Gran Sasso, inverno 1929. La morte nella bufera di Mario Cambi e Paolo Emilio Cichetti
La tragica fine di Cristian Gualdi e Luca Perazzini ricorda un dramma avvenuto sul Gran Sasso un secolo fa. “Coloro che vengono d’estate ignorano cosa sia l’inverno quassù”, scrivono Cambi e Cichetti prima di morire
Per ricordare Mario Cambi e Paolo Emilio Cichetti basta aprire una mappa o una guida del Gran Sasso. Al primo, dopo la sua morte, è stato dedicato il Torrione Cambi, una delle quattro vette del Corno Grande. Ricorda il secondo la Punta Cichetti, un elegante torrione della cresta Sud del Corno Piccolo, che prima veniva indicato come la Mitria.
Più emozionante è uscire da Pietracamela per la storica mulattiera che conduce verso la Val Maone, il Passo della Portella e Assergi. Dopo tre quarti d’ora, nel bosco, compare il cippo che ricorda la fine di Cichetti, “d’intrepido animo e di grande cuore”, che qui “lasciò la ridente vita coscientemente affrontando ineguale lotta con gli elementi”. Più avanti, una specie di ometto di pietre tenute insieme dal cemento ricorda la morte di Mario Cambi, “qui caduto nella tempesta”.
Ancora più drammatico è leggere le annotazioni di Paolo Emilio e di Mario sul libro del rifugio Garibaldi, in cui raccontano la loro odissea fino a poco prima della morte per freddo e sfinimento in Val Maone. Scritte tra l’8 e il 12 febbraio 1929, scoperte dai soccorritori dieci giorni dopo e messe a verbale da un maresciallo della Milizia Nazionale Forestale, avvicinano a noi una tragedia avvenuta in un tempo remoto.
Fa male leggere le righe nelle quali i due si lamentano per la mancanza della pala che costringe a lasciare la porta aperta, raccontano la lotta per liberare il camino dal ghiaccio e la scoperta di avere i piedi congelati. Leggendo quelle pagine ingiallite dal tempo, quei due ragazzi di un secolo fa sembrano molto più vicini.
Mario Cambi, romano di buona famiglia, è uno dei migliori alpinisti di quegli anni sul Gran Sasso. Compie belle ascensioni sulle pareti dei due Corni, spesso da solo, nel 1928 tenta il Paretone in condizioni invernali ma viene respinto da una bufera di neve. Poi realizza la prima traversata solitaria delle Tre Vette.
Cambi studia ingegneria e dipinge, lavora in uno studio affacciato su Villa Celimontana, tra gli amici di famiglia è Costanzo Ciano, padre di Galeazzo, il futuro Ministro degli Esteri e genero di Mussolini. Cichetti, teramano che studia a Roma, non è ricco né forte in montagna come l’amico, ma ha all’attivo molte ascensioni sul Gran Sasso.
Ad aprile del 1927, con l’aquilano Mario Sartorelli, i due amici salgono il Corno Piccolo innevato. Vogliono tornarci d’inverno per una via più difficile, partono a Carnevale, quando l’Università lascia qualche giorno libero. Bruno Marsilii, un giovane di Pietracamela che studia medicina a Roma, e che diventerà uno dai migliori Aquilotti, ha un attacco di appendicite e si salva.
Il 7 febbraio Mario e Paolo Emilio raggiungono L’Aquila e poi Assergi. La mattina dopo, mentre si celebra il funerale della guida Giovanni Acitelli, partono verso il Passo della Portella e il rifugio Garibaldi. Lasciano in paese gli sci, ed è una delle scelte che costano loro la vita.
Il rifugio Garibaldi, costruito nel 1886 in una conca, d’inverno viene spesso sommerso dalla neve. Cambi e Cichetti lo trovano “completamente coperto” e “in grandissimo disordine”. Il problema più grave è la mancanza della pala, e quindi l’impossibilità di spalare la neve. La porta resta aperta, e i due “dormono quasi all’aperto”.
L’indomani, 9 febbraio, fa molto freddo, e la neve abbondante rischia di causare delle slavine. Gli alpinisti partono tardi, salgono alla Sella dei Due Corni, poi attaccano la cresta per la via Chiaraviglio-Berthelet che zigzaga tra le torri più compatte. In estate, questa classica arrampicata alterna delle fessure di terzo e quarto grado a dei tratti facili.
