Le Olimpiadi, la Ferragni e McDonald
Altro che festa planetaria dello sport. La percezione che abbiamo oggi dei Giochi del 2026 è negativa, ci sentiamo traditi da un amore (possibile). Succede spesso, gli esempi eclatanti in altri campi non mancano. Far riaccendere la fiamma non sarà facile
Ma voi lo sapete qual è il logo delle Olimpiadi invernali Milano-Cortina? Io no. O almeno, l’ho visto sicuramente, ma non riesco a memorizzarlo. Sul perché e implicazioni varie ci torniamo tra un attimo, quando parleremo anche della Ferragni. Ora però cerchiamo di ricordarcelo, questo logo. Veloce ricerca in rete ed eccolo: è un 26 stilizzato, sembra scritto da un writer metropolitano, e sembra anche scavato nella neve fresca, che poi si scioglie e non lascia più traccia. Dicono che simboleggi la sostenibilità, il concetto con il quale l’Italia ha convinto il Comitato olimpico, aggiudicandosi questa edizione dei Giochi invernali.
Sostenibilità e legacy, una parola inglese molto di moda che ci impegna a “lasciare in eredità” le opere (edili) a qualcuno che poi continui a utilizzarle davvero. Per quanto riguarda il villaggio per gli atleti, che si sta costruendo a Milano in zona Porta Romana, la destinazione post-Olimpiadi è accertata: diventerà uno studentato studentesco, e Dio sa se a Milano ce n’è bisogno. La seconda opera imponente, per il consumo di suolo e di cemento, è (sarebbe) la pista di bob di Cortina.
Le cifre: 47,7, 85, 118. Sono i milioni stanziati, e via via lievitati nel corso degli anni, per l’abbattimento della vecchia pista Eugenio Monti e la ricostruzione di una pista nuova, con annessi servizi, museo, ristorante… L’ultima versione prevede solo la pista nuda, senza ammennicoli turistici, ma il prezzo intanto è quasi triplicato.
Sui quotidiani, dopo le guerre in corso e la famiglia reale inglese, non si parla d’altro che di questo. Larici da abbattere, interessi politici, e il Cio che si mette di traverso e chiede (anche giustamente, no?) che fine abbiano fatto la sostenibilità e la legacy. Sì, perché se non è chiaro quanto spenderemo, ancor meno chiaro è che fine farà una nuova pista dopo le Olimpiadi. Tramutarla in camere per studenti non si può, quindi chi la userà? Le poche decine di atleti che in Italia si dedicano agli “sport di scivolamento”? E con quali costi di gestione? Il caso della pista di Cesana (Olimpiadi invernali di Torino 2006) è eloquente.
Ma torniamo al nostro logo. Se non ce lo ricordiamo un motivo ci sarà. E credo proprio sia questo: a causa delle polemiche finanz-ambientali, la percezione che ormai abbiamo delle prossime Olimpiadi è negativa. Il logo, l’idea stessa di Olimpiadi, suscitano (subliminalmente o meno) fastidio, noia, rabbia, disincanto. Un po’ come per la Chiara Ferragni. È bastata una causa per truffa e, alla faccia della presunzione di innocenza, le è caduta addosso un’immensa valanga: followers che si trasformano in haters, aziende in fuga, contratti cancellati, reputation a pezzi. Sembrava che la Ferragni fosse capace di tramutare in oro qualunque cosa toccasse: adesso lo tramuta in… qualcos’altro.
La stessa valanga sta travolgendo le Olimpiadi insieme a Cortina/Perla delle Dolomiti (altro logo che rischia la percezione negativa). Ed è un peccato: come buttare via il bambino (i valori olimpici) con l’acqua sporca (la pista di Cortina, ma soprattutto l’incapacità della politica di governare le crisi). Intanto è nato un nuovo Cio, non il Comitato olimpico internazionale ma il “Comitato insostenibili Olimpiadi”, una rete di associazioni che sta proponendo manifestazioni e flash mob contro le Olimpiadi (i primi cortei si sono svolti a Milano il 10 febbraio).
Cortina era già incappata in tutto questo nel 2022, con i “mondiali della sostenibilità, i primi delle Alpi”, che in realtà, come scriveva un anno prima Luigi Casanova, violavano “ben 5 protocolli della Convenzione delle Alpi, la Carta del paesaggio Europea, le direttive europee sulla partecipazione e quelle di Rete Natura 2000, la Costituzione italiana negli articoli 9 – paesaggio – e 118 -partecipazione -, la legge Galasso del 1985”. Allora le immagini delle ruspe in alta quota e delle manifestazioni ambientaliste si erano impresse nella memoria ben più delle immagini delle gare di sci.
Recuperare l’affetto del pubblico, per Cortina e le sue Olimpiadi, non sarà facile. Per Susan Fournier, studiosa di marketing alla Boston University, il rapporto tra gli individui e il brand è simile al rapporto tra partner: è affettivo, comportamentale, cognitivo. In parole povere, se un amante del brand si sente tradito (vedi il caso Ferragni), l’amore si tramuta in odio, spesso per sempre. Un altro caso è quello di McDonalds: andate in rete a vedere quanti gruppi di haters “sparlano” della grande M gialla. Sono spesso ambientalisti, salutisti, no global. Un profilo non molto diverso da chi oggi dice male delle Olimpiadi.
Chissà, tra un paio d’anni si tornerà a parlare di neve e di sport, e tutto sarà dimenticato. Forse. Per ora il segno negativo prevale. E tutto a causa di una pista di bob, o di un panino.