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Gli Aquilotti di Pietracamela, signori delle rocce del Gran Sasso

Uno dei primi gruppi alpinistici locali italiani è nato un secolo fa a Pietracamela, in Abruzzo. In passato gli Aquilotti hanno aperto vie straordinarie. Oggi, una nuova generazione segue le loro tracce

Scoiattoli, Ragni, caprioli e camosci, che in ladino si chiamano Ciamorces. Se il bestiario dei gruppi alpinistici italiani si concentra tra le Alpi lombarde e le Dolomiti, al suo interno c’è spazio per un’associazione nata molto più a sud, sul Gran Sasso. Gli Aquilotti di Pietracamela, fondati nel 1923 dal medico e alpinista Ernesto Sivitilli, sono anche, probabilmente, il gruppo più antico di tutti.

Oggi il borgo ai piedi del versante teramano del Gran Sasso conta poche decine di abitanti, che aumentano solo in estate quando tornano per qualche settimana gli emigranti. Dopo la Prima Guerra Mondiale, invece, Pietracamela era un paese allegro e vitale, dove vivevano millecinquecento persone.

Al contrario degli altri montanari d’Abruzzo, i “pretaroli” vestivano con eleganza. Nonostante l’origine paesana, molti degli Aquilotti – Marsilii, Giancola, Panza – erano studenti di medicina, e poi medici, come Sivitilli e Muzii, che vivevano a Teramo. Gli abitanti di Pietracamela, come ha ricordato il teramano Luigi Muzii, “avevano il pallino degli sport invernali e dell’alpinismo”.

Nelle prime immagini degli Aquilotti compaiono facce imberbi, lunghissime piccozze, corde di canapa. Tra di loro, come spesso accade nei paesi, si chiamavano utilizzando i soprannomi. Se Antonio Giancola era “Sciarabaglio”, Venturino Franchi per gli amici era “Chiuchiù”.

Il gagliardetto del gruppo, ricamato a mano dalle donne del paese, è stato custodito per decenni da Lino D’Angelo, ed è ora nelle mani del presidente Claudio Intini, un passaggio da una guida alpina all’altra. E’ stato proprio Intini, lo scorso 29 dicembre, a inaugurare insieme al sindaco Antonio Villani il monumento in bronzo agli Aquilotti, realizzato dallo scultore veneto Vittorio Tessaro.

Nei primi anni di attività, fino al 1929, gli Aquilotti aprono itinerari di media difficoltà sui due Corni, superando difficoltà fino al quarto grado. Arrampicano con ai piedi i “paponi”, le scarpe di pezza fabbricate dalle donne del paese, non utilizzano quasi mai i chiodi, si allenano sugli speroni rocciosi che sorvegliano il paese.

Poi arrivano il 1933 e il 1934, gli anni d’oro, in cui gli alpinisti “pretaroli” aprono diciotto vie nuove sulle pareti più impegnative del Gran Sasso. L’elenco include la Crepa, una fessura-diedro sulla parete Est del Corno Piccolo, una via sulla inesplorata parete Est del Pizzo d’Intermèsoli, e lo Spigolo Sud sud est della Vetta Occidentale del Corno Grande, che si protende verso Campo Imperatore.

In questa salita Antonio Giancola, con gli aquilani Domenico D’Armi ed Emilio Tomassi, vince lo strapiombo levigato del Naso con una lunghezza di corda al limite tra il quinto superiore e il sesto grado, che le cordate di oggi aggirano a sinistra per una rampa molto più facile.

Nel tratto più duro, rimasto senza corda, Antonio si slega, completa il passaggio in solitaria, poi scende per la facile rampa utilizzata dai ripetitori di oggi. Poi torna all’attacco, risale fino a Tomassi e D’Armi, li fa legare a pochi metri di distanza l’uno dall’altro, supera di nuovo il passaggio e li fa salire assicurati dall’alto.

Un anno dopo, nell’agosto del 1934, è ancora Domenico D’Armi ad accompagnare Giancola nella prima salita dei Pulpiti, i pilastri con i quali la Vetta Centrale del Corno Grande si affaccia sul ghiacciaio del Calderone. L’alpinista di Pietracamela supera da capocordata, assicurato a un chiodo traballante, un diedro levigato e strapiombante.

Per rispetto verso gli arrampicatori delle Alpi, gli Aquilotti non assegnavano il sesto grado alle vie

Secondo le poche cordate che ripercorreranno la via, questo è un passaggio di sesto. Il “bell’Antonio”, però, non si sente di usare quel grado, introdotto da poco sulle Dolomiti, e che pensa possa essere usato solo dai più forti arrampicatori delle Alpi.

