Cristalli di neve visti da vicino
Stelle, calici, grani. I cristalli di neve, visti da vicino, rivelano forme curiose e bellissime. Ma anche molto significative. Quanti di voi, per esempio, sapevano che il pericolo valanghe è tutta una questione di geometria? Con l’aiuto di queste splendide immagini e alcune spiegazioni di nivologia, scoprirete i segreti dei candidi fiocchi invernali.
La neve, quando cade, ha solitamente il meraviglioso aspetto dei candidi cristalli a stella. Forme perfette complesse, scolpite dall’atmosfera e dalle sue temperature, diverse tra loro sia per forma che per dimensioni.
Alcuni ricercatori giapponesi hanno individuato oltre 3000 forme diverse di cristalli di neve. Per convenzione, l’Organizzazione Mondiale della Meteorologia le ha poi raccolte in 10 categorie principali. La fattura dei cristalli di neve, tuttavia, è destinata presto a cambiare, trasformata da fattori esterni come il sole, il vento, la temperatura e lo stesso peso della neve caduta al suolo. Questo processo, detto “metamorfismo” della neve, può verificarsi in modi diversi.
Se fa freddo, i cristalli subiscono il “metamorfismo costruttivo o di gradiente”, che li trasforma in cristalli angolari e a calice. E’ questa la forma più “pericolosa” dei fiocchi di neve. Perchè uno strato di neve a calice è fragile, non è legato agli strati superiori e inferiori. Se questo strato subisce delle sollecitazioni, si rompe sotto il peso degli altri e provoca il distacco di una valanga a lastroni.
Se fa caldo, invece, è più facile che i cristalli subiscano il “metamorfismo distruttivo o di isotermia”. I cristalli si trasformano in questo caso in piccoli grani arrotondati e il manto nevoso si consolida. Il caldo subito dopo una nevicata favorisce anche il distacco veloce di neve a debole coesione sui pendii ripidi, che in pochi giorni diventano quindi stabili e assestati.
Se al caldo della giornata segue però un gelo notturno – clima tipico primaverile – i cristalli subiscono il “metamorfismo di fusione e rigelo” e diventano grossi grani arrotondati. Questa situazione porta alla formazione di croste di neve gelata e può favorire distacchi di neve bagnata e pesante sui pendii ripidi.
Esiste poi una “trasformazione meccanica” causata dal vento che trasporta la neve durante e dopo la
nevicata, rompendo i rami dei cristalli, che così si deformano. Apparentemente, il manto sembra assestato ma in realtà è molto poco resistente: si tratta di lastroni di neve asciutta che possono scaricare anche al passaggio di un singolo sciatore.
Un’ultima nota riguardo la brina di superficie, che non subisce alcuna trasformazione ed è un fattore di pericolo molto alto. Se resta inglobata fra diversi strati di neve può funzionare da piano di scivolamento degli strati superiori di neve fresca e contribuire al distacco di una valanga.
In generale, queste valutazioni si riferiscono al manto che si forma dopo una nuova nevicata. Quando ne sopraggiunge di nuove occorre ripetere la valutazione tenendo conto degli strati precedenti.
In queste righe vi abbiamo dato un’infarinatura generale, ma sicuramente non esaustiva, di nivologia. Se il tema vi interessa e volete saperne di più, vi consigliamo di rivolgervi al Servizio Meteomont del Corpo Forestale dello Stato, al Servizio Valanghe del Cai (che offre lezioni di nivologia, per esempio, anche duranti i corsi di scialpinismo e alpinismo), oppure all’Aineva.