Medicina e benessere

Come prevenire il mal di montagna

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Nelle scorse settimane abbiamo visto cos’è il mal acuto di montagna e quali conseguenze può avere, gravi e meno gravi. Oggi proviamo a capire se e in che modo questa patologia può essere prevenuta.

 

Se, come abbiamo visto finora, a scatenare il mal di montagna sono sostanzialmente il dislivello percorso, la quota raggiunta, il tempo di permanenza e la predisposizione individuale, per ridurre al minimo il rischio di contrarla possono essere adottate tre regole di base.

 
1) Non salire troppo in fretta e troppo in alto.
Si tratta di una precauzione importantissima soprattutto quando l’acclimatazione non è ancora sviluppata, come all’inizio del soggiorno in quota.
Oltre i 3.500 metri si dovrebbero affrontare, al massimo, dislivelli medi di 400 metri al giorno. Se questa soglia viene superata, l’ideale sarebbe di ridurre il dislivello percorso nel giorno successivo.
 
Molti adottano l’ascensione "a dente di sega", con un dislivello in salita magari più elevato ma seguito da una discesa che riporta, per il pernottamento, ad una quota più bassa anche se superiore a quella di partenza. PUò essere un metodo utile, a patto che non preveda uno sforzo troppo elevato: l’eccessivo affaticamento espone ad un maggior rischio di mal di montagna.
 
Dato che il ritmo dell’acclimatazione è comunque una cosa soggettiva, è necessario prestare attenzione ai segnali del proprio fisico anche se si seguono i consigli sopraccitati. Una buona acclimatazione è provata da buon appetito, sonno tranquillo e nessun mal di testa.
 
2) Salire abbastanza in alto per acclimatarsi
E’ necessario programmare il periodo di acclimatazione sulla base della quota massima che si deve raggiungere. Il fisico, infatti, deve abituarsi gradatamente alla carenza di ossigeno che aumenta man mano che si sale.
 
E’ particolarmente importante la quota a cui viene posto il campo base, dove l’acclimatazione viene perfezionata, e la sua distanza dalla vetta: deve essere abbastanza alto da preparare il corpo allo stato di ipossia in cui si troverà nei giorni successivi. E’ per questo motivo che i campi base delle spedizioni sugli ottomila si trovano sempre tra i 4800 e i 5200 metri di quota, e mai più in basso: sarebbero inefficaci.
 
3) Non restare in alto troppo a lungo.
Nonostante l’uomo sia in grado di adattarsi a situazioni estreme, non è fatto per vivere in alta quota. Oltre i 5500 metri, il corpo umano perde muscolatura, peso e neuroni. Di solito, la fase di acclimatamento nella quale il fisico è adattato alla quota e ancora in grado di dare prestazioni elevate non dura più di quattro settimane. Poi il degrado diventa inesorabile.
 
Questo degrado è tanto più veloce e intenso quanto più vengono compiuti sforzi intensi e quanto più tempo si resta o si dorme in quota. Inoltre, si consideri che il livello di nutrizione ad alta quota è sempre inferiore all’energia spesa.
 
Il tempo di permanenza in quota, quindi, è da ridurre al minimo indispensabile, soprattutto se ci si trova nella cosiddetta zona della morte (death zone), di cui parleremo la prossima settimana.
 
 
 
Fonte delle informazioni: "Salute in alta quota" di Jean-Paul Richalet, ZetaBeta editrice, 2004.

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