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Scopriamo cosa sono le trappole euristiche, tra le principali cause di incidenti da valanga

I nivologi, in gergo, le chiamano trappole euristiche. Si tratta di tutte quelle situazioni in cui gli appassionati di neve si espongono al pericolo valanghe a causa dell’indole irrazionale degli esseri umani che conduce spesso a valutazioni errate o affrettate. E parliamo, ovviamente, di una realtà in cui gli errori si pagano cari mettendo in pericolo la propria e altrui vita a fronte di un contesto dove le previsioni sulla stabilità di un pendio sono oggettivamente molto complesse. Dietro qualsiasi incidente – ancor di più in caso di valanga – i motivi vanno sempre cercati lungo una catena di eventi, relazioni causa-effetto e decisioni errate che producono conseguenze inaspettate e negative. Stefano Pivot è Guida alpina e previsore per Aineva, oltre che la persona incaricata di stilare le statistiche sugli incidenti da valanga, cioè la figura più adatta per cercare di affrontare un discorso complesso caratterizzato da una ricchezza di domande e una povertà di risposte. Con l’obiettivo di trasmettere il messaggio che, in tema di valanghe, la sicurezza si alimenta più di dubbi che di certezze.

“L’inverno in corso ci sta dimostrando – riflette Pivot – che il pericolo principale, nella stragrande maggioranza degli incidenti recenti, è quello dei cosiddetti strati deboli persistenti. È una condizione tipica delle stagioni poco nevose in cui l’elevato gradiente termico tra il suolo e l’aria produce nei manti la creazione di brine, spesso all’interno stesso della neve, che formano piani di scivolamento molto insidiosi. Parliamo di bassa probabilità di distacco, ma elevate conseguenze. E, soprattutto, di difficile interpretazione”.

Oltre a consultare attentamente il bollettino valanghe e a pianificare con cura una gita, come ci si deve comportare, sul terreno, di fronte a un pendio a rischio?

Innanzitutto partiamo dall’assunzione e dalla gestione del rischio. Occorre chiedersi continuamente che tipo di pericolo siamo disposti ad accettare, che tipo di conseguenze si prospettano in caso di incidente e come ridurre più possibile l’esposizione. Una sorta di checklist mentale che viene utilizzata, per esempio, dai piloti di aereo. È un discorso che deve valere per i principianti come per scialpinisti e freerider esperti proprio perché le condizioni attuali possono fregare anche i più esperti.

Analizzando gli incidenti da valanga che coinvolgono i frequentatori della montagna, quali sono gli errori più comuni che vengono commessi?

È difficile stilare una classifica perché le valanghe possono staccarsi per un’infinità di motivi e non si possono mai attribuire a una sola causa. Ci sono, però, quelle che chiamiamo le trappole euristiche, certi comportamenti spesso irrazionali che ci spingono a esporci maggiormente al pericolo. Il principale, mi viene da dire, è l’istinto del gregge che ci fa sentire al sicuro quando non siamo soli. L’esempio classico è quando seguo altre persone che risalgono un pendio perché se la valanga non si è ancora staccata significa che non ci sono rischi. Nulla di più sbagliato perché vado ad appesantire ulteriormente il versante aumentando le possibilità di un distacco. E in presenza di strati deboli persistenti, l’innesco può avvenire anche dove la neve è già stata ampiamente tracciata.

Ci sono categorie di frequentatori più a rischio in relazione alle valanghe?

Da un lato abbiamo i cosiddetti sciatori fuoripista inconsapevoli che spesso finiscono sotto una valanga scendendo lungo pendii a fianco dei comprensori. Sono molto difficili da intercettare perché hanno una bassissima percezione del pericolo e non adottano alcun tipo di precauzione, tra cui Artva, sonda e pala, per essere soccorsi. Invece, i frequentatori che possiamo definire consapevoli sono maggiormente esposti a un’altra trappola euristica, cioè la famigliarità. È un problema che colpisce i più esperti – o coloro che credono di esserlo – perché tendono a sottovalutare il pericolo. È il caso di chi si sente al sicuro perché ha già fatto tante gite durante la stagione oppure perché ha già percorso quell’itinerario tante volte. Da questo punto di vista, osservo che i principianti tendono a tenere margini di sicurezza più ampi in virtù della paura.

Quanto influisce il desiderio di tracciare un bel pendio di neve intonsa?

È la trappola euristica che definiamo omeostasi al pericolo. Nessuno parte per una gita con l’intenzione di finire sotto una valanga, ma il nostro istinto ci porta comunque a cercare il rischio perché ci dà piacere e adrenalina. Un altro aspetto da tenere sempre ben presente quando ci muoviamo su neve.

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2 Commenti

  1. Leggo sopra: “la sicurezza si alimenta più di dubbi che di certezze”.
    Per me è proprio così.
    Mi domando perché il “sistema montagna” dica sempre il contrario e proponga sempre regole, materiali, corsi istruttivi, soccorsi ridondanti, esperti e quant’altro, senza mai instillare dubbi sulla sicurezza.

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