D’inverno il percorso diventa tutto ugualmente difficile, ma il vero problema è “il freddo di un’intensità straordinaria”, che incolla le mani al ferro della piccozza. Uno zaino cade nel vuoto, e gli alpinisti devono indossare a turno l’unico paio di guanti rimasto.
Nonostante le condizioni proibitive, Mario e Paolo Emilio salgono fino ai piedi della Mitria, la futura Punta Cichetti. Qui rinunciano, tornano un tiro di corda dopo l’altro alla Sella dei Due Corni, e proseguono nella neve profonda fino al rifugio. Arrivano al buio, e passano la notte a massaggiare, i piedi martoriati dal gelo.
Sono stravolti, ma credono di essersi salvati. Anche se la porta del rifugio non chiude hanno legna da ardere, qualche scatoletta e della pasta, e si concedono un giorno di riposo. È il secondo errore, quello fatale. Quel giorno un fronte freddo che arriva dalla Siberia investe l’Italia. Nevica a Roma, a Napoli e a Palermo, a Venezia si formano lastre di ghiaccio sui canali. Nella notte il manto bianco si alza di un metro.
All’alba del 12 febbraio, Mario e Paolo Emilio sanno che devono fuggire a tutti i costi. Il cibo è finito, il maltempo non si placa, al ritorno del sole le valanghe inizieranno a cadere in Val Maone. Per uscire, scavano un tunnel nella neve. Poi lasciano la via per il Passo della Portella e Assergi, che inizia con una lunga salita, e scendono verso Pietracamela. Un passo dopo l’altro, si aprono una trincea nella neve verso il paese e la salvezza.
Non ce la fanno, e le loro ultime ore possono essere ricostruite solo grazie alla posizione dei corpi, e agli indizi trovati dai soccorritori. Lo zaino, i guanti e il passamontagna di Cichetti, trovati in estate più in alto del punto dov’era stato recuperato il corpo, fa pensare che i due siano stati travolti da una slavina all’altezza delle cascate di Rio Arno. Mario aveva ancora la corda annodata alla vita.
Cambi è il primo a cedere e ad accasciarsi sulla neve. L’amico gli sistema un maglione come cuscino, si slega e prosegue con la forza della disperazione nel bosco. Poi si accascia tra i faggi, cerca di accendere un fuoco consumando i pochi fiammiferi rimasti, chiude gli occhi per sempre. Alle case mancano due chilometri e mezzo.
A causa della neve, in quei giorni, Pietracamela è isolata. L’unico telefono del paese non funziona, e la mulattiera che sale dalla valle del Vomano è quasi impercorribile. La prima squadra di soccorso parte il 12, ma senza sci deve fare dietrofront molto presto. Il 18, fatte arrivare da Teramo delle racchette da neve, si riesce a ripartire. Dopo due ore, la guida Luigi Paglialonga, Ernesto Sivitilli e altri quattro volontari trovano il corpo di Cichetti.
Sulle mani, al posto dei guanti, ha un paio di calze, accanto alcorpo è la piccozza, in tasca la chiave del rifugio. Ma resta da trovare Cambi. Arrivano forestali e volontari, il tempo finalmente migliora. Il 21 febbraio viene raggiunto il rifugio, e vengono lette le commoventi annotazioni sul libro. Poi a Pietracamela arrivano cinquanta alpini, che setacciano sistematicamente la valle. Il corpo di Mario viene trovato solo il 25 aprile “in posizione di riposo, come se dormisse”, come scriverà qualche settimana più tardi il Bollettino della sezione aquilana del CAI.
Seguono i funerali solenni, nella basilica di Santa Maria degli Angeli, a Roma. Il ritornello della “montagna assassina” si affaccia sui giornali romani e alla radio. Nel cimitero del Verano, sulla tomba di Mario Cambi, viene collocata una pietra del Gran Sasso. È il segno di un amore che si è rivelato fatale.
Bellissimo articolo come sempre. ma cosa avevano scritto però nel libro del Bivacco?