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Fotografare in alta quota

Un ambiente difficile, tra roccia, neve e ghiaccio. Come fare foto in alta quota, quale corredo fotografico e quali precauzioni per il freddo adottare

La barriera psicologica venne infranta dal mio compagno Laurie Skreslet. Era salito in cima e mi disse che avrei dovuto esserci per immortalare l’alba sul Tibet. Così, attratto dalle sue parole, credo di essermi spinto fin lassù più per scattare fotografie che per il piacere della scalata.

Pat Morrow

Fotografare in alta quota. Foto di Cesare Re

Fotografo alpinista o alpinista fotografo?

Senza paragonarsi a Pat Morrow e al mondo degli 8000, si può affermare che fotografare in alta quota, dai 3000 ai 4000 m, comporta una serie di precauzioni e accorgimenti sia dal punto di vista della tecnica fotografica sia per la protezione e per il trasporto dell’attrezzatura.

Innanzitutto occorre stabilire quanto tempo sottrarre all’ascensione, per dedicarlo alla ripresa fotografica. Questa è la prima discriminante che porta alla dicotomia tra fotografo alpinista e alpinista fotografo. Lo stesso ragionamento vale anche per il fotografo escursionista e l’escursionista fotografo. Nel primo caso, ci si reca in alta quota per scattare delle immagini, dedicando parecchio tempo alla ripresa fotografica. Nel secondo, invece, ci si dedica a un’ascensione, anche non di estrema difficoltà, scattando qualche foto ricordo, oppure anche documentando la salita in maniera più metodica, ma sempre dando la precedenza all’aspetto alpinistico, rispetto a quello fotografico che diventa un mero corollario di tutto il resto.

È ovvio che la possibilità di scelta tra i due ruoli di cui sopra non è sempre possibile ed è spesso obbligata, a seconda delle condizioni della salita, della sua difficoltà, del meteo e della preparazione dell’alpinista o dell’escursionista d’alta quota. Muovendosi in alta quota, su ghiacciaio e in cordata, diventa impossibile fermarsi a fotografare in maniera metodica, magari bloccando il gruppo, sia perché il tutto diventerebbe estenuante per i vostri compagni sia per questioni di sicurezza. Dopo qualche sosta i vostri compagni valuterebbero se scaraventare l’attrezzatura in un crepaccio, oppure se gettare direttamente anche voi…

Il paesaggio e il reportage

Sempre tenendo conto della distinzione di cui sopra, direi che in alta quota si possono distinguere due generi fotografici principali: paesaggio e reportage.

Il paesaggio con la nuda roccia, il bianco dei ghiacciai e la sfilata di cime che circondano valli e creste sono soggetti interessanti. Scattare immagini di reportage, invece, significa raccontare l’ascensione a una cima, dall’inizio all’arrivo al rifugio, alla vestizione la mattina seguente, con l’aggancio di imbracatura, ramponi, picozza allo svolgimento della salita, sino al culmine della cima, magari rappresentando anche il ritorno. Il tutto significa, quindi, raccontare. Invece di usare la parola o un testo scritto, si usufruisce del linguaggio della fotografia.

In caso di una vera e propria ascensione, è chiaro che il ruolo del fotografo è quello dell’alpinista fotografo. Continuare a chiedere ai compagni di fermarsi, assumere pose plastiche, perdere tempo potrebbe rivelarsi pericoloso oltre che estenuante, da un punto di vista sia fisico sia mentale. Il reportage deve essere una gioia per tutta la cordata e, soprattutto, deve essere subordinato all’ascensione della cima. Altrimenti, torna valido l’esempio del crepaccio come “meta ultima” di fotografo e fotocamera…

In rifugio

Che si tratti di paesaggio o di reportage, non ci sono problemi nel dedicare molto tempo alla fotografia durante la sosta in rifugio, in particolare se si decide di passarci la notte. I rifugi d’alta quota sono di per sé panoramici e posti in punti molto suggestivi, magari su speroni di roccia che affiorano da lembi e lingue di ghiaccio. Sono ambienti affascinanti da immortalare, soprattutto perché poco consueti e ai quali l’occhio dell’osservatore non è certo molto abituato.

Anche l’alba e il tramonto in quota sono momenti particolarmente fotogenici. Il tramonto è sicuramente preferibile, perché l’alba è il momento che precede la preparazione della cordata e, soprattutto, in molti casi si parte per le grandi cime di ghiaccio ancora in piena notte, incontrando l’alba quando si è già in cammino o in ascensione.

