AlpinismoAlta quota

Moro e Mondinelli: Nones e quella parete

Nones Walter
Walter Nones, spedizione K2 2004

BERGAMO — Sconcerto e ricordi. Ecco cosa regna nel mondo alpinistico in questo momento di attesa, senza notizie precise e senza racconti, dopo l’incidente mortale di cui è rimasto vittima Walter Nones sul Cho Oyu, in Tibet. Abbiamo sentito per voi Silvio “Gnaro” Mondinelli, che fino a pochi giorni fa era al campo base della montagna con Nones, e Simone Moro, che non più di un anno fa voleva tentare una via nuova sulla stessa parete.

Voleva ritornare in Himalaya, Walter Nones, dopo la terribile esperienza sul Nanga Parbat di due anni fa in cui aveva perso l’amico e capospedizione Karl Unterkircher. Ma il ritorno tra le grandi vette, che lui voleva fosse scritto all’insegna dell’esplorazione e di una via nuova, è purtroppo finito a sua volta in tragedia. Un incidente non ancora chiarito, su cui per ora si fanno solo ipotesi e commenti. Una storia che si ripete e che è difficile interpretare.

“Purtroppo con i se e i ma non si cambiano le cose – dice Mondinelli, che ora si trova a Kathmandu e fino a pochi giorni fa era al campo base del Cho Oyu insieme a Nones e compagni. Mondinelli, che voleva salire dalla via normale con alcuni clienti, stava rientrando perchè le condizioni della montagna al momento erano troppo pericolose. Nella capitale nepalese è stato avvertito dell’incidente direttamente dal campo base.

“Quello che dispiace – dice Gnaro – è che noi alpinisti, per la nostra passione e forse il nostro egoismo, finiamo sempre per lasciare a casa persone sole. In un modo o nell’altro. E in alcuni casi dei bambini finiscono per conoscere il loro papà solo in fotografia. Io voglio ricordare Walter come nel 2004. Quando sul K2, invece di scendere, ha aspettato con me Edurne all’inizio delle corde fisse. Era già buio, e senza il suo aiuto non avremmo ritrovato la strada per scendere. E’ il ricordo più bello che ho di lui e che voglio conservare”.

“Mi colpisce il fatto che questa spedizione sia finita nello stesso modo del Nanga Parbat – commenta Simone Moro – con due che vengono a casa e uno, stavolta lui, che rimane là. Io l’ho conosciuto dopo il Nanga Parbat, l’ho incontrato diverse volte di cui l’ultima quest’estate al Karl Unterkircher Award. Abbiamo parlato molto del progetto che aveva sul Cho Oyu, perchè la parete Sud ovest era quella che volevo tentare io con Hervè Barmasse l’anno scorso, prima che i cinesi chiudessero i confini. Era stato molto corretto: sapendolo, mi aveva chiamato e mi aveva chiesto se per caso ci volevo andare io in autunno. Gli avevo fornito fotografie e informazioni. Mi era sembrato uno tranquillo, posato, che sapeva il fatto suo e che teneva alla famiglia e al lavoro. Tutt’altro che un kamikaze o un irresponsabile, insomma. L’incidente mi fa pensare ad una fatalità, anche se non ci sono ancora notizie precise sull’accaduto”.

“E’ una parete bellissima – prosegue l’alpinista bergamasco – è alta 2 chilometri nel punto piu alto, offre parecchie possibilità e non mi sembra particolarmente pericolosa. Ci sono già tre vie lassù: la Kozjek e la giapponese aperte in solitaria e la Kurtyka-Loretan-Troillet. Walter voleva salire tra queste ultime due, anche se dal suo sito non si evince se poi abbia seguito quest’idea. Comunque, è una parete difficile tecnicamente, ma non ha seracchi sospesi o altre trappole simili. So che è stato un autunno nevoso e se dalla normale ci sono state valanghe, probabilmente qualcosa c’era anche qui. Una valanga, o una cornice, potrebbero essere la causa del fatto che l’abbiano trovato alla base della parete. Ma sono pure supposizioni”.

A ricordare Nones c’è anche Gianni Alemanno, sindaco di Roma, che aveva conosciuto Nones durante la spedizione al K2 del 2004 di cui fu capospedizione onorario. “E’ morto un grande dell’alpinismo italiano e una grande ed umanissima persona – ha detto Alemanno -. Lo ricordo con rispetto e simpatia. Un abbraccio affettuoso alla famiglia di Nones e all’Arma dei Carabinieri per testimoniare la nostra vicinanza”.

Walter Nones avrebbe compiuto 39 anni il prossimo 5 novembre. Nato a Cavalese, in Trentino, e cresciuto in Val di Cembra, da anni viveva in Val Gardena dove lavorava come guida alpina e istruttore di alpinismo e sci presso il Centro Carabinieri Addestramento Alpino di Selva Val Gardena.

