Gran Sasso, la montagna degli incoscienti?
Un cambiamento annunciato del meteo, pioggia e grandine ad alta quota, otto persone soccorse in elicottero sul Corno Grande. E’ possibile fermare (o ridurre) gli sprovveduti che affrontano in condizioni sbagliate il Gran Sasso e tante altre montagne?
Domenica 23 giugno 2024, sul Gran Sasso, è stata una giornata complicata. Il tempo, bello e caldo nella giornata di sabato 22, la domenica è rapidamente cambiato, come avevano segnalato le previsioni meteo. Verso le 11.30, sul versante di Campo Imperatore, il massiccio è stato investito da una pioggia violentissima, che a momenti ha lasciato il posto alla grandine. Sul versante teramano il maltempo è stato un po’ meno violento.
Per il Soccorso Alpino e Speleologico dell’Abruzzo (SASA), per i Vigili del Fuoco e per il Soccorso Alpino della Guardia di Finanza (SAGF) dell’Aquila, è stata una giornata campale. Un video inviato alla stampa in serata mostra l’elicottero della Protezione Civile mentre decolla dai Prati di Tivo, e alle sue spalle si vede quello dei Vigili del Fuoco. Il Corno Piccolo e il Corno Grande, sullo sfondo, sono avvolti da nubi nerissime.
La cronaca di una giornata folle, ma non troppo speciale
Il bilancio, per fortuna, non comprende né feriti gravi né vittime. Il primo allarme è arrivato dalla Vetta Centrale del Corno Grande, che al contrario delle vicine Occidentale e Orientale non ha una via normale escursionistica. Un’alpinista si è fatta male a poca distanza dalla cima, ed è stata recuperata lì dall’elicottero. Il suo compagno di escursione è sceso da solo verso il ghiacciaio del Calderone, è rimasto bloccato ed è stato poi recuperato dalle squadre del SASA e del SAGF. La discesa dalla Vetta Centrale al ghiacciaio è un’arrampicata di II grado, su rocce a tratti molto levigate. Molti, in quel tratto, preferiscono calarsi a corda doppia.
L’arrivo del temporale, sul versante aquilano del Gran Sasso, ha bloccato una cordata di due alpinisti impegnati sullo Spigolo Sud-sudest della Vetta Occidentale, una classica arrampicata di III grado con un diedro di IV superiore. Una squadra del SASA li ha recuperati, fortunatamente illesi, dall’alto.
Mentre i soccorritori e gli alpinisti soccorsi scendevano per la Direttissima, la via normale alpinistica della montagna (I grado con qualche tratto di II, anche qui su rocce levigate) è stato necessario aiutare “quattro escursionisti stranieri, giovanissimi, mal equipaggiati e in difficoltà”, che sono stati “aiutati a scendere a valle”, come recita il comunicato del Soccorso. Anche loro sono tornati alla base senza un graffio.
La cronaca finisce qui, la mancanza di feriti gravi e di morti fa sì che non sia una notizia da prima pagina. Per fortuna di tutti gli interessati, inclusi i soccorritori, la pioggia che ha investito il Gran Sasso non è stata accompagnata da fulmini, altrimenti il bilancio sarebbe stato diverso.
Resta l’obbligo di chiedersi, però, perché tante persone si siano avventurate su itinerari impegnativi nonostante le previsioni meteo e le nuvole in arrivo. In qualche caso, come accade spesso sull’Appennino, la scelta di partire troppo tardi ha contribuito al problema.
Il precedente dello scorso 28 aprile
Due mesi fa, a fine aprile, sul Gran Sasso era successo qualcosa del genere. La montagna era carica di neve, è arrivato un netto rialzo termico che era stato ampiamente previsto. Il bollettino Meteomont indicava un pericolo di grado 3, arancione, con possibilità di “valanghe spontanee di grandi dimensioni”.
Decine di alpinisti, nonostante tutto, sono partiti da Campo Imperatore troppo tardi, e molti di loro erano in maglietta e senza ARTVA. Alle 13, come previsto, delle valanghe si sono staccate sulla Direttissima e nei canaloni Bissolati, Moriggia-Acitelli e del Tempio.