Paesaggio puro ed elemento umano

Anche il grande Vittorio Sella spesso fotografava immagini di paesaggio con cordate di alpinisti, intenti alla progressione su ghiacciaio. Spesso l’elemento umano diventa importante come proporzione con le cime. Tra l’altro, scattare in alta montagna a volte significa riprendere un paesaggio bicolore, tra l’azzurro del cielo e il bianco del ghiaccio. Qualche alpinista colorato sullo sfondo, o in primo piano, diventerà il vostro migliore amico, dal punto di vista cromatico.

Grandangolo o teleobiettivo?

È possibile scattare foto interessanti sia con ottica grandangolare sia con teleobiettivo. Col grandangolo è importante avere sempre un primo piano ben definito. Col teleobiettivo è possibile sfruttare la compressione dei piani, rendendo le cime più incombenti e imponenti.

I tele sono anche più complicati da gestire per una questione di peso e ingombro, e non mi riferisco solo al trasporto, ma anche al semplice utilizzo, ovvero a portare l’insieme fotocamera-obiettivo all’occhio, magari legati in cordata o abbandonando la piccozza per quel momento specifico. Che si scatti con grandangolo o teleobiettivo, è necessario razionalizzare uso, peso e ingombro del materiale fotografico che diventa subordinato a quello alpinistico e a quello da montagna in generale.

Oltre alle normali regole di composizione, è importante porre attenzione sulle linee e sulle forme, proprie delle montagne innevate. Anche le ombre delle cime sul ghiaccio sono spunti interessanti. In questo caso si ragiona sulla forma e sulle linee guida che convogliano l’occhio dell’osservatore. Molto interessante anche il bianco e nero, visto che l’ambiente d’alta quota è, spesso, bicolore, bianco e azzurro e viene, quindi, quasi spontaneo provare a convertire l’immagine in bianco e nero.

Corredo per l’alta quota  

Meglio portare obiettivi di modeste dimensioni. Gli zoom sono da prediligere, non solo per comodità e praticità, ma anche perché evitano di dover cambiare l’ottica, scoprendo il bocchettone ed esponendolo a intemperie e vento, perdendo attimi preziosi.

Per il formato APSC, per esempio, esistono ottiche tuttofare con focali tipo 18 – 200, 18 – 300. Sono piuttosto leggere e comprendono un’escursione focale notevole, consentendo di non portare nello zaino altre ottiche. Nel formato FX, ci sono focali simili o analoghe, tipo: 28-200, 24-120, 24-105. Le ultime mirrorless di Nikon e Canon, annoverano lenti molto interessanti, come il Nikkor Z 24-200 4/6,3 vr e il Canon RF 24-240 4/6,3 is usm, con escursione focale estesissima; entrambi sono dotati di stabilizzatore. Sono zoom veramente tuttofare che consentono di non abbinare altre lenti e di passare da un grandangolo piuttosto spinto a un vero teleobiettivo.

Personalmente, spesso, ho utilizzato una fotocamera mirrorless di Fujifilm (formato apsc), con la sola ottica 18-55. Il tutto è molto leggero e compatto e di qualità molto elevata. Per diminuire ancora peso e ingombro è possibile rivolgersi al formato micro 4:3, usufruendo di Olympus, sistema OM, o Panasonic Lumix, con varie ottiche leggere e compatte.

Come dice il mio amico Massimo: “Quando fai alpinismo (quando vai in alta quota, aggiungo io) devi alleggerirti; le chiavi della macchina le nascondi sotto la ruota”. È vero che, in fondo, tutto è relativo. Qualche anno fa, sulle riviste di fotografia, spiccava l’immagine di un Reinhold Messner con al collo una fotocamera Leica a telemetro con una focale fissa, utilizzata, secondo lo spot cartaceo, per la salita degli ottomila.

Oppure il grande Walter Bonatti, nel suo periodo di esplorazione, anche in montagna, utilizzava spesso un corredo Olympus, con varie ottiche. Direi che è tutto relativo. Ci sono anche alpinisti che si muovono con una compatta. In questi casi la leggerezza e la maneggevolezza sono veramente prioritarie. In situazioni estreme, che esulano, però, lo scopo di questa rubrica, è interessante anche poter maneggiare una piccola fotocamera con una mano sola, cosa impossibile da fare con lo smartphone: comodo, leggero e comunque sempre presente nello zaino, non consente però una comoda impugnatura, rispetto ad altre fotocamere.

A proposito di compatte, la Sony produce la RX 100 VII, leggerissima, di ottima qualità; si può riporre tranquillamente in una tasca, anche se non è certo per tutte le tasche. Interessante anche la Panasonic DMC-LX15EG-K, con ottica zoom Leica, oppure le cosiddette fotocamere rugged (robuste), come la Ricoh WG-80, impermeabile anche subacquea (si lo so…sono fuori tema, ma va benissimo per l’alta quota, persino per le bufere di neve) o le Pentax WG-3 e WG-10, della stessa categoria.

