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Urdukas mai più come prima, il racconto e le foto della frana di metà agosto

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Udukas (Photo courtesy Carlo Caimi)

URDUKAS, Pakistan — Il 16 agosto scorso, ai 4.000 metri dell’oasi pakistana di Urdukas, ultimo tradizionale luogo di sosta prima di affrontare il ghiacciaio del Baltoro, una frana ha ucciso tre persone. Erano tre portatori pakistani che accompagnavano alcuni turisti nel trekking verso i campi base del K2 e delle alte vette del Karakorum, e il masso franato era un grosso blocco di roccia, tanto famoso da aver dato il nome al posto stesso. Un lettore, Matteo Crespi, è stato testimone dei fatti e ha voluto raccontarci quanto visto di persona, con parole e immagini inedite.

L’incidente, accaduto proprio all’indomani del Ferragosto, è stato confermato anche dai collaboratori della sede pakistana del Comitato EvK2Cnr i quali raccontano come il nome stesso del campsite, “Urdukas”, significhi in lingua Balti “grande roccia spaccata”. In sostanza quel masso franato a metà mese, blocco ben noto agli alpinisti frequentatori del Baltoro, era tanto caratteristico della zona da averle dato addirittura il nome. Per questo si può dire che Urdukas non sarà più letteralmente “Urdukas”, di certo non sarà più come prima.

Quello che vi offriamo di seguito è la testimonianza del lettore Matteo Crespi che quel giorno si trovava proprio ad Urdukas insieme alla moglie e ad alcuni amici. Fortunatamente gli italiani sono scampati tutti alla frana senza nessuna conseguenza. Queste le sue parole e le immagini di quell’evento drammatico.

“Il 16 agosto io, mia moglie (Anna Macchi) con due amici (Carlo Caimi e Luisa Brognara) siamo arrivati intorno alle 13.00 a Urdukas. Ci stavamo dirigendo verso il Concordia per un trekking al Campo Base del K2. Il tempo era piuttosto incerto. La nostra guida e i nostri porters avevamo montato le nostre tende, la tenda cucina e la tenda mensa.

Nel frattempo abbiamo fatto conoscenza con un altro gruppo di 13/14 persone già accampato dal giorno precedente. Era un gruppo inglese (anche se la composizione era mista, noi avevamo infatti chiacchierato con un canadese). Abbiamo mangiato qualcosa nella tenda mensa e successivamente siamo entrati nelle nostre tende per sistemare i nostri bagagli e i sacchi a pelo per la notte. Dopo pochi minuti abbiamo sentito un rumore assordante e soprattutto le grida confuse dei porters. Carlo e Luisa (molto più esperti di me e mia moglie di montagna) sono subito usciti dalla tenda e ci hanno gridato di uscire immediatamente. Abbiamo sentito un sasso sulla nostra tenda. Quando siamo usciti tutto era già finito … le nostre tende erano state sfiorate dell’enorme masso che si era staccato mentre la nostra tenda mensa (che avevamo abbandonato da circa dieci minuti) era stata schiacciata.

Il grande masso di Urdukas famoso tra moltissimi rocciatori e che molti avranno visto su tante e tante foto … si era improvvisamente staccato rotolando a valle. Il tempo di abbracciarci con i nostri compagni, la nostra guida e il nostro cuoco …. e poi il pianto dei portatori. Non dimenticheremo mai qual momento … tre di loro non si trovavano, molti erano feriti di cui 4 purtroppo gravemente. Nel gruppo inglese fortunatamente c’erano due medici che sono intervenuti a soccorrere i feriti gravi (tre nostri porters e uno dell’altro gruppo) … ma tre purtroppo erano invece morti (tutti e tre dell’altro gruppo).

Non abbiamo avuto il coraggio di fotografare quei momenti….. Non dimenticheremo mai il volto di un portatore anziano che con gli occhi umidi ci faceva segno 3 con le dita seguito da un gesto con l’altra mano con la quale faceva segno: “spazzati via”.

Nel frattempo piovigginava e le nuvole si erano abbassate. Tramite un telefono satellitare le guide hanno contattato le loro agenzie e hanno richiesto l’intervento dei soccorsi. Solo il giorno successivo il 17/08, poco dopo le 11.00 del mattino, finalmente è arrivato un elicottero militare che ha caricato i 4 feriti gravi (uno dei nostri portatori aveva una gamba rotta in due punti, un altro un braccio rotto mentre il nostro capo portatore era stato ferito alla testa) e i corpi dei poveri morti che alcuni portatori avevamo ininterrottamente vegliato.

Il grave fatto ha chiaramente avuto ripercussioni sul nostro trekking. Molti nostri porters e dell’altro gruppo non volevamo giustamente più proseguire. Abbiamo capito le loro ragioni e, per quanto ci riguarda, siamo riusciti a risolvere il nostro problema piuttosto velocemente. Abbiamo dovuto rinunciare a rientrare dal Gondogoro La (comunque già incerto per le condizioni climatiche) sostituendo i porters mancanti con cavalli e asini. L’altro gruppo, molto più numeroso, ha avuto qualche problema in più ma, prima di lasciarci, abbiamo saputo che fortunatamente anch’essi avevamo trovato una soluzione per proseguire”.

 

 

Foto  Carlo Caimi

 

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