Per questa sua timidezza, nella prima guida “Gran Sasso d’Italia”, che esce nel 1943, i Pulpiti e lo Spigolo Sud sud est figurano solo come itinerari di quinto. L’etichetta di primo sesto grado del Gran Sasso va allo spigolo della Punta dei Due. Una via che Giusto Gervasutti, il “Fortissimo”, ha aperto insieme ad Aldo Bonacossa due mesi dopo l’exploit della cordata abruzzese sui Pulpiti.

Incredibilmente, dopo l’exploit di Gervasutti, Antonio Giancola non prova a ripetere lo spigolo della Punta dei Due. “Non osò mettersi alla prova su quella via” scrive lo storico dell’alpinismo Marco Dell’Omo, “tanto grande e radicata era la convinzione che solo i grandi come Gervasutti potessero superare difficoltà inimmaginabili, fuori dalla portata degli alpinisti abruzzesi”.

Ma le cose non stanno così. Già nel 1932, Bruno Marsilii e Mimì D’Armi mostrano la loro abilità di arrampicatori in un corso di roccia sulle Dolomiti Pesarine, in Friuli, diretto dall’udinese Celso Gilberti. Qualche anno dopo, sulla Civetta, Antonio Panza ripete insieme a Raffaele Carlesso la via di sesto grado che quest’ultimo ha aperto sulla Torre Trieste, e Antonio Giancola arrampica con l’altoatesino Hans Vinatzer.

L’altro capolavoro degli Aquilotti è la parete Nord del Monte Camicia, il “piccolo Eiger” d’Abruzzo, una muraglia di roccia friabile alta un chilometro e larga quattro che si affaccia su Castelli, il borgo della ceramica. A salirla, un mese e mezzo dopo l’exploit di Giancola sui Pulpiti, sono Bruno Marsilii e Antonio Panza.

I due attaccano la parete all’alba, superano uno zoccolo di roccia friabile ed erba, s’inoltrano nel cuore della parete con esposizione dolomitica. L’uscita di un chiodo piantato in uno strapiombo fa cadere Antonio addosso a Bruno, ma uno spuntone nel quale si impiglia la corda impedisce ai due di precipitare nel vuoto. Nell’ultimo tratto, delle “ciclopiche placche levigatissime” portano i due Aquilotti all’uscita. Le difficoltà raggiungono il quinto grado.

Quando Marsilii e Panza tornano a Castelli e poi a Teramo, però, nessuno crede alla loro ascensione. C’è anche una motivazione politica in questo, perché Pietracamela è nota come un paese “rosso”. Due anni dopo, nel 1936, i due Aquilotti ripercorrono la Nord, e nella parte centrale della parete lasciano una maglia rossa legata a due chiodi. Dubitare non è più permesso.

Negli anni Settanta una nuova generazione di Aquilotti apre vie di grande difficoltà

La seconda giovinezza degli Aquilotti arriva negli anni Settanta, quando Lino D’Angelo, classe 1921, fa da chioccia a una nuova generazione di alpinisti, e insieme a Enrico De Luca, Dario Nibid e Diego D’Angelo altri apre una decina di vie di grande difficoltà e bellezza. Per diffondere il nome del gruppo, le battezzano con quello, seguito dall’anno di apertura. Nascono così la Aquilotti ’79 al Paretone, la Aquilotti ’73 al Monolito, le Aquilotti ’72, ’74 e ’75 alla Seconda Spalla, e via elencando.

Oggi i residenti di Pietracamela sono pochi, e il nuovo (e, con il senno di poi, sciagurato) raccordo stradale consente ad alpinisti, escursionisti e sciatori di salire verso i Prati di Tivo evitando il paese. Il presidente Claudio Intini, però, lavora da anni perché i giovani alpinisti del Teramano diventino soci degli Aquilotti e portino la storia del gruppo sulle pareti del Gran Sasso e delle Alpi.

C’è riuscito, e tra gli Aquilotti sono sempre più numerose le Aquilotte. Eccoli: Sara Brizzi, Marco Carlini, Simone Caruso, Matteo Cimini, Bruno Damiani, Aurora Di Furia, Umberto Di Giuseppe, Sara Di Silvestre, Jacopo Iapadre, Matteo Intini, Andrea Mosca, Marcello Pasinelli e Carolina Villani.

Tra qualche mese arriverà il momento di ricordare l’impresa di Antonio Giancola sui Pulpiti della Vetta Centrale e quella di Bruno Marsilii e Antonio Panza sulla selvaggia parete Nord del Camicia. Nella storia del Gran Sasso gli Aquilotti hanno un ruolo straordinario.

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