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La Nord del GI come due mesi di galera: lo sfogo dei protagonisti

barmasse bernasconi - Discussione con lo staff cinese
Discussione con lo staff cinese

LECCO – “Non è stata una spedizione alpinistica. E’ stata solo un’esperienza per molti aspetti amara. Con tutta la preparazione che avevamo fatto, quei due mesi di frustrazione sono stati come due mesi di galera”. Sono passate diverse settimane dalla conclusione della spedizione alla Nord del Gasherbrum I, ma la rabbia di Daniele Bernasconi, Hervè Barmasse e Mario Panzeri per l’incomprensibile evoluzione di quel viaggio è più viva che mai. Ecco il loro sfogo ai microfoni di Montagna.tv.

Bernasconi, Barmasse e Panzeri sono partiti dall’Italia venerdì 11 giugno 2010. La destinazione era la parete Nord del Gasherbrum I, 8.061 metri, che sorge in territorio cinese oltre la Shaksgam Valley. Dovevano arrivarci dopo circa dieci giorni dalla partenza, ma tra disguidi logistici, incomprensioni con l’ufficiale di collegamento e ammutinamenti di portatori, ci sono arrivati solo a metà luglio. Quando ormai i giorni erano contati per l’imminente scadenza dei permessi di salita. Ma com’è potuto accadere tutto questo? I racconti degli alpinisti sono a tratti agghiaccianti.

“Da quando abbiamo messo piede in Cina a quando siamo usciti, nulla è andato come doveva – dice Daniele Bernasconi –. Quello è un paese dove non si può girare da soli, nessuno sa l’inglese e non si capiscono i cartelli stradali. L’agenzia di solito pianifica tutto e fornisce servizi di base, fondamentali, come l’interprete senza il quale qualsiasi cosa diventa difficilissima. Il nostro era una persona che non sapeva come muoversi nella città, che non sapeva né l’inglese né il cinese ma solo lo iuguro. I nostri bidoni non erano in un deposito ma accatastati per strada. Poi abbiamo fatto un viaggio in jeep dove ci è stato chiesto di ri-pagare passi e alberghi. Anche il cibo locale che l’agenzia aveva portato, secondo noi, era insufficiente e sbagliato”.

“Il cuoco era l’autista. – racconta Panzeri –. L’aiuto cuoco era l’ufficiale di collegamento. Ogni persona aveva 3 compiti e non aveva competenze in nessuno. La cosa più grave è che l’ufficiale di collegamento non sapeva dove dovevamo andare, voleva mandarci al Gasherbrum II. Noi dicevamo: no no, quello l’abbiamo già salito, dobbiamo entrare in questa valle, arrivare al GI. Lui niente, voleva che andassimo al GII. E’ come dire che vuoi andare al Resegone e uno ti manda in Grigna!”.

“Ci hanno lasciato a 50 chilometri di distanza dal campo base – continua Barmasse -. Questa non è una cosa risolvibile, è un problema insormontabile. Non abbiamo avuto tempo di studiare la parete, che non è assolutamente facile. Ma oltre all’insuccesso, quello che brucia è il trattamento. Abbiamo ricevuto minacce. Venti portatori sono venuti nella nostra tenda pretendendo il pagamento di 27.000 dollari e poi altri soldi. Non siamo stati in condizioni di provare la montagna per cose estranee alla nostra volontà e alla nostra capacità”.

“Non so come sia potuto accadere – prosegue Bernasconi -. Sono stato più volte nel Sinkiang, questa zona della Cina, ma non mi è mai capitato di avere problemi del genere. Tra tutti – io, Mario, Hervè ed Agostino – abbiamo all’attivo qualcosa come 60 spedizioni. E dire che la nostra parte di logistica era indovinata. Avevamo tutti i materiali, tutto l’equipaggiamento preparato in Italia con Agostino. Ma lì, in Cina, non c’erano persone che sapevano fare il loro lavoro”.