Se avete il dito veloce e scattate molte immagini, è importante l’utilizzo di una scheda di memoria molto capiente, in modo da non doverla sostituire; in questo modo, non solo si evita di fermarsi, ma, soprattutto, non si è costretti a togliere i guanti per la sostituzione, rischiando di subire freddo alle mani e conseguente intorpidimento, con problemi di circolazione alle dita.

Anni fa, mi fermai al Colle del Lys (4248 m), sul Monte Rosa, appena prima di salire la fine cresta della Punta Parrot (4436 m), per sostituire il rullino della Nikon FE 2. Tolti i guanti e svolte le consuete operazioni di carica della pellicola, ho iniziato a soffrire un fortissimo dolore alle dita che mi è passato solo durante la successiva discesa dalla vetta. Un dolore tale, da non consentirmi di scattare nemmeno una foto sulla cima e nemmeno di maneggiare con perizia la piccozza sulla cresta finale, sensazione ulteriormente peggiorata nel momento della ripresa della circolazione sanguigna che provoca un dolore ancora più intenso.

Precauzioni per freddo e intemperie e trasporto del corredo

In alta quota i mutamenti climatici possono essere repentini e imprevedibili. È necessario, quindi, adottare alcune precauzioni mirate per proteggere il corredo fotografico. Considerando di utilizzare una fotocamera di dimensioni limitate, compatta, reflex o mirrorless che sia, si può conservare in una classica “borsa pronto” da riporre nello zaino.

In cordata, in genere, la fotocamera si tiene a tracolla, facendo attenzione che non sobbalzi. Un sacchetto di plastica, leggero e a ingombro zero, si può tenere a portata, da usare in caso di pioggia e neve per avvolgere la borsa della fotocamera, da riporre poi nello zaino. In caso di pioggia, però, si raccomanda di asciugare spesso l’attrezzatura, tutte le volte che è possibile.

Ci sono anche custodie dedicate realizzate in materiale gommoso, dette “armor” (armature) che proteggono la fotocamera dagli urti. Il freddo è un elemento potenzialmente problematico che, a volte, riduce la carica delle batterie. A temperature rigide, come 20 o 25 sottozero le batterie tendano a non funzionare. Poi, con l’innalzarsi dei gradi, la loro capacità ritorna nella norma. È opportuno, quindi, portare un paio di batterie di scorta.

Attenzione anche alla condensa: quando si proviene da un luogo freddo e si entra in uno caldo, come per esempio un rifugio, si forma una sorta di patina di umidità sull’attrezzatura che appanna i vetri delle lenti e rischia anche di insinuarsi internamente alla fotocamera. Per ovviare al problema è sufficiente aspettare una decina di minuti, il tempo necessario affinché ottiche e macchina si adattino al nuovo clima. Attenzione, soprattutto, a non smontare l’ottica dal bocchettone della fotocamera, o rischieremmo che anche il sensore subisca l’effetto della condensa.

Anche il caldo intenso può essere un problema. Meglio non lasciare mai l’attrezzatura direttamente esposta a un intenso sole estivo. Il nero della carrozzeria esterna si scalda velocemente, creando problemi ai numerosi circuiti elettronici.

Paesaggio o reportage?

Paesaggio o reportage? In fondo poco importa. Lungo i ghiacci del Breithorn, nel mondo dei 4000 m, con vista sul Cervino e il mare di nubi che incombe dalla Valtournenche. I due alpinisti in proporzione rendono l’idea della grandiosità dell’ambiente. Senza le persone? Sarebbe stata comunque una foto suggestiva. La presenza umana, però, rende ancora meglio l’idea. Nikon F90x; Nikkor 24.120 AFD 3,5/ 4,5; Fujichrome Velvia 50.

Cresta di neve

Fotografare in alta quota. Foto di Cesare Re

Una cresta di neve, in un ambiente d’alta quota, sopra i 4000 metri, lungo la traversata del Breithorn. È stata usata un’ottica tutto fare, abbinata a una fotocamera robusta, professionale e anche pesante, in effetti. Nikon F90x; Nikkor 24.120 AFD 3,5/ 4,5; Fujichrome Velvia 50.

Alba in alta quota

Fotografare in alta quota. Foto di Cesare Re

Salendo alla vetta della Testa Grigia (3315 m), tra Val d’Ayas e Valle del Lys, per fotografare l’alba dalla cima. Non c’è ghiacciaio sulla roccia della Testa Grigia. La salita, pur alpinistica nell’ultimo tratto, consente di portare anche qualche accessorio fotografico in più. Il mare di nubi è uno degli esempi più classici dello spettacolo della fotografia in alta quota.