Nones aveva salito il K2 senza ossigeno nel 2004, con la spedizione del cinquantenario organizzata da Agostino Da Polenza. Poi era tornato in Himalaya per due prime salite: il Mount Genyen, 6.240 metri in Tibet nel 2006, e il versante Rakhiot del Nanga Parbat nel 2008. Entrambe le volte il capospedizione era Karl Unterkircher, morto tragicamente in un crepaccio proprio al Nanga Parbat.

“Dopo la tragedia del Nanga Parbat – scriveva Nones alla vigilia della partenza – solo ora ho la mente sufficientemente sgombra per affrontare una nuova spedizione. È chiaro che certe esperienze ti rimangono impresse come un marchio, che la vita è fatta di momenti di gioia e di dolore, ma voglio guardare avanti”.

La parete Sud Ovest del Cho Oyu (Photo courtesy Simone Moro, 8000 metri di vita, Ed. Grafica & arte)
La parete Sud Ovest del Cho Oyu (Photo courtesy Simone Moro, "8000 metri di vita", Ed. Grafica & Arte)

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15 Commenti

  1. Il grande Wimper dopo la tragedia sul Cervino disse di non voler salire mai più le montagne,veder morire i compagni è un dolore che dura una vita non un paio di anni.

  2. condivido pienamente Gnaro, è la montagna che chiama i suoi più appasionati attori e non è un detto è la verità…chi non lo avverte (ed èd fortunato a non sentirlo) non riesce a capire….se posso permettermi di parlare di Mondinelli lo vedo come tipico esempio di ciò che intendo dire, nella sua vita ha fatto tutti i 14 ottomila senza ossigeno, oramai ha raggiunto il massimo a cui un hymalaista possa aspirare ma cosa fà il Gnaro? si cimenta nuovamente su un ottomila, si rimette in gioco…ma chi glielo fà fare? Soltanto la GRANDISSIMA PASSIONE

  3. non ti sembra di andarci un po’ pesante con i giudizi Luigi? giusto almeno per il dovuto rispetto non mettiamoci a giudicare i sentimenti altrui…

  4. Ricordo le parole del suo compagno di viaggi il grande Karl Unterkircher :” quando il Signore ci chiama, bisogna andare”, credo che in questa frase ci sia la risposta ad ogni interrogativo.

  5. ragazzi io l’ho visto una sola volta e ci ho parato insieme e ho capito che avevo davanti un grande non giudicate un alpinista per quello che fa perchè è la loro vita e se non la vivete non potete capire neanche cosa provano e perchè lo fanno

  6. ogni volta che leggo di queste morti in montagna mi chiedo se ne valga veramente la pena , sopprattutto per quanto riguarda l alpinismo himalayano che secondo me è una forma di autolesionismo estremo .se si pensa che è cosi grande la sofferenza che una volta giunti in vetta non si a neanche la forza di gioire ! proporrei l alpinismo d alta quota solo per chi non a affetti .

  7. La montagna per i grandi alpinisti è moglie e amante messi insieme”, così scriveva nei suoi commenti mio marito (Chicco ). Purtroppo l’alpinismo si definisce in “malato di montagna” comprensibile soltanto da chi sta molto vicino vivendo queste esperienze congiuntamente.E come dice Gnaro purtroppo rimangono le moglie sole e figli senza padre.

  8. io lo conoscevo molto bene e se non posso giudicarlo come alpinista lo posso tranquillamente giudicare come persona e dico solo MAGARI IL MONDO SIA ABITATO DA PERSONE COME LUI ciao WALTER

  9. non lo conoscevo il Walter di persona, ma ho letto i libri di della moglie di Karl e di Walter, nn si deve mai giudicare gli altri ma soltanto cercare di capire, è stato interessante leggere anche il libro “mio padre Herman Buhl” scritto dalla figlia più grande, mi è sembrato che il grande eroe ed alpinista d’Austria sia niente rispetto alla grande eroina che è stata la moglie!!!!
    In ogni caso mi dispiace tantissimo per Nones, un abbraccio alla moglie e ai figli.
    lu

  10. non conoscevo Walter se non per la sua fama. E’ comprensibile che tanti bambini e bambine piccole si trovino così presto senza padre? E’ plausibile che giovani compagne perdano per sempre il loro uomo? Bello il libro della Coffey (L’ombra della Montagna) timidamente avrebbe voluto aprire una discussione sul senso della vita e dell’alpinismo “estremo”. Dibattito che non si è sviluppato ma che spesso si ripropone quando succede qualche tragedia. Secondo me sarebbe meglio che un alpinista, o chiunque altro, si recasse a trovare il “Signore” il più tardi possibile . Se io fossi un dio intelligente, le persone migliori le vorrei sulla terra, accanto ai suoi cari… ci sarebbe comunque l’eternità per stare accanto ad uno dei vari dii…(per chi ci crede…)

  11. due che rinunciano e uno che prosegue…bisogna sapersi fermare “viste anche le circostanze”, lo hanno fatto in tanti in tutti questi anni..
    esprimo profondo cordoglio ai famigliari

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