Alpinismo

“Sull’Everest è il momento delle scelte”. Il, severo, bilancio della stagione 2024 secondo Alan Arnette

Gli oltre 600 alpinisti sulla cima indicano un anno di successo, le difficoltà dell’Icefall e il crollo della cornice (due morti) sono segni del cambiamento climatico. Le agenzie nepalesi accettano più rischi della altre. E poi c’è il caso-Nirmal Purja…

Anche gli americani studiano la storia di Roma antica. Alan Arnette, il blogger a stelle e strisce che commenta da anni quel che succede sull’Everest, parla di un’annata “che potrebbe essere ricordata per gli arrivi in vetta, la politica, le morti, le catastrofi sfiorate e le inquietanti accuse di comportamenti sessualmente scorretti”. Ma quando deve condensare il tutto in una frase, scrive l’industria delle spedizioni guidate all’Everest è davanti al suo Rubicone. Un punto da cui non si torna indietro”.

Prima di passare ai dati, e soprattutto alle sue opinioni, Arnette si concede una considerazione legata alle due volte che ha raggiunto gli 8848 metri della cima. Non bisogna dimenticare la gioia e la soddisfazione di centinaia di persone che hanno raggiunto la vetta. Hanno lavorato, si sono allenate, sono rimaste in cima al mondo solo per pochi minuti. Un momento che passa subito, un ricordo che dura per tutta la vita.

La prima considerazione di Arnette riguarda il clima. “A causa dell’inverno più caldo e più asciutto della storia, la sfida per gli Icefall Doctors è stata più complessa del solito. Il tempo medio per attraversarla in salita è salito da 6 a 10 ore. Il riscaldamento del clima è probabilmente la causa del crollo della cornice sotto allo Hillary Step. Forse l’intera via normale per la Cresta Sud-est è a rischio”.

Le scelte disinvolte delle agenzie nepalesi

Poi il blogger passa alle cifre, che abbiamo già riferito giorni fa ma su cui è bene riflettere. Secondo Arnette, l’Everest nel 2024 è stato salito circa 670 volte. Dal versante del Nepal si tratta probabilmente di 250 clienti, supportati da 350 Sherpa, con un rapporto di 1:1,4.

Il governo nepalese ha emesso 421 permessi per stranieri (un anno fa erano stati 487, il calo è del 13%), quindi il 59% degli alpinisti ce l’ha fatta. Dal Tibet – altra stima di Arnette – sono arrivate in cima circa 70 persone, una trentina di clienti e una quarantina di guide.

Secondo Arnette, da entrambi i lati, hanno raggiunto la vetta ben 26 agenzie. Tutte le otto vittime confermate sull’Everest (un nono alpinista ha perso la vita sul Lhotse) erano clienti di agenzie nepalesi.

Il rapporto del blogger si dilunga sui diciannove giorni, dall’11 al 28 maggio, in cui gli alpinisti sono arrivati in vetta. Arnette cita le previsioni meteo di Chris Tomer, Michael Fagin, Marc DeKeyser e Meteoexploration, realizzate su misura per le agenzie più importanti e più ricche, e consultate online dagli altri.

Secondo Tomer, “l’Everest è una macchina ben oliata, le due finestre di bel tempo sono state lunghe e le abbiamo previste correttamente”. E il Jet stream, il forte vento d’alta quota che di solito colpisce la montagna, “a maggio si è preso una vacanza”.

Per questo, Arnette si stupisce perché alcuni team hanno insistito a tentare la cima nei giorni di vento fortissimo come il 12 maggio, quando circa 50 persone hanno rinunciato dopo aver tentato la vetta con un vento a 80 chilometri all’ora. Anche questo, però, rimanda al fatto che alcuni operatori, com’è noto, tollerano i rischi molto più di altri. E si tratta delle agenzie nepalesi”.

Arnette si dilunga sul crollo della cornice sotto allo Hillary Step, dove il peso di circa 50 persone ha fatto crollare una cornice di neve, facendo cadere una decina di alpinisti verso la parete di Kangshung. “Sembra che le due vittime, il britannico Daniel Paterson e Sherpa Pas Tenji, non fossero agganciati alla corda fissa.”  Il blogger americano, giustamente, fa un bel po’ di domande. Perché gli alpinisti hanno sovraccaricato la cornice? Perché la corda fissa era così vicina all’orlo? Perché i più esperti non hanno fermato gli altri?

“C’è bisogno della valutazione di alpinisti indipendenti ed esperti, per esempio Conrad Anker” scrive Alan. A impedire i soccorsi – se fosse vero sarebbe un dato agghiacciante – può aver contribuito “la mancanza di autorizzazione da parte delle autorità cinesi per effettuare una ricerca oltre la cresta”.


Nessuno controlla seriamente il rispetto delle regole

L’ultimo capitolo del rapporto s’intitola “Regole nuove, regole ignorate, regole stupide”. Arnette fa riferimento alle norme introdotte dalla Corte Suprema del Nepal, dal Ministero del Turismo e dalla municipalità di Khumbu Pasang Lhamu che controlla il campo-base dell’Everest.

Di fronte a queste, secondo il blogger, “le agenzie più importanti e che hanno i contatti migliori hanno imparato da tempo che possono fare quello che vogliono, e l’unica conseguenza è di aumentare i profitti”.

Tra le regole ignorate spicca quella che impedisce agli elicotteri di trasportare persone oltre il campo-base se non in caso di emergenza. “Eduard Kubatov ha spiegato su Internet che dopo il giorno di vento forte, che ha respinto molti tentativi, parecchi alpinisti sono scesi in elicottero”.

Altre regole spesso disattese sono state quelle riguardanti  l’obbligo (introdotto quest’anno) per gli alpinisti di riportare a valle le proprie feci, e tutto il materiale portato sulla montagna. In larga parte ignorate anche le limitazioni sulle tende-mensa che diventano sempre più grandi. Sono dieci anni che scrivo delle nuove regole per le spedizioni, ma vedo che non ci sono controlli. Il motivo è l’instabilità dei governi del Nepal, per cui i responsabili del Ministero del Turismo si alternano come in una porta girevole”.

Il caso Nirmal Purja

L’ultima nota di Alan Arnette riguarda le accuse di due alpiniste, la finlandese Lotta Hintsa e l’americana April Leonardo, che in un clamoroso articolo del New York Times hanno accusato Nirmal Purja di comportamenti scorretti dal punto di vista sessuale. Il popolare Nimsdai ha negato, e il suo avvocato ha parlato di calunnie.

La guida americana Adrian Ballinger, fondatore e proprietario di Alpenglow Expeditions, ha commentato in maniera durissima su Facebook. “Ho scelto di condividere l’articolo del “New York Times” perché dobbiamo dare alle donne il potere di parlare. Sono abbastanza dentro a questo mondo per capire dov’è la verità. Le donne devono sapere che vogliamo che questo terreno di gioco sia sicuro e uguale per loro come lo è da tempo per noi”.

Considerazioni simili a quelle di Ballinger sono state messe nero su bianco da agenzie straniere come Adventure Consultants, Climbing the Seven Summits, Furtenbach e Madison Mountaineering, mentre nessuno tra le agenzie nepalesi e gli Sherpa si è espresso.

La Osprey, uno degli sponsor di Purja, ha chiuso il rapporto con l’alpinista dei record. E – dato che Nimsdai è ufficialmente un cittadino del Regno Unito – il parlamentare Rajendra Bajgain ha chiesto al Governo di impedirgli di entrare in Nepal. Non sappiamo come la cosa andrà a finire. Ma la credibilità dell’alpinista dei record potrebbe ricevere un duro colpo.

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