Alpinismo

Simone Moro “picozza” il Grignetta d’oro

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BERGAMO — La sorpresa di constatare che l’alpinismo d’alta quota non interessa agli addetti ai lavori. L’amarezza di vedere tanti giovani cadere nell’oblio dei tecnicismi d’arrampicata e trascurare la comunicazione. La delusione per la scarsa educazione di molti personaggi durante la premiazione. Queste, in sintesi, le critiche mosse da Simone Moro alla quinta edizione del Grignetta d’oro, il premio alpinistico nazionale vinto da Rolando Larcher e Rossano Libera qualche giorno fa.

Moro, qual è il suo parere sull’edizione 2006 della Grignetta d’Oro?
In generale, non ne sono stato molto entusiasta. Tutta concentrata sui tecnicismi dell’arrampicata, poco coinvolgente per il pubblico. Questa Grignetta è stata un po’ come il Festival di Sanremo, dove spesso chi vince non rispecchia i gusti di coloro che sono fuori dalla giuria.
 
Ha delle perplessità sul verdetto?
Per correttezza umana e sportiva non discuto i vincitori. Tra le virtù di un uomo ci deve essere anche quella di saper perdere e accettare un verdetto. Ma voglio essere propositivo e costruttivo, in questa mia critica pacata ma sincera. Ci sono dei meriti evidenti: un nome su tutti quello di Manolo, che è l’unico che ha fatto la storia dell’arrampicata con e senza spit, con e senza corda. Ma pensavo che il verdetto dovesse sintetizzare abilità tecniche in diversi ambienti, abilità di comunicazione, professionalità. Invece ho visto che non è così. 
 
In che senso?
E’ evidente che la giuria predilige tecnicismi, stili che sono pura verticalità dove l’elemento rischio dato dall’alta quota o dalla neve – elementi classici di quello che pensavo fosse l’alpinismo a tutto tondo – non interessano. Tra i vincitori non c’è nessun elemento della montagna che non sia pietra e non c’è nessuna attività extraeuropea: Larcher, Libera, Manolo e Rabanser sono pietra per eccellenza, Marlier è principalmente salite su ghiaccio. Se l’obbiettivo fosse davvero solo ed esclusivamente gradi e tecnicismi allora anche il 9a e le gare vinte da Brenna meritavano almeno una nomination.
 
Parla addirittura di disinteresse verso l’alta quota?
Sì, disinteresse che si è palesato quando Merelli, arrivato un po’ in ritardo, si è visto dire “non preoccuparti, ci sarà comunque tempo per far vedere il tuo filmato”. Poi c’è stata la premiazione e solo dopo l’invito a proiettarlo. Secondo me è stato offensivo perché era come dire che tanto non avrebbe mai vinto. E lo dice uno che con Merelli non va proprio a tarallucci e vino, perché su molte cose dissentiamo.
 
Secondo lei, come si spiega questo atteggiamento?
Le cose sono due: o Nives Meroi, Mario Merelli, Karl Unterkircher, Silvio Mondinelli, io e molti altri stiamo facendo qualcosa che manca di fascino o forse gli addetti ai lavori le vedono come cose troppo lontane. Ho anche pensato che forse, il fatto di fare spedizioni lontane in periodi di ristrettezze economiche, possa dar fastidio a qualcuno.
 
Pensa che una giuria popolare avrebbe dato un giudizio diverso?
Quando Pirovano ha detto “sposiamo sicuramente i gusti della platea”, ho pensato che si trattasse di una platea diversa, perché i rumori che si sono sentiti lì non erano proprio di assenso. Mi è sembrato, durante la giornata, di vedere parecchia attenzione per qualcuno che alla fine non è stato premiato e viceversa. Ho visto imbarazzo e perplessità persino nei premiati: Libera (che rispetto e con cui ovviamente mi congratulo) non si voleva però nemmeno alzare dal tavolo perché non credeva di aver vinto. Tutto questo secondo me ha un significato.
 