Il teleobiettivo

Fotografare in alta quota. Foto di Cesare Re

Il Monviso, dalla cima della Testa Grigia, avvicinato dal teleobiettivo da 200 mm.

La fotogenia dei bivacchi…

Fotografare in alta quota. Foto di Cesare Re

Il Bivacco Lateltin, sulla cresta che porta alla vetta della Testa Grigia.

…e dei rifugi al tramonto

Fotografare in alta quota. Foto di Cesare Re

Il Rifugio Gnifetti (3647 m) abbarbicato su uno sperone roccioso tra due lingue di ghiaccio. L’attesa in un rifugio è un ottimo momento per fotografare, non c’è la fretta della progressione in cordata. Tra alba e tramonto è meglio privilegiare il calare della sera, in quanto la mattina, anche prima dell’alba, è dedicata alla vestizione al fissaggio dei ramponi e il sorgere del sole, spesso, coglie gli alpinisti già all’opera.

Fotografare gli interni

Fotografare in alta quota. Foto di Cesare Re

Dall’interno del Rifugio Gnifetti verso il Lyskamm. Ho misurato l’esposizione per le luci, all’esterno, dando un colpo di flash per illuminare l’interno della struttura. Eh si…quella volta ho portato il flash a 3600 metri. La mattina seguente, però, prima di mettere piede sul ghiacciaio del Lys, l’ho riposto in una sacca che ho lasciato al rifugio.

Il fascino del bianco e nero

Fotografare in alta quota. Foto di Cesare Re

Il Monte Rosa, dal versante svizzero, con le creste dei Breithorn, il Lyskamm e le quattro cime maggiori: Nordend, Dufour, Zumstein e Gnifetti.

Fotografare in alta quota. Foto di Cesare Re

Il ghiacciaio del Lys che si getta a valle, dalla base della Piramide Vincent, lungo il sentiero per il rifugio Quintino Sella (3595 m), in valle di Gressoney. La conversione in bianco e nero evidenzia l’insieme di luci e ombra, di forma e grafismi. Nikon D850; Nikkor 70 – 200 f 4 AFG.

Fotografare in alta quota. Foto di Cesare Re

Il teleobiettivo avvicina la massa caotica di ghiaccio, del ghiacciaio del Lys. Nikon D800; Nikkor 70 – 200 f 4 AFG.

Fotografare in alta quota. Foto di Cesare Re

Il Monte Rosa, in un’inquadratura selezionata dai pressi della cima del Gran Tournalin, tra Val d’Ayas e Valtournenche. L’insieme di nebbia e brume rende lo scatto molto interessante e peculiare come immagine d’alta quota. Nikon D800; Nikkor 70 – 200 f 4 AFG.

Raccontare l’ascensione

Fotografare in alta quota. Foto di Cesare Re

I giganteschi seracchi della Piramide Vincent e un paio di cordate ferme, lungo la ripida salita che porta alla quota dei 4000 m. Fujifilm XT2; Fujinon 18-55 2,8 / 4. La mirrorless di Fuji è molto leggera e trasportabile, anche se ha un sensore grande, di formato APSC.

Fotografare in alta quota. Foto di Cesare Re

Verso la cima del Blinnenhorn, tra rocce e nevai. Fujifilm XT2; Fujinon 18-55 2,8 / 4.

Fotografare in alta quota. Foto di Cesare Re

Una foto dal forte taglio di reportage, con una cordata in primo piano e con inquadratura volutamente tagliata. Nikon F90x; Nikkor 24.120 AFD 3,5/ 4,5; Fujichrome Velvia 50.

Fotografare in alta quota. Foto di Cesare Re

In salita sui ghiacci del Rosa, sul Garstelet. Nikon F90x; Nikkor 24.120 AFD 3,5/ 4,5; Fujichrome Velvia 50.

Fotografare in alta quota. Foto di Cesare Re

Alpinisti in vista dei Lyskamm, in silhouette.

Fotografare in alta quota. Foto di Cesare Re

In pausa al colle del Lys, ai piedi della Punta Parrot.

Fotografare in alta quota. Foto di Cesare Re

Varie cordate sopra Cervinia, nella zona dei Breithorn e del Plateau del Breithorn.

Fotografare in alta quota

La cima della Becca della Traversière, tra Valgrisenche e Val di Rhemes e versante alpino francese. Nikon D700; Sigma 15 2,8 Fish Eye.  

 

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