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Rifugi e siccità, sulle Alpi occidentali c’è chi sceglie di aprire in anticipo

Lo scorso 22 marzo il Governo italiano ha creato una cabina di regia e nominato un commissario per affrontare la siccità che da ormai due anni sta flagellando lo Stivale. Si tratta di un’emergenza nazionale che colpisce tutti i settori dell’agricoltura e dell’economia, con ricadute in prospettiva estiva anche su un settore importante come il turismo in montagna che fino a pochi anni fa sembrava immune da questo tipo di difficoltà ambientali. In particolare, il mondo dei rifugi che, seppur in larga misura ancora chiusi, inizia ad attrezzarsi per affrontare la stagione calda con un fortissimo deficit di innevamento che ha caratterizzato l’inverno e che potrebbe compromettere il ruolo di presidio delle alte quote che queste strutture occupano in un ambiente fragile ma molto frequentato.

“Quello della siccità è un problema nuovo, per noi gestori di rifugio nelle Alpi occidentali – riflette Alessandro Tranchero, storico custode del Quintino Sella alla base del Monviso – perché le quote elevate delle nostre montagne ci hanno sempre garantito la presenza di neve fino a stagione avanzata. Ma dopo ormai 3 inverni con scarsissimo innevamento, la situazione è davvero drammatica. La nostra struttura è stata costretta a chiudere anticipatamente gli scorsi anni perché l’impianto idroelettrico non era più in grado di garantirci una fornitura sufficiente di energia e l’idea di consumare litri e litri di gasolio ci sembrava insostenibile da un punto di vista economico e ambientale. Quest’anno stiamo pensando di aprire in anticipo, appena le condizioni lo permetteranno, e andare avanti finchè possibile. Resta il fatto che abbandonare un presidio come il Quintino Sella è un dramma perché la frequentazione resterebbe alta con conseguenti criticità ingienico-sanitarie legate all’assenza di servizi. Senza dimenticare il tema della sicurezza dal momento che qui la copertura telefonica è inesistente e il rifugio è anche un avamposto del Soccorso Alpino. Per prima cosa, andremo a visitare le strutture del nord-est che hanno adottato strategie di adattamento prima di noi, per imparare qualche piccolo segreto, poi speriamo nel meteo.”

Nel corso della spaventosa estate 2022 il Club Alpino Italiano aveva lanciato un bando per aiutare le sezioni proprietarie di rifugio a fronteggiare l’emergenza. In particolare la storica sezione di Torino, che possiede quasi 30 strutture tra rifugi e bivacchi, ha affrontato una serie di azioni di adattamento ai cambiamenti climatici in corso.

“Grazie ai soldi del bando, abbiamo concentrato gli sforzi – racconta Franco Bergamasco della Commissione Rifugi del CAI Torino su 3 strutture che presentavano le maggiori criticità. Al Gastaldi, nelle Valli di Lanzo, abbiamo ampliato l’invaso di raccolta per incrementare la quantità di acqua potabile e di servizio. Al rifugio Levi-Molinari in Valle di Susa è stata installata una nuova vasca da 1500 litri dove convogliare l’acqua del ruscello nelle ore notturne garantendo una disponibilità più ampia durante il giorno. Infine, al rifugio Scarfiotti, sempre in Valsusa, abbiamo coinvolto un perito che ha studiato una nuova presa che alimenta sia l’impianto potabile, sia quello idroelettrico. Senza contare l’acquisto di tubi e materiali vari che i gestori di altri rifugi hanno effettuato per ampliare la rete di captazioni. In generale si tratta di opere piuttosto costose che, con queste prospettive, ci consentono soltanto di tamponare il problema.”

La carenza d’acqua impone ai rifugi due problematiche: la difficoltà di approvvigionamento per garantire i servizi alimentari e igienici e la possibilità di produrre energia idroelettrica tramite le numerose centraline che sono state installate in molte strutture dislocate nelle Alpi. Se molti immobili del CAI hanno beneficiato dal recente bando, i gestori di rifugi privati devono gestire i rapporti con proprietari che spesso non hanno la disponibilità o l’interesse ad affrontare opere di adeguamento.

“Il nostro rifugio rimane chiuso necessariamente tra febbraio e aprile – prosegue Claudia Fea del Fontana Mura in Val Sangone (TO) – perché il corso d’acqua che alimenta la centralina si prosciuga tra la fine delle nevicate invernali e l’arrivo delle piogge primaverili. D’altronde l’impianto idroelettrico risale al 1989. Poi, grazie ai temporali estivi e all’impianto fotovoltaico, riusciamo a resistere per gran parte dell’estate finché, normalmente ad agosto, dobbiamo ricorrere al generatore a gasolio. Il Comune di Coazze, proprietario della struttura, ha in programma un adeguamento con i fondi del Pnrr, ma ci vorrà ancora parecchio tempo.”

Non resta che rivolgersi anche ai frequentatori della montagna per diffondere un messaggio di adattamento e risparmio idrico in un contesto dove i rifugisti stanno dimostrando grande capacità di resilienza.

“Probabilmente dobbiamo tornare tutti a un’immagine più spartana del rifugio, così come era alle origini – conclude Guido Rocci, presidente dell’AGRAP, l’associazione che riunisce i gestori di rifugi e posti tappa in Piemonte – perché le condizioni climatiche non ci consentono più di garantire un certo livello di comfort a cui ci siamo abituati. Alludo alle docce che, tra consumi di acqua e di energia, stanno diventando un servizio insostenibile in molte strutture. Siamo presidi di un territorio estremamente fragile, non possiamo certo ridurci a trasportare l’acqua e il gasolio con gli elicotteri, quindi tra gestori e frequentatori dobbiamo trovare insieme ulteriori strategie di adattamento.”

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2 Commenti

  1. “Probabilmente dobbiamo tornare tutti a un’immagine più spartana del rifugio, così come era alle origini”, che sogno darebbe, si potrebbe finalmente rimetterci piede dopo tanti anni.

  2. Qualche costosa soluzione con elicotteri verrà trovata.
    Non penso si perderanno i turisti che spendono…….. ma i pascoli già da anni vanno svotandosi di bestie e pastori 🙂

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