Gente di montagna

A tu per tu con Barbara “Babsi Zangerl”, vincitrice del Premio Paul Preuss 2025

Dal boulder alla big wall, seguendo l’arte di trasformare ogni ostacolo in un’opportunità

È molto raro trovare arrampicatrici e arrampicatori che riescano ad avere successo in tante discipline diverse. Babsi Zangerl, in questo senso, è davvero la migliore scalatrice polivalente in circolazione”. Sono parole di Alex Honnold, che hanno trovato recente riscontro anche nell’assegnazione del Premio Paul Preuss 2025 proprio alla fuoriclasse austriaca, seconda donna – dopo Catherine Destivelle – ad ottenere questo riconoscimento.

Classe 1988, Barbara “Babsi” Zangerl ha iniziato la propria carriera da adolescente, affermandosi ben presto nelle competizioni, in special modo nel boulder, ma trovando anche una propria dimensione nell’arrampicata sportiva in falesia, specie dopo un brutto infortunio alla schiena nel 2009, che ha necessitato peraltro di una lunga convalescenza. Negli anni successivi, la Zangerl ha inanellato prime ripetizioni femminili di vie davvero dure ed ingaggianti, spostandosi gradualmente e con apparente facilità anche sulle grandi pareti. Otto vie salite in libera su El Capitan, fra cui la salita flash di Freeride, ma anche ascese di tutto rispetto in Europa e in Asia, come la nord dell’Eiger in tempi record e la prima assoluta femminile di Eternal Flames alle Torri di Trango. Il tutto (o quasi) sempre accompagnata da Jacopo Larcher, suo partner in cordata e nella vita dal 2013.

«Sarebbe stato bello ricevere questo riconoscimento insieme a lui, come team, – ci confida infatti Babsi durante la nostra intervista, realizzata a margine del Premio Paul Preuss – perché arrampichiamo molto spesso insieme e la maggior parte dei miei grandi progetti li ho pensati e finalizzati con Jacopo. Questo premio, insomma, è anche suo».

Come riuscite a conciliare la vita di coppia con quella in parete?
«Ammetto che ogni tanto facciamo fatica a fare tutto assieme. A volte abbiamo bisogno di una sana pausa l’uno dall’altra. Per questo, quando riusciamo a chiudere un progetto importante, ci prendiamo del tempo per arrampicare ognuno con altre persone. Io lo faccio molto spesso con mia sorella per esempio».

A proposito del premio che hai appena ricevuto, c’è qualcosa dello stile di Preuss che pensi di avere in qualche modo ereditato?
«Penso sia importante seguire una certa etica nell’arrampicata. Anche solo quando decidi di liberare una via o un tiro, devi essere conscio della scelta che hai fatto, ossia quella di utilizzare la corda e i chiodi solamente per sicurezza in caso di volo, non come progressione. Chiaramente Preuss era molto più severo, per lui corda e chiodi non erano neanche lontanamente concepibili, però per me portare avanti la mia attività in arrampicata libera è comunque una scelta etica, che mi avvicina molto al suo pensiero. Questo è importante nel nostro sport: essere custodi di una simile etica, anche per il futuro. Quando ripetiamo vie aperte decine e decine di anni fa, per noi è sempre una grande avventura trovarci di fronte a lunghi tratti fra un chiodo e il successivo, essere esposti al rischio e imparare a gestirlo».

Che cosa del tuo passato da boulderista porti ancora nelle tue avventure sulle big wall?
«Credo fermamente che il boulder sia la parte fondamentale del mio modo di fare arrampicata. Anche se so che sembra strano, il boulder è l’essenza dell’arrampicata, per come la intendo io. Quando affronto le vie lunghe, mi rendo conto di come tutto si risolva in fondo nei singoli movimenti e nelle loro sequenze. Per me è estremamente importante essere preparata nell’eseguire i movimenti più duri e difficili, anche quando sembrano “innaturali”, se vogliamo, ed è per questo che il bouldering è ancora la parte più importante del mio allenamento».

Hai mai pensato di portare questa ricerca senza corda del movimento anche in parete, magari con dei free solo?
«In realtà penso di espormi ad un rischio più che sufficiente quando faccio trad, o in generale quando uso le protezioni mobili. La percepisco come un’attività eccitante e pericolosa al contempo, dunque spingermi oltre non è qualcosa a cui penso troppo. Ci vuole molto controllo, il giusto mindset, ed è una cosa che trovo davvero difficile da raggiungere. Diciamo che per ora ho altri obiettivi».

A proposito di obiettivi, ci parli di prossimi?
«Al momento sono infortunata, ho avuto lo stesso problema alla schiena che mi ha colpito nel 2009 e poi nel 2017. Ma avevamo già comprato i biglietti per Yosemite, dunque ci andrò comunque e proverò a chiudere qualche progetto meno ingaggiante del solito».

Proprio dopo quel primo infortunio del 2009, Babsi aveva utilizzato il tempo della convalescenza per studiare e diventare tecnico radiologo. Una professione che svolge ancora part-time, nei giorni liberi dall’arrampicata. Segno di come non demordere e trasformare gli ostacoli in opportunità sia in qualche modo lo spirito che guida la Zangerl attraverso ogni sua nuova avventura, in parete e nella vita.

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