20 anni fa crollava la Torre Trephor.
Nessuno vide il crollo, per questo non c’è una data certa dell’evento che ha ridisegnato la skyline della conca ampezzana. La storia di un pinnacolo che fu conquistato dall’alto
Non se ne accorse nessuno. Crollò senza disturbare, nella notte. Non sollevò un polverone e la neve su cui pesantemente si adagiò restò candida intorno. Era la Torre Trephor, una delle Cinque Torri a Cortina (che poi cinque non sono ma almeno il doppio), trasformata, sezionata, come un’opera cubista. I suoi ciclopici dadoni di roccia affettata (tre i principali) si appoggiarono uno in fila all’altro lungo il pendio. La Trephor era a terra orizzontale, non più svettante come le consorelle.
Accadde giusto vent’anni fa. Giorno più giorno meno. Perché nessuno sa esattamente quando crollò. Ma pare dopo il primo giugno, forse il 4, del 2004. Se ne accorsero quando tutto era ormai accaduto. Nessuno fortunatamente venne coinvolto pur essendoci un bellissimo sentiero che gira attorno a tutte le torri che passa anche sotto la Trephor, frequentatissimo d’estate. Fu quella neve forse a scoraggiare di intraprenderlo. Poi probabilmente era notte. Ma quando si seppe la notizia fece il giro del mondo.
Le Cinque Torri sono quell’acropoli di roccia preferita dagli Scoiattoli di Cortina che ne hanno fatto la loro palestra d’elezione e conosciuta da sempre anche dagli alpinisti internazionali. Il nome della Trephor, infatti, sebbene storpiato, pare derivi da uno di questi, Edward de Trafford, britannico, residente a Madeira, che arrampicò spesso a Cortina, negli anni ’20-’30, accompagnato da Angelo Dibona, famosissima guida ampezzana e Luigi Apollonio “Longo”. Ma allo stesso tempo quelle torri sono un’icona universale, con quel profilo inconfondibile quando le si guarda dalla conca d’Ampezzo da dove appunto se ne contano cinque stagliate contro il cielo. La Trephor era la più piccola, alta una cinquantina di metri e strapiombante su un lato. Ma nonostante fosse così minuta dava filo da torcere a chi l’affrontava.
La conquista della Torre Trephor avvenne dall’alto con una traversata aerea
E memorabile fu la sua prima conquista che non avvenne dal basso ma con una traversata aerea, nel 1927, di Agostino Verzi “Scèco” guida d’Ampezzo. Per raggiungere la cima della Trephor Verzi lanciò una corda da una guglia vicina e sospeso nell’aria attraversò nel vuoto. Poi giunto dall’altra parte aiutò i compagni Angelo Dibona e Luigi Apollonio a raggiungerlo in vetta. Sono numerose le vie tracciate su quelle pareti verticali e tutte difficili. La prima conquista dal basso fu opera di Piero “Longo”, fratello di Luigi, nel 1939.
Ora restano gli “spit”, le attrezzature per l’arrampicata sportiva fisse nella roccia su pezzi di parete che non sono più verticali ma orizzontali. La Torre annoverava vie classiche di 6° grado e nuove vie fino al 7a, vie dai nomi che evocano emozioni forti e voglia di trasgressione:” Pelle di leone”, “Vertigo”, “Risveglio”, “Trapanetor”, tracciate su strapiombi e placche verticali che non ci sono più.
La Trephor era già inclinata ma nessuno si aspettava che crollasse. Il cedimento avvenne dalla base, visto che le 5 Torri poggiano su strati plastici, terreni argillosi instabili della cosiddetta Formazione di Travenanzes. D’altra parte, è proprio la fragilità di quelle guglie che le ha rese così belle, movimentate, affascinanti, quasi fossero i ruderi di un immenso castello naturale. Tutto il gruppo, collocato tra i 2200 e i 2361 metri di altitudine, è formato da Dolomia Principale, la roccia che si originò nel mare intorno ai 215 milioni di anni fa. La più alta e massiccia è la Torre Grande d’Averau, con vicine la Torre Latina, la Torre del Barancio, la Lucy, la Romana, la Quarta Alta e la Quarta Bassa, l’Inglese: nomi entrati nel vocabolario dell’alpinismo dolomitico. Della Trephor resta il nome, il ricordo e quei ciclopici dadoni ancor ben riconoscibili adagiati sul pendio.