“Dall’agenzia italiana non abbiamo mai ricevuto supporto. – racconta Panzeri -. Il responsabile dell’agenzia avrebbe dovuto venire giù a vedere come ci hanno trattati. Nelle spedizioni capitano spesso problemi logistici, ma si tratta di solito di discussioni con i portatori che vogliono qualcosa in più di mancia. Piccole cose che non influiscono sulla parte alpinistica del viaggio, al massimo ti tolgono qualche soldo di tasca ma sai quanti sono. Questa spedizione, a sapere che era così, non doveva nemmeno partire. Abbiamo buttato via due mesi”.

“Non è stata nemmeno una spedizione alpinistica – precisa Bernasconi -. Quattro giorni al campo base invece di 35, per aprire una via nuova. Assurdo. In così poco tempo non si può toccare una montagna del genere, sarebbe un suicidio. Mi è capitato di stare via in spedizione per molto tempo senza andare in cima, come al K2 da Nord. Ma lì è andata male, punto. Lì si poteva parlare di alpinismo, di condizioni, di montagna. Stavolta no”.

“Sono d’accordo con Daniele – dice Panzeri -. Non è stata una spedizione alpinistica. Non ci volevano far nemmeno attraversare il ghiacciaio, ci volevano abbandonare lì nel nulla. Siamo arrivati sotto la parete solo perché Agostino, quand’è arrivato, ha sistemato un po’ le cose pagando di tasca sua. Ma ormai era tardi. Qualcuno ha detto che siamo incompetenti e che facevamo i capricci. E’ ridicolo. Noi siamo andati giù per scalare, e non avremmo mai chiamato o fatto quel can can, se non fosse stato davvero necessario”.

Forse non tutto è da buttare di quei due mesi. Ma la rabbia è ancora troppo forte e, per il momento, offusca il resto. Cosa cambiare e cosa tenere dell’esperienza vissuta, dunque? “Terrei solo il numero di persone per la stessa salita – tre persone, massimo 4 – e il tempo per studiare questa via da sotto. Mi acclimaterei ancora su una di quelle montagne inviolate per essere pronto allo stile alpino su quella grande montagna. Del resto, cambierei tutto, innanzitutto l’agenzia cinese e ovviamente quella italiana”.

I tre alpinisti sono tornati a casa con una prima salita in stile alpino, quella al Venere Peak di 6.300 metri. Sono rimasti affascinati dall’ambiente selvaggio in cui sono stati. Ma nessuno di loro riesce a pensare ad un eventuale ritorno in tempi brevi.

“Parlare adesso di un ritorno è prematuro – dice Bernasconi -, magari se si ricreassero le condizioni, tra cui metto anche la volontà di andare, chissà. Ma adesso proprio non riesco a pensarci”. Barmasse ribatte: “E’ un ambiente grandioso. C’era tanta motivazione e senz’altro ho voglia di tornare ma dopo un’esperienza del genere ci vorranno almeno un paio d’anni per rimotivarsi”. “Non credo che ritornerò – assicura invece Panzeri – con i cinesi non ho più tanta voglia di trattare. E’ vero che nella vita non si sa mai, ma adesso come adesso direi di no. L’anno prossimo tornerò al GI, ma di sicuro andrò dal Pakistan”.

Valanga sulla Nord del G1
Valanga sulla Nord del G1

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4 Commenti

  1. Veramente un peccato, si sente la vostra rabbia.
    Mi piacerebbe sapere esplicitamente i nomi delle agenzie.

    In bocca al lupo per la prossima.

  2. mi dispiace per tutti questi problemi non previsti. Io sono anche stato in quella zona,arrivando a Kansghar dal Kirghistan e andando sulla Karakorum Highway fino al confine col Pakistan. Ho avuto anch’io problemi di logistica con ritardi enormi e burocrazia infinita ma sicuramente non come voi. Il nostro cuoco era un cuoco e la nostra guida parlava inglese per cui era tutto più semplice.Siete stati abbastanza sfigati. Ma ci sarà un altra volta,sicuramente. E poi sono luoghi bellissimi che meritano anche solo una visita turistica 🙂

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