Gente di montagna

Eugenio Fasana, la creatività visionaria di un pioniere dell’arrrampicata

Il 22 novembre 1972 ci lasciava, a 86 anni, uno dei massimi protagonisti dell’alpinismo di inizio ‘900. Le Grigne furono il suo campo di gioco prediletto

“Un buon alpinista deve avere due qualità: la prudenza e l’imprudenza. Così, dinanzi ad un ostacolo grave o ad un pericolo incombente deve sorvegliarsi, come se tutto dipendesse dalla sua attenzione, e, nello stesso tempo non deve pensarci, come se nulla ne dipendesse. La sola previdenza necessaria è di capire che non si può prevedere tutto”

Eugenio Fasana

Non tutti gli appassionati di montagna probabilmente conoscono il nome di Eugenio Fasana, eppure lo scalatore lombardo fu una figura di assoluto rilievo nel panorama alpinistico italiano dei primi due decenni del ‘900, oltre ad aver fatto parte del ristretto manipolo dei pionieri italiani dello sci e dello scialpinismo.

Teatro della sua attività sono state soprattutto le Alpi centrali, dove è stato un protagonista del passaggio dall’epoca della conquista delle cime a quella delle prime salite di creste e pareti, in cui cominciava a farsi strada il gusto per la ricerca dell’estetica della linea e della difficoltà.

Fasana ha lasciato un’impronta indelebile, soprattutto nel gruppo delle Grigne, dove la sua temeraria attività di scalatore ha posto le basi di quello che, a partire dagli anni 30, diverrà uno dei più straordinari laboratori italiani dell’arrampicata su roccia di alta difficoltà.

L’alpinismo

Eugenio Fasana nasce a Gemonio, in provincia di Varese, il 29 aprile 1886, primo di cinque fratelli. La sua è una famiglia della borghesia lombarda, proprietaria di una cartiera in paese e la condizione economica agiata gli consente di dedicarsi agli studi (frequenta il Collegio Arcivescovile di Saronno), ma anche di coltivare la passione per lo sport e la montagna, che in quell’epoca sta diventando di moda fra le classi sociali più abbienti.

Le sue prime ascensioni le compie a partire dall’età di 10 anni, salendo le cime del territorio varesino come il Monte Nudo e il Monte Zeda, ma la svolta nella carriera alpinistica arriva quando si trasferisce a Milano per lavorare presso la Cartiera Binda. Qui entra in contatto con il vivace ambiente degli scalatori meneghini che, nei primi anni del secolo, rappresentano l’élite dell’alpinismo lombardo. Si iscrive alla Società Alpinisti Milanesi (di cui sarà presidente dal 1919 al 1925) e presto si lega in cordata con altre figure autorevoli del periodo come Aldo Bonacossa e Ugo di Vallepiana. Nel corso della sua lunghissima attività (continuerà a scalare fino alla metà degli Anni 50) avrà modo di collaborare con altri nomi di primissimo piano come Ettore Castiglioni, Emilio Dones, Celso Gilberti e Vitale Bramani, accompagnando in montagna personaggi illustri quali Re Alberto I del Belgio e Papa Pio XI.

Fra la fine dell’800 e l’alba del nuovo secolo gli scalatori lombardi guardano soprattutto al modello dell’alpinismo occidentale, quello delle salite in alta quota, che punta al raggiungimento delle vette e predilige itinerari di ampio respiro, quelli bove si lavora con piccozza e ramponi, affrontando creste e pareti di neve, ghiaccio e misto. Fasana e compagni frequentano il Monte Bianco, il Rosa e trovano nelle Alpi centrali un terreno ancora in gran parte da esplorare. Almeno in un primo periodo la dimensione della scalata pura su roccia che si sta sviluppando nelle Alpi orientali è piuttosto lontana dai loro orizzonti e poco si sa delle straordinarie evoluzioni tecniche e dell’innalzamento delle difficoltà che sta caratterizzando le Dolomiti e le montagne austriache. Ma qualcosa sta cambiando…

Già dalla fine del XIX secolo il miglioramento delle vie di comunicazione, in particolare la realizzazione della ferrovia che collega Milano con Lecco e poi con Sondrio e la Valtellina, ha accorciato le distanze fra le città della pianura e le Prealpi che, per i milanesi in particolare, presto divengono una vera a propria palestra, raggiungibile nel volgere di poche ore. Qui non ci sono alte vette e pareti innevate, neppure le immani pareti rocciose delle Dolomiti, ma, agli occhi degli scalatori, si spalanca un mondo fatto ci creste, spigoli e guglie calcaree dove sperimentare una nuova visione e dedicarsi a nuovi obiettivi. Come gli orientalisti, anche loro si incamminano sulla strada di quello che lo stesso Fasana definisce “alpinismo acrobatico”, focalizzato sul superamento di passaggi sempre più esposti e difficili.