Il Soccorso ha dovuto recuperare alcune persone travolte. Una cordata che in quel momento era sulla Vetta Occidentale è stata portata a valle in elicottero. “Si è rischiata una tragedia molto grave” ha detto Daniele Perilli, responsabile del SASA. Due mesi dopo, con la neve quasi completamente sparita dal terreno, è successa la medesima cosa.
Gran Sasso terra di nessuno o terra per troppi?
Frequento da decenni il Gran Sasso, ho visto errori, leggerezze e incidenti di ogni tipo, non ho motivo di pensare che gli escursionisti e gli alpinisti che frequentano la grande montagna abruzzese siano meno preparati di chi affronta vette e sentieri delle Alpi.
In piena estate, soprattutto sul versante dei Prati di Tivo, si affiancano agli escursionisti ben preparati e attrezzati dei vacanzieri che arrivano direttamente dalle spiagge, e che si mettono nei guai sul sentiero del rifugio Franchetti. Forse gli “stranieri” della Direttissima (che sale da Campo Imperatore) erano visitatori di quel tipo. Ma la chiusura della cabinovia dell’Arapietra, dannosa per l’economia di Pietracamela e dei Prati, tiene lontani gli sprovveduti in infradito dai sentieri e dalle rocce.
Si può fare qualcosa, allora, per ridurre gli incidenti e i soccorsi sul Gran Sasso? Oltre alle spese sanitarie bisogna pensare a quelle per far volare gli elicotteri. E che, soprattutto, volare quando piove e le montagne sono avvolte dalle nuvole è un’attività pericolosa, da praticare solo se strettamente necessaria.
Sono bastate qualche telefonata e un’occhiata ai social, per scoprire che domenica 23 giugno Sezioni e Scuole di alpinismo del CAI hanno rinunciato a uscite ad alta quota programmate da tempo per ripiegare sui sentieri meno esposti e falesie. Altri sono andati a scalare lo stesso, ma su vie brevi e facili, da cui sono scesi all’arrivo della pioggia.
I punti informativi diventano necessari. Prima che sia troppo tardi
E allora? Ho scritto molte volte, negli anni, che d’inverno a Campo Imperatore e ai Prati di Tivo servirebbero dei punti informativi, gestiti da soccorritori, istruttori CAI, forze dell’ordine e guide alpine, per verificare l’esperienza e l’attrezzatura di chi parte, informare sulle condizioni della montagna e del meteo, e dare dei consigli su dove andare senza rischiare di mettersi nei guai.
Quel che è accaduto il 23 giugno dimostra che queste strutture servirebbero anche in estate, e ancora di più nelle stagioni intermedie (a giugno e a ottobre, soprattutto, quando la montagna sembra asciutta e invece c’è neve).
Non è un segreto che nessuno degli interessati ha mai accettato la proposta di questi “filtri”. Soccorritori e istruttori non amano dare consigli non richiesti, uomini e donne in divisa non hanno voglia di intervenire in situazioni in cui possono soltanto dare dei consigli, ma non hanno il potere di fermare, rimandare indietro o sanzionare qualcuno.
Sorprende il disinteresse per questi temi da parte della Regione Abruzzo, che pure si dà seriamente da fare per rendere più popolari eventi come l’Eroica Gran Sasso, e più sicuri gli itinerari da fare con le bici da strada, le mtb e le gravel. Certo, non fanno nulla del genere né il Lazio sul Terminillo e la Laga, né Umbria e Marche sui Sibillini e altrove. Ma l’Abruzzo, per geografia e per cultura, su questi temi dev’essere un leader.
Si disinteressano della prevenzione degli incidenti in montagna i Comuni dell’Aquila, di Pietracamela e degli altri centri del massiccio. Se ne disinteressa il Parco Nazionale Gran Sasso-Laga, che pure ha investito per sistemare (molto bene) le ferrate e per segnare (così così) i sentieri, ma che ad alta quota dovrebbe intervenire di più.
Se nessuno farà nulla, prima o poi, una giornata di allegra incoscienza come il 28 aprile o il 23 giugno 2024 potrebbe chiudersi con un bilancio più serio.