
“¿Es ella la actriz?” Nella ventosa estate australe del 1999, in un posto di frontiera nella Terra del Fuoco, un’annoiata doganiera argentina sfoglia i passaporti di un gruppo di viaggiatori italiani. E quando scopre quello di Rossana Podestà si anima, e chiede e ottiene di conoscerla.
“Era un viaggio duro, Rossana era stanca, ma in Argentina i suoi peplum, i film ambientati al tempo di Roma antica erano molto popolari. La fermavano e la riconoscevano in molti, ed è successo anche quella volta sul confine con il Cile”. A raccontare quei momenti di ventisei anni fa è Roberto Mantovani, giornalista, scrittore e storico dell’alpinismo. E grande amico, per molti anni, sia di Rossana sia di Walter.
“Ho conosciuto prima Bonatti da solo, all’inizio degli anni Ottanta. Poco dopo lui mi ha invitato all’Argentario, e lì ho incontrato Rossana. Poi li ho rivisti tante volte a Dubino, nella loro splendida casa in Valtellina, una volta sono venuti anche qui a casa mia, a Torre Pellice” racconta ancora Roberto. “L’esperienza più bella, però, è stato quel lungo viaggio in Patagonia, sulle tracce di padre De Agostini”.
Per il grande pubblico, italiano e non, Rossana (nome d’arte di Carla Dora) Podestà è prima di tutto un’attrice. Di origine ligure, ma nata a Tripoli, in Libia, il 20 giugno del 1934, ha esordito sullo schermo a 16 anni, e ha recitato in film diretti da Mario Monicelli e Valerio Zurlini. Nell’Ulisse di Mario Camerini, nel 1954, ha interpretato Nausicaa accanto a Kirk Douglas e Silvana Mangano, poi è stata protagonista di thriller come Grande colpo dei sette uomini d’oro (1966), prodotto e diretto da Marco Vicario, suo marito dal 1954.
A cambiare la vita di Rossana, com’è noto, è stato l’incontro con Walter Bonatti, che è rapidamente diventato un grande amore. Insieme al suo nuovo compagno, l’attrice abituata agli agi di Cinecittà e della buona società romana si è legata in cordata tra i crepacci del Monte Bianco, ha viaggiato in luoghi scomodi e selvaggi, e lo ha fatto sempre con il sorriso sulle labbra.
L’itinerario di Walter Bonatti, Rossana Podestà e Roberto Mantovani, nel 1999, era stato messo a punto insieme al Museo della Montagna di Torino, che aveva ottenuto l’appoggio ufficiale dei governi dell’Argentina e del Cile. “Grazie a questi contatti ufficiali abbiamo potuto fare di tutto. Abbiamo volato in elicottero e con dei piccolissimi aerei, abbiamo navigato su un dragamine cileno tra le isole al largo della Terra del Fuoco, e nell’Oceano Pacifico con un mare spaventoso” racconta ancora l’ex-direttore della Rivista della Montagna.
In quel memorabile viaggio, i tre italiani toccano delle montagne famose come la base del Torre, del FitzRoy e delle Torri del Paine, ma si spingono anche a piedi, in fuoristrada o a cavallo verso luoghi solitari e remoti. Qualche mese dopo, nella primavera australe, Walter e Roberto tornano insieme al filmmaker ticinese Fulvio Mariani, che gira Finis Terrae, la libertà di esplorare, dedicato ai viaggi di padre De Agostini. Rossana resta in Italia, ma segue il viaggio di Walter e dei due amici a distanza.
“Nelle città argentine tutti conoscevano Rossana, ma in Patagonia Walter era un mito. Siamo arrivati in delle estancias che sembravano immutate da secoli, e i vecchi gauchos gli chiedevano di raccontare dei suoi primi viaggi laggiù. Bonatti è stato da quelle parti 17 o 18 volte, parlava perfettamente il castigliano, e raccontava. Ricordo delle serate magnifiche, alla luce di lampade a petrolio o candele, di fronte ai gauchos affiancati dai loro figli e nipoti”, sorride Mantovani.
Per me Roberto è un caro collega e un vecchio amico, quando gli chiedo chi fosse davvero Rossana esita, forse per timore di violarne per un momento la privacy. Poi riprende. “Era una donna straordinaria, molto diretta e molto colta, che sapeva fare di tutto. Quando hanno arredato la casa di Dubino è stata lei a fare gran parte del lavoro”.
“E poi Rossana Podestà non era solo una ex-attrice. Sapeva molto di cinema, era attentissima al montaggio e ai commenti dei film come quello di Fulvio Mariani. Ricordo che un giorno ha regalato a Walter una piccola telecamera. Lui si è schermito dicendo che preferiva scattare foto, poi a iniziato a usarla, si è appassionato, e lei lo prendeva in giro chiamandolo “il piccolo Fellini”.
Negli anni, grazie alla vicinanza con Walter, Rossana si è appassionata all’alpinismo, ed è diventata un’esperta. “Aveva scoperto vette e ghiacciai in cordata con Walter, e si affidava a lui al 100%. Mi ha raccontato di aver impiegato molto tempo per capire quanto la vicenda del K2 fosse stata dolorosa per lui, e poi di aver sempre evitato di toccare l’argomento, per non riaprire la ferita”, prosegue l’amico Roberto.
Poi i racconti ispirati al sorriso lasciano il posto alla fine e al dolore. “Un giorno, per telefono, mi ha detto che Walter aveva un tumore, che ormai non c’era più nulla da fare, ma lei non voleva che lui lo sapesse. Era una donna coraggiosa, che ha protetto fino all’ultimo il suo uomo” racconta ancora Mantovani.
Il resto della storia è famoso. Il 13 settembre del 2011 il signore del Monte Bianco si spegne al Policlinico Gemelli di Roma, da solo perché un medico cattolico e occhiuto non consente alla sua compagna (e non moglie) di stargli accanto. Nei due anni successivi Rossana lavora insieme ad Angelo Ponta al libro Walter Bonatti una vita libera, e con Paola Nessi al docufilm La W di Walter.
Poi, come se avesse terminato i suoi compiti, Rossana se ne va anche lei, il 10 dicembre 2013. Da allora, lei e Walter riposano l’uno accanto all’altra, nel romantico cimitero di Portovenere, a picco sulla scogliera e il Mar Ligure. “Ci siamo visti e sentiti tante volte, in quei due anni” racconta ancora Roberto Mantovani. “Siamo andati a Portovenere insieme, lei gli parlava e continuava a sentirlo vicino. Era una donna straordinaria, che ha vissuto un amore straordinario”.