
Fino a qualche anno fa, tra gli storici alberghi di Solda, di fronte alle rocce e ai ghiacci dell’Ortles, sorgeva un museo unico al mondo. La “Baita delle Pulci” (Flohhäuschen), una minuscola costruzione affrescata nata nell’Ottocento come ricovero per gli alpinisti, ha ospitato per anni il Museo delle Curiosità Alpine.
Ci si entrava senza pagare un biglietto, a differenza del vicino Museo Messner dedicato all’Ortles e al ghiaccio, testimoniava dell’abilità di collezionista e della mancanza di peli sulla lingua di Reinhold. L’obiettivo del Museo delle Curiosità Alpine era mostrare “la distanza tra i propositi degli alpinisti e i loro fatti”. L’accusa di scarsa coerenza veniva mossa (e documentata) verso molti personaggi famosi.
Paul Preuss era celebre per la sua opposizione all’uso dei chiodi? Nel Museo era esposto un martello che non usava certo per sistemare i quadri a casa. Cesare Maestri diceva di aver compiuto la prima salita del Cerro Torre? Alle sue affermazioni si affiancavano quelle degli alpinisti che non avevano trovato traccia del suo passaggio per gran parte della via.
Walter Bonatti aveva attaccato Messner per aver fatto ricorso agli sponsor? La sua mancanza di coerenza era ricordata da uno zaino Millet “modello Bonatti” in vendita negli anni Sessanta. Della conquista del Nanga Parbat da parte di Hermann Buhl, accanto alle foto e ai cimeli del 1953, era esposta una boccetta di Pervitin, lo stimolante a cui era ricorso l’alpinista tirolese.
In tanta cattiveria verso gli altri, Messner aveva riservato un po’ di spazio a sé stesso. Accanto a una caricatura che lo raffigurava come uno yeti, erano esposti i ritagli di giornale che raccontavano la sua caduta, con una dolorosa frattura, quando dimenticò le chiavi di Juval e tentò di entrare arrampicando dalla finestra. “Uomo o scimmia?” chiedeva un titolo in tedesco. Uscendo dal Museo, era inevitabile pensare che Reinhold sapesse prendere in giro sé stesso.
Ricordare il Museo delle Curiosità Alpine di Solda è inevitabile quando si sfoglia la Breve storia dell’alpinismo in 33 oggetti, un piccolo e interessante libro (176 pagine, 19 euro) appena pubblicato in Italia da Corbaccio, e che nella versione originale in tedesco era uscito nel 2023. Il dettaglio delle date è importante, ma ci torneremo alla fine.
Sappiamo che l’evoluzione tecnologica ha accompagnato la storia dell’alpinismo fin dagli inizi. I ramponi disegnati alla fine dell’Ottocento da Oscar Eckenstein hanno permesso di affrontare pareti e canali di ghiaccio in sicurezza, gli attrezzi da piolet-traction inventati tre quarti di secolo dopo da Hamish McInnes e altri hanno consentito di scalare sul ghiaccio verticale.
In Himalaya, dopo i tentativi degli anni Venti e Trenta, il vestiario termico e i respiratori a ossigeno messi a punto durante la Seconda Guerra Mondiale hanno permesso più tardi le prime ascensioni dell’Everest, del K2 e degli altri “ottomila”. Impossibile pensare all’arrampicata di oggi senza scarpette, spit, friend e quant’altro.
Dei 33 oggetti raccontati e descritti da Messner, alcuni sono stati utilizzati da lui, come la tuta di piumino della prima ascensione senza bombole dell’Everest (1978) e il martello-piccozza utilizzato qualche anno dopo nella solitaria sul Nanga Parbat. Altri, come il sacco a pelo utilizzato da Bonatti sul Pilastro Sud-ovest del Dru (1956) sono omaggi ad altri grandissimi alpinisti.
