Alpinismo

Soccorsi al limite del possibile: intervista a Gerold Biner dell'Air Zermatt

Gerold Biner
Gerold Biner

ZERMATT, Svizzera – “Per noi la questione non è se soccorrere o no. E’ come fare un intervento in sicurezza, anche per i soccorritori. Ad ogni problema, cerchiamo una soluzione: è così che abbiamo iniziato a intervenire sulla Nord dell’Eiger e ora anche in Nepal”. Così parla Gerold Biner: con oltre tremila interventi alle spalle, è uno dei piloti più esperti dell’Air Zermatt, la celebre organizzazione di volo e soccorso svizzera che si è occupata dei più difficili soccorsi in montagna, compresi quelli di Tomaz Humar in Himalaya.  Lo abbiamo intervistato, chiedendogli retroscena e segreti di quei soccorsi al limite del possibile.

Gerold, da quanto tempo fai il soccorritore?

Da 28 anni, ho iniziato nel 1983. Prima come assistente di volo, poi meccanico d’elicottero. Nel 1988 ho cominciato a volare.

Quanti interventi hai fatto nella tua carriera?

Più di 3000. E’ sempre un lavoro difficile, alcune volte più di altre, e spesso gioca anche la fortuna. L’Air Zermatt è celebre per i suoi interventi al limite del possibile…

Diciamo che cerchiamo sempre di trovare una soluzione quando c’è un problema, di andare avanti e non fermarci su quello che sappiamo fare. Cerchiamo sempre la soluzione migliore, anche per i soccorritori. Così l’Air Zermatt è stata la prima a fare interventi sulle pareti Nord dell’Eiger e del Cervino e per questo si è fatta un nome.

Com’è, da pilota, volare su quelle pareti?

Non è una cosa semplice. Bisogna avere esperienza. Ma per me, le montagne più difficili dove fare soccorso sono quelle a ovest di Zermatt, dal Weisshorn al Rothorn, e anche il Cervino, perché là c’è sempre tempo brutto e sono delle creste molto affilate. E’ un pericolo per noi, perché abbiamo sempre problemi con il vento e con la nebbia.

Voi fate soccorsi di notte e con il gancio baricentrico, cose che in Italia sono vietate…

Abbiamo fatto tanti soccorsi sulla parte italiana del Monte Rosa e delle Alpi, soprattutto di notte perché in Italia non potevano muoversi e così chiamavano noi. Usiamo sia il verricello che la “corda fissa”, il baricentrico. E’ una tecnica che usiamo da 30 anni, perché come piloti facciamo tanto lavoro al gancio quando lavoriamo per gli impianti in montagna: tutti abbiamo dalle 7 alle 10mila ore di volo al gancio. E’ molto importante questa esperienza quando devi fare dei soccorsi. Se fai solo 2-3 interventi difficili all’anno non hai la stessa dimestichezza.

Come avviene la vostra formazione?

Sul campo. Di recente, con l’Ufficio federale per l’aviazione civile, abbiamo concordato delle linee guida per la formazione dei piloti, che devono avere tutti le stesse capacità e la stessa esperienza.

Il baricentrico è la tecnica che state usando in Himalaya?

Sì, perché il verricello pesa 30-40 chili e alle quote himalayane è fondamentale la leggerezza. Bisogna avere il minor peso possibile, altrimenti è difficile avere la potenza in quota, oltre i 6000 metri in particolare. Noi siamo lì perché ai piloti nepalesi serve soprattutto la formazione, devono fare esperienza al gancio in montagna, non possono iniziare a fare soccorso dal niente.

L’Air Zermatt ha fatto direttamente dei soccorsi laggiù?

Abbiamo fatto 2 interventi per Tomaz Humar, la prima volta sul Nanga Parbat dove però hanno volato i pakistani, tra l’altro facendo un grande errore: Humar è rimasto ancorato alla vite da ghiaccio quando l’elicottero è ripartito. Sono stati fortunati a non schiantarsi. La seconda volta è stato l’anno scorso al Langtang Lirung, in Nepal.

Lì è nata la partnership con la Fishtail Air?

Sì, dopo quel soccorso c’erano due possibilità. La prima era dire: “abbiamo fatto il lavoro, ciao e grazie”, l’altra era dare supporto ai piloti nepalesi perché imparassero a intervenire da soli. L’Air Zermatt non ha mai avuto interesse a fare servizio di soccorso alpino in Nepal, vuole che imparino loro a lavorare per il loro paese. Così abbiamo deciso di fare questo scambio: ora i piloti nepalesi vengono qui a Zermatt per fare formazione e noi effettuiamo con loro gli interventi laggiù. L’obiettivo è che fra due anni possano fare soccorso in Himalaya autonomamente.

Quanti piloti sono stati formati?

Per adesso ci sono 2 piloti nepalesi a Zermatt. Hanno finito un corso di introduzione al gancio da 30 metri e tra poco cominceranno a lavorare col gancio “human cargo” con un soccorritore attaccato alla fune. Impareranno a usare i sistemi di comunicazione con lui.

Fino a che quota è possibile fare soccorsi?

