Medicina e benessere

Le mille virtù del rabarbaro del Tibet

BERGAMO — Il rabarbaro migliore come pianta officinale è sicuramente quello cinese, di cui si adopera la radice durissima, conosciuta da millenni dalla medicina tradizionale asiatica. Il rabarbaro cresce tradizionalmente sulle montagna del Tibet, oltre i 2mila metri di quota. Ha delle proprietà eccezionali, ma anche delle controindicazioni. E’ vietato l’utilizzo, per esempio, a chi soffre di renella ossalica (acido ossalico che si elimina con le urine), per chi ha problemi di circolazione sanguigna nelle vene superficiali e per le mamme che allattano i loro neonati.

Se non si fa parte di queste categorie, invece, il rabarbaro è un toccasana. Stimola l’appetito, evita l’acidità di stomaco, favorisce le funzioni epatiche. E’ anche un leggero lassativo, in grado cioè di regolare le funzioni dell’intestino, senza ottenere effetti indesiderati. A questo scopo si assumono due o tre grammi di polvere.

Ma questa pianta è anche molto adatta ai bambini, soprattutto se troppo magri o debilitati. Col rabarbaro, poi, si prepara il “vino della salute”, utile quando, dopo un’influenza, l’organismo stenta a riprendersi. Lo si prepara mettendo a macerare ottanta grammi di rabarbaro cinese, trenta grammi di corteccia d’arancio amaro e tre o quattro semi di cardamono in un litro di marsala. Si lascia il tutto in infusione per dieci giorni, scuotendo di tanto in tanto. Alla fine si filtra e si bevono quattro bicchierini al giorno.

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