattro trapiantati su cinque e undici soggetti sani su 15.

Solo un trapiantato ed uno dei soggetti di controllo non hanno raggiunto la vetta a causa di una gastroenterite, dello sfinimento e della desaturazione in ossigeno del sangue arterioso. Un individuo sano è stato colpito da edema cerebrale e  due altri soggetti di controllo lo hanno dovuto soccorrere, trasportandolo in basso, rinunciando all’impresa.

La saturazione dell’ossigeno nel sangue è diminuita salendo in quota, mentre la pressione arteriosa del sangue ed i battiti cardiaci sono aumentati salendo in quota in entrambi i gruppi. L’unica differenza è stata lo sviluppo di una ipertensione arteriosa nei soggetti trapiantati a 3950 metri.

In conclusione, soggetti trapiantati selezionati e ben allenati possono effettuare attività fisiche faticose e sopportare l’esposizione all’alta quota come i soggetti sani. Si può dire che dopo quattro decenni trascorsi dall’epoca dei primi trapianti, la scienza ha fatto grandi passi. Così il trapianto di fegato è passato dallo stadio di intervento chirurgico ad alto rischio a intervento in grado di salvare una vita, la cui indicazione viene limitata soltanto dalla scarsità dei donatori organi. La qualità della vita ed il livello di performance fisica  alterati  dall’insufficienza epatica, vengono decisamente migliorati  dal trapianto.

Conferenza Jacques Pirenne al Cai Bergamo
Conferenza Jacques Pirenne al Cai Bergamo

Questo studio  dimostra insomma che trapiantati di fegato selezionati sono in grado di sopportare uno sforzo fisico intenso in condizioni di disagio con la stessa resa di soggetti sani senza problemi cardiorespiratori o di suscettibilià all’alta quota. L’unico paziente che ha avuto problemi è stato un soggetto affetto da epatite di tipo C , mettendo in risalto che un fegato sano è essenziale per l’adattamento all’alta quota.

Ad oggi, la storia di trapiantati e alpinismo prosegue. Un giovane soggetto trapiantato di fegato si sta preparando per raggiungere la vetta delle sette montagne più alte dei vari continenti (“Seven Summits”).

Jacques Pirenne, ad inizio maggio, è stato ospite dell’equipe di trapianti di fegato degli Ospedali Riuniti di Bergamo, diretta da Michele Colledan, per il festeggiamento dei mille trapianti di fegato realizzati dall’ospedale. In quell’occasione ha partecipato al corso di aggiornamento per giovani medici (circa 60) che lavorano nel campo dei trapianti.

 

 

 

Riferimenti bibliografici: American Journal of Transplantation, 2004; 4 : 554-560

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