Lei chi avrebbe premiato, se avesse fatto parte della giuria?
Io sono solo del parere che un grande alpinista è sia chi apre una via su roccia, sia su ghiaccio e misto, sia chi la apre in Himalaya. Visto che c’era la possibilità di dare due Grignette d’oro in contemporanea – cosa mai successa prima – e anche tre menzioni, si poteva dare un giudizio più equilibrato. Parlare di tutto l’alpinismo invece di far emergere solo l’elemento roccia o quasi. Al “Piolet d’Or” raramente vengono premiati solo i tecnicismi. O comunque, se ci sono cinque premi da assegnare, non vanno a finire tutti lì.
 
A suo parere, il verdetto rispecchia l’alpinismo moderno?
Per rispondere basta solo dire che nessuno dei vincitori riesce o vuole essere un professionista. Il mercato molto raramente premia i tecnicismi, o perlomeno evidenzia che è un mondo difficilmente comunicabile, anche se ha un forte gradiente di apprezzamento negli addetti ai lavori. Premia chi ha una storia, e nell’arrampicata si parla più che altro dell’etica di come uno arrampica (Manolo a mio parere è forse l’unico nel mondo della “roccia”  che veramente ha carisma e una diversa storia). Il tecnicismo nasce e muore lì, non lascia niente alla gente. Invece il viaggio, l’avventura, il rischio, l’incontro con diverse culture, la sopravvivenza sono elementi della vita, in cui le persone si immedesimano più facilmente e si sentono più coinvolte. Ecco perché la critica degli addetti ai lavori per me conta sempre meno.
 
Nel futuro dell’alpinismo, vede un prevalere dell’arrampicata?
Sicuramente, per molti, l’arrampicata è il punto di partenza, perché è vicina, divertente e appassiona le nuove generazioni. Ma nell’alpinismo in generale, prima o poi, è inevitabile un ritorno alle origini. Ci sono, per carità, anche gli spit, i gradi, le aperture delle vie dal basso o dall’alto. Giusto dunque che  vadano riconosciuti meriti e valori. Ma non dimentichiamoci il passato e da dove veniamo. Finora chi ha fatto parlare di alpinismo, guardare film e leggere pagine e pagine di libri sono persone come Cassin, Bonatti, Messner, Kammerlander, Bonnington. Gente che ha uno spirito completamente diverso. Che non si limitava ai virtuosismi. Ma nella montagna ci metteva la vita, aveva dei progetti, delle storie, delle filosofie.
 
Cosa pensa dei giovani che hanno partecipato alla manifestazione?
Ho notato che alla base della loro attività c’è il divertimento e non l’arrivismo: è una bellissima cosa. Hervè Barmasse è uno di quelli che preferisco: composto, educato, di contenuto, di stile.
Anche Brenna, Rabanser mi sono piaciuti come la sincera commozione di Larcher. Altri però li ho visti così coinvolti in quello che fanno che sono caduti nell’oblio del tecnicismo: sono lì che cercano di perfezionare al massimo un ragionamento che ruota attorno a quanti colpi dai su un chiodo e nient’altro. E’ assurdo. E molti hanno delle grosse lacune nella comunicazione.
 
Quanto è importante la comunicazione per un alpinista?
In un alpinista completo, l’abilità tecnica conta solo per il 30 per cento. Il restante 70 per cento non è fatto con le mani sporche di magnesio o la piccozza in mano: è fatto di sogni, progetti da comunicare e da scrivere. Tutti i grandi dell’alpinismo l’hanno capito. Troppi di quelli che ho visto alla Grignetta d’oro pensano forse che sia tempo perso. E sia chiaro che la comunicazione non la fa il PowerPoint o il Dvd, la fanno l’uomo e la sua storia. Qualcuno aveva storie interessanti ma delle barriere mostruose nel modo di raccontarle. Altri avevano dei bei video ma senza alcuna storia, solo musica di sottofondo. Invece, ad incantare, dev’essere la musica dei tuoi contenuti.
 