Vale lo stesso per la tendina in cui Andreas Heckmair ha dormito prima di salire la Nord dell’Eiger (1938), per il martello di Paul Preuss che in passato era esposto tra le “curiosità alpine”, per gli sci utilizzati da Heini Holzer per scendere molte grandi pareti delle Alpi.
Foto, guide pubblicate e appunti (l’unico “oggetto” cartaceo del libro) ricordano l’alpinista e autore Ettore Castiglioni. L’ultima corda alla quale si è legato Lionel Terray, come la piccozza usata da Toni Egger sul Cerro Torre, ricordano la morte in parete di questi grandi alpinisti.
Bellissima, e di una semplicità estrema, la sacca a tracolla utilizzata da Edward Whymper durante i tentativi e la prima ascensione (1865) del Cervino, seguita da una spaventosa tragedia. Gli ultimi cinque oggetti, invece che all’alpinismo, fanno riferimento all’ambiente, alla cultura e alla fede buddhista del Tibet.
A voler fare i pignoli, si potrebbe notare che nel mondo dell’alpinismo di Messner le Alpi orientali e le Dolomiti (e naturalmente l’Himalaya) occupano molto più spazio del Monte Bianco e del Cervino. Sorprende anche l’assenza dei celeberrimi oggetti legati all’esplorazione britannica dell’Everest, dal respiratore di Mallory alle piccozze di Hillary e Tenzing. La pignoleria, però, non è una buona chiave di lettura per un libro come questo.
Chi ha letto qualcuno dei tantissimi (quanti?) libri scritti in passato da Reinhold Messner, sa che questo alpinista straordinario, e per questo celebre in tutto il mondo, ha sempre identificato la storia dell’alpinismo in generale con quella delle sue imprese.
Non sorprende più di tanto, quindi, vedere che ben 24 dei 33 oggetti raccontati nel libro sono esposti nei Musei Messner di Solda, Plan de Corones, Castel Firmiano e Juval, e uno di loro – una testa impagliata di yak – addirittura nel ristorante Yak & Yeti, un’altra creazione di Reinhold a Solda, di fronte all’ingresso del MMM. Il nuovo libro, insomma, è quasi un catalogo ragionato dei Musei Messner, ma questo non lo rende meno interessante e godibile.
Come dicevo all’inizio, però, rimane il problema delle date. Un anno fa, come abbiamo raccontato con attenzione e rispetto, il divorzio di Reinhold Messner dalla seconda moglie Sabine Stehle, e il suo terzo matrimonio con Diane Schumacher, sono stati seguiti da un durissimo scontro tra l’alpinista e i suoi figli, che ha portato al suo allontanamento dai Messner Mountain Museum.
Nei giorni scorsi, come chi segue Montagna.tv ha saputo dal reportage di Monica Malfatti, la nuova struttura inaugurata da Reinhold all’arrivo degli impianti del Monte Elmo, per motivi legali non ha potuto essere definita Museo, ma ha dovuto essere chiamata Haus, cioè Casa.
Dare oggi alle stampe un libro firmato da Reinhold, in cui lui pubblicizza i musei che ha creato ma con cui non ha più nulla a che fare provoca una sensazione curiosa.
Forse, com’è inevitabile per un prodotto destinato alla vendita, nell’uscita di questo libro a un anno dal “divorzio” di Reinhold dai figli c’è un po’ di legittimo cinismo da parte dell’autore e di entrambi in suoi editori, in italiano e in tedesco. Il cognome Messner fa vendere, il contenuto del libro è interessante, e allora ben venga il “catalogo” firmato dal fondatore ora espulso.
Oppure – chissà? – l’uscita di questo libro oggi significa che un accordo tra padre e figli è stato (o sta per essere) trovato, e che l’alpinista del Gran Muro, del Nanga Parbat e dell’Everest ridiventerà un cittadino dei Musei che ha ideato e costruito in tanti anni. Ne saremmo felici, forza Messner!