Gente di montagna

Nives Meroi: “sugli Ottomila si può ancora scalare in solitudine come un volta”

Le pareti che nessuno scala più, il ruolo degli sponsor, l’incidenza del global warming, le decisioni dei governi. Intervista a 360° con l’amatissima alpinista, che dice di sé: sono solo un’alpinista della domenica

“Sono in spiaggia, ho tutto il tempo che vuoi. Dimmi”. Lo sciabordio delle onde in sottofondo mi conferma che non sta scherzando. “Romano sta uscendo proprio ora dall’acqua, così mi aiuterà a risponderti. E’ lui che sa tutto”. Nella sua infinita spontaneità Nives Meroi riesce sempre a spiazzare l’interlocutore. Che cosa ci fanno lei e Romano Benet in spiaggia a metà settembre?
“Ci siamo regalati qualche giorno di arrampicata sulle pareti del Biokovo, in Croazia, spiega Nives. “E’ la prima volta che arriviamo fin qui, di solito ci fermavano più a nord nel Velebit. Quest’anno abbiamo pensato di cambiare e siamo scesi fino sotto Spalato. Abbiamo fatto bene, stiamo arrampicando su pareti grandiose. Senza pensieri, queste sono le nostre ferie di fine estate”. Svelato l’arcano.

Dopo la sfortunata spedizione allo Yalung Peak della scorsa primavera, Nives Meroi e Romano Benet sono un po’ spariti dai radar. Come sempre, del resto. La cordata più famosa e vincente del mondo degli Ottomila non è assidua frequentatrice dei social e si tiene piuttosto alla larga dalle polemiche. Silenzio, però, non significa disinteresse. Quando viene sollecitata, la Meroi esprime la sua opinione con schiettezza. E le sue parole spesso lasciano il segno. 

Gli scorsi mesi sembrano aver sancito definitivamente lo strapotere delle agenzie commerciali sugli Ottomila. C’è ancora spazio per chi vuole scalare per conto proprio?
Certamente sì. Sulle vie normali direi che ormai è difficile salire a proprio piacimento. Le agenzie attrezzano le linee di salita fino alla vetta e, mi dicono, non vogliono essere anticipate da nessuno. D’altra parte, perché non approfittare di una via battuta e attrezzata? Però questo discorso riguarda solamente le vie normali.
Oggi guarderei soprattutto a vie o pareti “abbandonate”, ma sulle quali sono state tracciate vie notevolissime che si potrebbero ripetere in perfetta solitudine. Penso per esempio al Kangshung, sul  versante orientale dell’Everest. Da molti anni nessuno sale quella parete. Ancora sull’Everest anche la via degli sloveni sulla Cresta Ovest rappresenterebbe un grande sfida. Poi ci sono la parete Ovest del Makalu, la Nord del K2, la Sud dell’Annapurna: tutte pareti già scalate ma che offrono sempre grandi possibilità.

E a quote più basse?
Se si guarda ai seimila e ai settemila le possibilità di salire nuove montagne, e in solitudine, sono infinite. Noi di recente ci siamo concentrati sulla zona del Kangbachen e abbiamo rivolto molto più di un semplice pensierino a certe vette del Sikkim, che di recente ha aperto le sue montagne. Ci bloccò la burocrazia, ma non è detta l’ultima parola. Magari in futuro ci riproveremo. Molti alpinisti hanno puntato la loro attenzione su aree vergini dell’Himalaya. La voglia di alpinismo esplorativo è ancora forte.

I cinesi hanno vietato la salita senza ossigeno sui “loro” ottomila. Cosa ne pensi?
Per molti alpinisti potrebbe essere la fine del sogno di scalare tutti gli Ottomila senza ossigeno, visto che lo Shisha Pangma è interamente in territorio cinese. Sarebbe un peccato, ma se hanno deciso così c’è poco da fare. Non ho ancora capito, però, a quali sanzioni andrebbero incontro gli eventuali trasgressori: una multa? Il divieto di tornare ad arrampicare in Cina? Il carcere? Questo “dettaglio” potrebbe influire su certe scelte.

Ha suscitato scalpore, di recente, la denuncia di Stefano Ragazzo che ha detto di essere stato abbandonato dallo sponsor poco prima della sua salita in solitaria su Eternal Flame perché non aveva  pubblicato abbastanza post sui social. Quanto incidono le aziende sulle scelte e sui comportamenti degli alpinisti?
Non conosco i dettagli del caso specifico, quindi non lo commento, fermo restando che Stefano ha compiuto un’impresa straordinaria. Gli sponsor hanno le loro esigenze e sposano in primo luogo progetti che garantiscono visibilità, quindi non necessariamente le salite più difficili o innovative.
Poi c’è l’aspetto della comunicazione “obbligata”. Vedo molti alpinisti impegnatissimi a postare immagini e video a raffica. E’ un lavoro impegnativo, a mio parere, e che riduce la concentrazione. A me non piace, ma ognuno di noi ha il suo carattere. In ogni caso tutti hanno una possibilità di scelta.

Il cambiamento climatico sta cambiando molte cose in Himalaya e Karakorum?
Per quello che ho visto io sopra i 6000 metri la situazione non è ancora cambiata in modo sostanziale. Ben diverso è più in basso, e le difficoltà per raggiungere i campi alti sono aumentate. I consueti itinerari non esistono più, ogni volta bisogna girovagare per trovare passaggi il più possibile sicuri tra crepacci e seracchi.
Il meteo, inoltre, è diventato molto più instabile, non ci sono più le finestre favorevoli di un tempo. I giorni buoni per le salite si sono ridotti notevolmente e questo crea moltissime difficoltà.
Ancora più serio è il pericolo determinato dal formarsi di laghi effimeri a bassa quota creati dalla grande quantità d’acqua portata a valle dalla maggior fusione di ghiacciai. Il rischio di piene e di alluvioni è aumentato notevolmente. Alcuni percorsi di avvicinamento ai campi base sono già cambiati. Ma soprattutto sono a rischio molti dei villaggi che si trovano nelle valli ai piedi degli Ottomila.

Una curiosità per concludere: perché tu e Romano non andate mai in Patagonia?
Facile: a noi piace andare in Himalaya e in Karakorum. Amiamo quei luoghi, quelle persone, l’alta quota. Ci sentiamo a casa. Forse se avessimo più tempo e risorse potremmo guardare anche altrove. Ma noi non siamo alpinisti professionisti. Siamo solo dei domenicali”.
Impagabile Nives.

Tags

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back to top button
Close