Ha parlato anche di alcune cadute di stile durante la manifestazione.
Sì, ci tengo a dire che alla cena e alla premiazione alcune persone hanno avuto occasione di esibire un livello di educazione pessimo. Alla presenza anche di un parlamentare, fare la gara ai bicchieri di vino o girare per i tavoli mezzi ubriachi non è stato un grande spettacolo di civiltà. Forse sto diventando vecchio. Ma, secondo me, la buona educazione e la professionalità non devono mai venire meno. Se quella è la crema dell’alpinismo…
 
Cosa cambierebbe della Grignetta d’Oro?
Non tanto i giudizi, che si devono sempre saper accettare, quanto la formula. Non va più fatta una sagra dove ci diciamo tra di noi quanto siamo bravi e quanto siamo belli, bisogna stimolare il dibattito. Dovrebbe raccogliere la crema dell’alpinismo italiano, in tutti i campi e specialità ma in un numero di persone meno numeroso di quello fatto quest’anno o per lo meno suddividerlo in due giorni di presentazione. E coinvolgere la gente, la platea. Un premio così prestigioso, uno dei pochi non a livello nazionale non può ridursi ad uno spettacolo autoreferenziale, lungo, monotono e con ubriacatura finale. Altrimenti che biglietto da visita è per l’alpinismo italiano?
 
Per chiudere il commento sul Grignetta d’Oro, mi piacerebbe fare una provocazione. Lo scopo di eventi come questo dovrebbe essere anche quello di coinvolgere gli appassionati, di mettere l’alpinismo alla portata di tutti. Ma se, invece che ai Resinelli, la Grignetta si fosse svolta a Milano, con una platea di mille persone, quanti di questi sarebbero stati ancora in sala alla fine della giornata? Quante domande, quante curiosità sarebbero scaturite alla visione dei filmati proposti da questi personaggi? Secondo me, molto poche in entrambi i casi. Quindi ben vengano i Resinelli o altra località di montagna ma in un cinema, senza luci e disturbi esterni e con il coinvolgimento del pubblico.
 
Parteciperà ancora al Grignetta d’oro?
Fermo restando che spero di tornare ancora alla prossima Grignetta d’oro e avere ancora qualcosa di diverso e spero più interessante da raccontare, vorrei che le mie parole fungessero solo da stimolo e venissero solo prese per questo. La Grignetta è stata e può essere il “Piolet d’or” dell’alpinismo italiano ma deve avere la maturità di fare autocritica, di accettare suggerimenti potenzialmente costruttivi, di aprire i suoi orizzonti a tutto campo e a tutti i volti del mondo verticale e per farlo deve sentire e stimolare tutte le varie e diverse opinioni. La mia è solo e semplicemente una di queste.
 
Abbiamo parlato molto del futuro dell’alpinismo. Cosa c’è, invece, nel futuro di Simone Moro?
Altri sogni, altri progetti, ho solo l’imbarazzo della scelta. Tra due giorni compio 39 anni, so che devo concentrare nei prossimi 10 anni la mia capacità d’azione. Poi continuerò con un alpinismo di ricerca.
 
E nel futuro più immediato?
Un’altra storia da raccontare, dove le vittorie e le sconfitte spero siano limitate al lato sportivo. Nei prossimi mesi partirò, ma ancora non ho detto a nessuno dove vado perché sto lavorando alla logistica e al budget. Se si fanno due calcoli, comunque, è chiaro che non sta arrivando l’estate e un’idea ce la si può fare. Probabilmente non sarà un progetto interessante per gli addetti ai lavori, ma sicuramente lo sarà per me, per la gente che mi scrive sul sito e che viene a vedere le mie serate.
 
 
Sara Sottocornola
 
 
 

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