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Karakorum, lo sviluppo delle montagne passa per le miniere

Corso Mining progetto Seed
Corso Mining progetto Seed (foto M. Gallo)

BERGAMO — Muoversi in bilico su pareti impervie e altissime. Calarsi dentro grotte buie e sconosciute. Esplorare anfratti nascosti del Karakorum alla ricerca di pietre preziose. L’attività in miniera, tra le montagne del Pakistan, negli ultimi anni è cresciuta in modo esponenziale e molti portatori d’alta quota hanno lasciato la loro occupazione per cercare fortuna tra le rocce. Ma la sicurezza, la tutela dell’ambiente e la preparazione tecnica sono ancora problemi aperti: il progetto Seed del Comitato EvK2Cnr sta cercando di intervenire con dei corsi di formazione che stanno riscuotendo molto successo. Ecco un’intervista a Maurizio Gallo, responsabile tecnico del progetto, che nelle scorse settimane si trovava in Pakistan proprio per seguire uno di questi corsi.

Gallo, come è nato il progetto sull’attività in miniera?
Le attività del progetto Seed coprono moltissimi settori. Uno di questi riguarda la formazione e la sicurezza nel settore delle pietre preziose, che da alcuni anni attira molta forza lavoro. Negli ultimi viaggi laggiù ho notato che l’attività dei minatori nell’area intorno al Parco del K2 è cresciuta tantissimo. Le pareti di roccia che fino a qualche anno fa avevano sì e no qualche traccia di bianco, adesso sono un vero colabrodo: ci sono buchi dappertutto e minatori che si muovono in parete, passando da un buco all’altro e qualche volta rischiando anche la vita. Moltissimi portatori hanno smesso di scalare per cercare fortuna con le pietre preziose e tutta l’area del Braldo, nella parte bassa, è piena di miniere. In questa situazione, si è pensato di far partire corsi di formazione per l’attività mineraria, con l’obiettivo di renderla più sicura, sia dal punto di vista dell’uso degli esplosivi sia dal punto di vista dei materiali anche di tipo alpinistico che spesso sono usati per raggiungere questi siti incredibili e pericolosi.

Come sono organizzati i corsi?
Li abbiamo organizzati in collaborazione con la Karakorum International University, coinvolgendo dei geologi italiani esperti in mineralogia, e dei geologi pakistani. I corsi sono programmati ogni semestre e prevedono la formazione di una cinquantina di minatori scelti a campione nelle diverse aree dove sono dislocate le miniere. Il corso dura una settimana: 5 giorni sono dedicati alle tecniche di miniera, all’uso di esplosivi poco invasivi, all’esplorazione delle grotte e all’uso di metodi idonei a preservare la maggior parte dei minerali. Io mi sono poi occupato della sicurezza e dell’uso di materiale alpinistico – ad esempio salita e discesa dalle pareti con le jumar – e di primo soccorso. Sinora abbiamo fatto due corsi, il primo sulla zona di Dassu e il secondo tra Gilgit e Skardu.

La partecipazione è stata quella che vi aspettavate?
I corsi sono andati benissimo e abbiamo avuto un feedback entusiasta sia dagli “allievi” che dalle autorità. Devo dire che ce n’era bisogno. Siamo stati sul Rakaposhi ad esercitarci sulle tecniche di scalata e assicurazione. Riguardo l’uso di materiale alpinistico siamo veramente lontani da situazioni di sicurezza anche minima: spesso usano le corde e le attrezzature recuperate in alta quota. Cose vecchie e usurate, in condizioni tali che noi le avremmo già buttate nella spazzatura. Mi pare sia importante continuare questo tipo di esperienza.

Cosa ha portato EvK2Cnr ad impegnarsi sul fronte dell’attività mineraria?
La cosa importante è che questa attività si svolge in un’area interna e limitrofa al Parco del K2, dove è necessario trovare un equilibrio tra l’attività di miniera e la tutela del Parco anche in vista del management plan che si dovrà preparare a breve. Parlo per esempio di tecniche di estrazione meno invasive, di alleviare il disturbo agli animali ma di lasciare alle popolazioni locali la possibilità di continuare questa attività in maniera sostenibile.

 

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