La certificazione degli elicotteri arriva a 7000 metri. Credo che con un vecchio Lama possiamo anche andare più in alto, ma non abbiamo l’autorizzazione del costruttore. Comunque, l’Eurocopter B3 a 7000 metri in effetti è alla fine della potenza, con un pilota a bordo, una persona al gancio e 70-100 litri di carburante.

Chi sostiene i costi dei soccorsi in Himalaya?

Abbiamo parlato col governo nepalese lo scorso marzo e abbiamo proposto di fare come in Europa, dove i governi finanziano il servizio di soccorso, ma il Nepal è lontano da questi livelli. Per ora, sono le agenzie di trekking a dover anticipare i soldi per far partire l’elicottero. Per la gente nepalese, invece, la Fishtail Air ha un prezzo speciale: loro fanno soccorso anche alla gente comune, non solo ad alpinisti stranieri e turisti. Questo è molto importante.

Qualcuno dice che i soccorsi d’alta uccidono l’himalaysmo. Cosa ne pensi?

Come possiamo non essere d’accordo quando si salva una vita? Ho problemi a capirlo. Ho sentito dire che noi siamo i “killer dell’avventura”. Ma è un pensiero creato trent’anni fa, quando hanno fatto le prime salite degli 8000 senza ossigeno. Da oltre un decennio la situazione è cambiata: quest’anno, per esempio, c’erano mille persone al campo base dell’Everest: dove è l’avventura là? Là dove sono in 200 su una corda fissa che sale al Lhotse? Tanta gente ha dei problemi in alta quota, capita anche agli alpinisti più forti di avere sfortuna, magari hanno un problema e non riescono a scendere da soli.

Humar era un fuoriclasse. Era contento di essere stato salvato dall’elicottero?

Assolutamente. L’abbiamo incontrato a Lubiana l’anno dopo, era contentissimo e mi ripeteva che è stato un miracolo sentire quell’elicottero dalla parete. Ho ancora tuttte le email che mi ha scritto dopo il soccorso per ringraziarci. Noi non avevamo voluto intervenire di nostra iniziativa, ma i pakistani si erano rifiutati di soccorrerlo e così hanno chiesto il nostro aiuto. Anche dei super alpinisti possono incontrare situazioni difficili e non credo che per forza sia perché vanno oltre il limite, o perché tanto sanno che c’è il soccorso. C’è ancora la situazione dove non possiamo partire perché magari c’è brutto tempo. Ma se possiamo, perché no?

Per noi la questione non è se soccorrere o no. E’ come facciamo a fare un intervento sicuro, anche per i soccorritori? Per questo siamo in Nepal. Bisogna portare i loro piloti ad un certo livello, devono saper scegliere in quali condizioni possono operare in sicurezza. Noi abbiamo 40 anni di esperienza, non solo positiva, tante volte negativa, e questa è la nostra forza. Anche in Europa. Faccio un esempio: alla commissione internazionale del soccorso alpino, Cisa Ikar, abbiamo visto che tante organizzazioni non hanno la comunicazione diretta tra pilota e soccorritore al gancio. Sono cose importanti, quando mancano c’è pericolo e questo causa tanti incidenti.

Nei soccorsi sulle Alpi, vedi tanta gente inesperta?

Noi facciamo 1500 interventi all’anno, di cui 200-300 in alta quota. Quest’anno abbiamo avuto meno morti. Credo che sia perché la gente impara ad usare i materiali correttamente. Anni fa, per esempio, gli alpinisti dell’Est non avevano nemmeno i materiali di sicurezza. Poi li hanno avuti ma non li usavano propriamente. Ora è soprattutto la sfortuna a causare gli incidenti, come quello sul Lyskamm dove sono morti due italiani. Poi, c’è sempre gente che va in cima verso le due del pomeriggio e questo è pericoloso, ma comunque questi casi di inesperienza sono meno rispetto a quelli dove gioca la sfortuna.

In Svizzera se si chiede l’intervento dell’elicottero si paga, vero?

Sì, è sempre l’alpinista ferito che deve pagare con la sua assicurazione. La maggior parte della gente ha 2-3 assicurazioni per questo. Dieci anni fa abbiamo privatizzato il salvataggio e i primi due o tre anni abbiamo avuto 250mila franchi non pagati, adesso la situazione è allineata. So che in Italia e Francia qualcuno vorrebbe usare questo sistema, perché ci sono stati casi in cui, siccome l’evacuazione è gratuita, qualcuno chiamava l’elicottero solo perché era stanco. Da noi non succede, perché pagano loro. se non sono feriti e non vanno all’ospedale. Io credo che questo sistema funzioni, ma molti sbagliano a valutarlo. Ci hanno chiamato tante volte per chiedere quanto costava l’eventuale intervento, ma questo non è il giusto approccio. Noi facciamo soccorso quando la gente ha bisogno e non parliamo dei costi, vediamo dopo, in qualche modo facciamo. Se hanno l’assicurazione o in altro modo. Ma non è la prima cosa da chiedere prima di partire.

I soccorritori dell’Air Zermatt sono volontari?

Sì, come in Italia. Abbiamo 12 volontari che fanno lo stesso numero di interventi di 50 gendarmi francesi. E’ un sistema valido: sono molto motivati ed è anche molto positivo per la loro esperienza, che cresce molto e in fretta. Anche in Italia, devo dire, ci sono basi di soccorso molto efficienti e un sistema perfetto.

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