Il Resegone, i Corni di Canzo e, soprattutto, le Grigne, diventano il laboratorio di questa evoluzione, dove, fra gli anni che precedono e seguono la Prima guerra mondiale, proprio Fasana è fra gli sperimentatori più temerari e all’avanguardia. Spesso in solitaria o avvalendosi di tecniche e attrezzature ben più rudimentali di quelle già in uso nelle Dolomiti, porta il livello di scalata su roccia ad un limite che poco ha da invidiare ai colleghi d’oriente, realizzando proprio fra quelle montagne alcune delle più importanti fra le sue 120 prime ascensioni.

Il primo exploit arriva nel 1910 quando, in cordata con Enrico De Enrici, sale un repulsivo camino, ora valutato di V+, sulla parete dei Corni di Canzo che oggi porta il suo nome. L’anno successivo supera da solo la parete est del Secondo Torrione Magnaghi, in Grignetta. Sempre in Grignetta, nel 1914 raggiunge per primo la cima del Fungo, assieme agli altri Accademici del Cai Binaghi e Maccagno. L’anno successivo, con una scalata di grande esposizione, conquista l’elegantissima guglia del Sigaro, con Erminio Dones e Angelo Vassalli. Dieci anni dopo, nel 1925, Fasana dimostrerà di essere sempre sulla cresta dell’onda, realizzando, con Vitale Bramani, quello che può essere considerato il suo capolavoro nelle Grigne: la prima salita del selvaggio versante nordest del Pizzo della Pieve, una parete di 800 metri con passaggi che arrivano al IV grado.

Il suo nome è legato anche a una delle prime grandi tragedie dell’alpinismo lombardo, avvenuta nel 1914, quando, dopo aver aperto la nuova via sulla parete sud del Primo Magnaghi in Grignetta, itinerario che poi verrà dedicato al pioniere Gianni Albertini, Fasana si slega dai tre compagni che procedono in cordata e li vede purtroppo precipitare senza scampo. L’incidente suscitò enorme scalpore all’epoca e il momento della caduta venne immortalato in una drammatica illustrazione sulla copertina della Domenica del Corriere.

Il contributo di Fasana all’evoluzione dell’alpinismo si proietta anche oltre il suo tempo. Cultore ante litteram del “fitness”, fu fra i primi a praticare la scalata con una meticolosa preparazione fisica e atletica, che richiama sotto molti aspetti l’approccio dei moderni climber. Le sue realizzazioni nel gruppo delle Grigne, inoltre, hanno rappresentato uno dei banchi di prova su cui si è formata e da cui ha preso il là la straordinaria generazione di Cassin e degli alpinisti lecchesi degli Anni 30.

L’arte e la letteratura

Parallelamente all’attività alpinistica, Fasana si dedicò alla scrittura e alle arti figurative. Le sue opere, che spaziavano dagli oli alle fotografie ritoccate, erano spesso accompagnate da articoli e saggi dedicati alla montagna. Scrisse quattro libri, tra cui il celebre Il Monte Rosa: vicende, uomini, imprese, che gli valse una reputazione internazionale e lo portò a essere ammesso al Gruppo Italiano Scrittori di Montagna nel 1934. Guido Rey definì questo libro “indispensabile” per l’alpinismo italiano.

Collaborò con numerose riviste e quotidiani, come Le Prealpi, dove scrisse sotto vari pseudonimi, e La Stampa, tenendo rubriche dedicate alla montagna. Compose poesie, canzoni e aforismi sull’alpinismo, molti dei quali tradotti in altre lingue. Le sue conferenze, sempre intrise di lirismo, affrontavano temi profondi come l’amore per la natura, con un approccio unico che gli valse prestigiosi riconoscimenti.

Nell’aprile del 2014 è stato creato l’Archivio Fasana e nel settembre dello stesso anno è tenuta la prima mostra monografica su Eugenio Fasana dal titolo: “Eugenio Fasana. Mitografia di un alpinista” presso il Museo Bodini di Gemonio a cura di Daniele Astrologo Abadal, Gianni Pozzi e Luca Zuccala.

Libri

  • Uomini di sacco e di corda, Eugenio Fasana, Editore: SEM, Milano, 1926
  • Quando il Gigante si sveglia, Eugenio Fasana, Editore: Montes, Torino, 1944
  • Cinquant’anni di vita della Società Escursionisti Milanesi, Eugenio Fasana, Editore: SEM, Milano, 1941
  • Il Monte Rosa: vicende, uomini, imprese, Eugenio Fasana, Editore: Rupicapra, Milano, 1931
  • Eugenio Fasana. Mitografia di un alpinista, Daniele Astrologo Abadal, Gianni Pozzi, Luca Zuccala, Editore Museo Bodini, Gemonio, 2014

“La serietà dell’alpinista puro è inesorabile come quella di Don Chisciotte; ma una cosa dell’hidalgo forse gli manca: la finissima inconsapevole ironia…”

Eugenio Fasana

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