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L’affascinante storia di Giuseppe Tucci, che ha esplorato il Tibet e il Nepal

Quarant’anni fa, ci lasciava uno straordinario personaggio della cultura e dell’esplorazione italiana. Nato nel 1894 a Macerata, ha compiuto decine di spedizioni avventurose. Re Birendra del Nepal lo considerava un maestro

In una delle sue foto più belle, il volto di Giuseppe Tucci non si vede. Il professore nato quarantatré anni prima nelle Marche è seduto sulla riva di un lago sull’altopiano del Tibet, volge la schiena all’obiettivo, ha in testa un cappello a tesa larga, come quelli dei tibetani e dei cowboy. Sullo sfondo si alzano delle montagne sassose, le nuvole si riflettono nell’acqua del lago.
Siamo nel 1937, e lo studioso italiano sta viaggiando per la sesta volta nel Paese proibito. Alle porte di Lhasa, i suoi compagni di viaggio dovranno fermarsi e attendere. Solo Tucci, che due anni prima si è convertito al Buddhismo, avrà il permesso di incontrare il Dalai Lama.

“Nel corso della spedizione del 1935, volli sperimentare io stesso le liturgie sottili che sommuovono tutto l’Io, liberando aspettazioni stupefatte e pavide e ricevetti dall’abate di Saskya l’iniziazione” scriverà Tucci in “Santi e briganti nel Tibet ignoto”, il libro in cui racconta i suoi viaggi, che avrà una ristampa anastatica nel 2022.

La lunga collaborazione con Fosco Maraini

A scattare quella foto (bellissima!) è un altro nome importante dell’esplorazione italiana. Si chiama Fosco Maraini, ha venticinque anni, diventerà un viaggiatore e un fotografo straordinario, come dimostreranno le immagini realizzate nel 1958 sul Gasherbrum IV, in Karakorum. All’inizio del 1937, dopo una giornata di sci a Misurina, il giovane Fosco strappa le pagine di un giornale per asciugare gli scarponi bagnati. Su una, prima di usarla come carta assorbente, scopre un titolo che gli cambia la vita. “Il noto orientalista Giuseppe Tucci si prepara a tornare nel Tibet”.

Maraini scrive al professore una lettera, lo incontra a Roma, viene assunto come fotografo. Quattro mesi dopo, insieme a Tucci e al capitano Felice Boffa Ballaran, si imbarca su una nave diretta a Bombay. Hanno un ruolo nella spedizione anche Khalil, l’assistente indiano (ma di fede islamica) di Tucci, e il sirdar Tenzing Norgay, uno sherpa destinato a diventare famoso.

“Il Tibet oggi è come un museo vivente. Situato al centro dell’Asia, è remoto ma non periferico, ogni movimento spirituale del continente vi ha lasciato il suo riflesso” spiega Tucci a Maraini, che a Gyantse si rinchiude per due settimane a fotografare le statue del monastero Kum Bum. Durante la spedizione i due collaborano senza problemi, al ritorno il fiorentino va a camminare nelle foreste del Sikkim, ai piedi del Kangchenjunga.

Le cose vanno diversamente nel 1948, quando Fosco non è più un ragazzo, ha alle spalle anni di lavoro e poi di prigionia in Giappone, partecipa a una nuova spedizione di Tucci e al ritorno scrive “Segreto Tibet”, un libro che diventa un best-seller mondiale. Il professore marchigiano si infuria, e tronca i rapporti con l’ex-discepolo. “Tucci, come tutti i geni, non ammetteva che qualcuno potesse scrivere di quello che considerava il ‘‘suo’’ mondo, tantomeno un suo allievo”, mi dirà Maraini molti anni dopo.

Tucci scrive testi divulgativi come “A Lhasa e oltre” e “Tra giungle e pagode e Nepal”, e i ponderosi “Indo-Tibetica”, studi scientifici sulle civiltà dell’Asia centrale. “Fu uno scrittore senza particolare immaginazione, non aveva la levità di Fosco Maraini o la grazia di Peter Levi”, lo liquiderà nel 2022 su “Repubblica” Antonio Gnoli.

Giuseppe Tucci, nato nel 1894 a Macerata, è uno dei personaggi più importanti dell’esplorazione del Novecento. Anche oggi, è considerato tra i più grandi tibetologi di tutti i tempi. Va in India per la prima volta nel 1926 con il poeta Rabindranath Tagore, poi impara molte lingue dell’Asia, e insegna a Dacca, Benares e Calcutta.

Grazie ai suoi rapporti con il regime fascista, il professore marchigiano ottiene fondi e permessi per viaggiare in Nepal, in Tibet e nelle aree più remote dell’India. Nel 1933, con l’appoggio di Mussolini, fonda a Roma l’Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente insieme al filosofo Giovanni Gentile. Enrica Garzilli, nel 2012, intitolerà la sua biografia di Tucci “L’esploratore del Duce”.

Nonostante le decine di spedizioni, la fama, i titoli accademici e le molte lingue parlate, Giuseppe Tucci non è un uomo tranquillo. Invidia i successi degli altri, tratta male i collaboratori, accumula opere d’arte e reperti da riportare in Italia, dove vengono esposti all’ISMEO.  “Va alla ricerca dei misteriosi tesori del Tibet occidentale, tratta direttamente con i monaci l’acquisto di manoscritti e di oggetti sacri”, spiega Antonio Gnoli.

Chi guarda oggi i viaggi di Giuseppe Tucci fatica a comprendere quanto fosse remota l’Asia in quegli anni. Nei suoi primi tre viaggi in Nepal (1929, 1931 e 1933), il professore raggiunge Kathmandu a piedi dal confine con l’India. Nel quarto, nel 1958, arriva con un piccolo aereo da Patna.
Dopo qualche giorno nella capitale in fermento, dove i militari hanno appena schiacciato una ribellione comunista, parte a piedi verso Pokhara. E’ un trekking di due settimane, che la pioggia del monsone rende faticoso e sgradevole. Tucci sosta a Nawakot e a Gorkha, la prima capitale del Paese. Altre foreste piene di sanguisughe accompagnano la spedizione verso Pokhara. Poi il tempo migliora, e compare l’Annapurna. “Viaggiare in Nepal non è facile”, si lamenta il professore. “Solo Dio sa quando il trasporto motorizzato comparirà nel Paese!”.

Insieme a Tucci, al medico Concetto Guttuso, al cuoco, all’ufficiale di collegamento e a 28 portatori, partecipa al viaggio la fotografa Francesca Bonardi, che nel 1971 diventa la terza moglie del professore. E’ lei, molto più giovane del marito, a stargli accanto nei suoi ultimi anni, quando la coppia si trasferisce a San Polo dei Cavalieri, in vista della Campagna romana.

La visita privata, in Italia, di re Bidendra del Nepal

Nell’inverno del 1983, arriva fin lì, alle porte di Roma,  re Birendra del Nepal, per consegnare al professore una delle onorificenze più importanti del Paese. E’ una visita privata, senza soste a Roma per incontrare il presidente Pertini o il Primo ministro Fanfani. Accompagnano il sovrano la regina Aishwarya e alcuni ministri. Su incarico dell’ISMEO, scatto le foto ufficiali dell’incontro, mettendo così un piccolo piede nella storia.

Un anno dopo, il 5 aprile del 1984, l’avventura terrena di Giuseppe Tucci si conclude. Secondo alcune fonti, prima di morire, il professore ripudia Buddha per ridiventare cattolico. Re Birendra e sua moglie Aishwarya, amatissimi dal loro popolo, vengono trucidati nel palazzo reale di Kathmandu, il 1° giugno 2001, dal primogenito Dipendra, che fa una strage con un fucile da guerra e poi rivolge l’arma contro di sé. Una tragedia che il Nepal ricorda ancora con dolore.

Qualche anno dopo la morte di Tucci l’ISMEO viene sciolto, e le sue preziose collezioni trasferite nel Museo delle Civiltà dell’EUR. Escono il libro di Enrica Garzilli e un secondo (“Giuseppe Tucci. Una biografia”) scritto da Alice Crisanti. Nel 2022 la casa editrice Hoepli pubblica la ristampa anastatica di “Santi e briganti nel Tibet ignoto”.

A San Polo dei Cavalieri, l’ultima casa di Tucci e di sua moglie Francesca dovrebbe diventare un museo, ma l’iter per qualche motivo si blocca. Nelle Marche, dove il professore era nato, arrivano mostre e altre iniziative culturali. Nel 2023 il Comune di Macerata fa proprio il progetto del Parco storico-Letterario “Le Marche e l’Oriente – Giuseppe Tucci”, lanciato dal professor Adolfo Morganti. Ci auguriamo che l’iniziativa abbia successo. Fino a oggi, invece, l’Italia sembra aver dimenticato uno dei suoi esploratori più grandi.

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