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Tomaszewski e Hałdaś realizzano il sogno di aprire una nuova via in pieno inverno su una big wall della Groenlandia

Primi dettagli e foto di un'avventura indimenticabile

“Ce l’abbiamo fatta!!! Io e Paweł Hałdaś abbiamo realizzato la prima salita invernale di una big wall in Groenlandia, queste le poche parole con cui Marcin Tomaszewski ha annunciato nei giorni scorsi di aver realizzato il sogno con cui era partito a inizio mese con l’amico Paweł alla volta della Groenlandia. La via, ribattezzata Fram (700 m, 17 wyc.  M5, A3, C2, VI) si sviluppa sulla parete “Oqatssut”, sulla costa occidentale della Groenlandia. Tempo di metabolizzare il tutto, asciugarsi e ricaricarsi ed ecco che arriva il racconto. accompagnato da immagini da sogno, della eccezionale salita, realizzata tra il 10 e il 24 febbraio 2023. Una storia che, come vorrebbe ogni regista che si rispetti, è iniziata con un totale cambio di piani. I due erano partiti con l’idea di arrivare sul posto e dare uno sguardo alle pareti vergini delle isole di Agpat e di Storoen, per poi procedere a una scelta. E non è andata proprio così.

Il racconto di Marcin Tomaszewski

Amore a prima vista

La nostra spedizione a lungo programmata con Pawel Haldas è iniziata con un cambio totale dei piani. La tattica che avevamo messo a punto, e le aree in cui avevamo intenzione di andare a dare uno sguardo alla ricerca delle nostre pareti, è finita male appena siamo arrivati. La copertura di ghiaccio dei fiordi non è costante. Risulta influenzata sia dalla temperatura dell’aria che dal vento che spinge acqua calda dal mare di Baffin nelle sue profondità, il che determina localmente una fusione degli strati superficiali anche sotto zero. Questo è quello che è successo vicino alle pareti che avevamo puntato, nella zona di Uummannaq e delle isole di Storoen e Agpat.

Una guida locale ci ha avvisati di non andare in quelle zone. Abbiamo capito che la chiave del successo in questi casi è la velocità, soprattutto perché le condizioni meteo. e in particolare le temperature. variano in maniera enorme in Groenlandia in inverno. Il secondo giorno dopo essere arrivati al villaggio in elicottero grazie ai locali Inuit, estremamente amichevoli nei nostri confronti, in particolare Anton, siamo partiti per un giro di ricognizione nei fiordi in direzione del permafrost. Parlando con i cacciatori locali, abbiamo scoperto l’esistenza di pareti rocciose di dimensioni sconosciute che avevano avvistato durante le loro uscite di caccia. Volevamo seriamente darci uno sguardo da vicino e la cosa è stata resa possibile grazie a delle motoslitte. In questo caso, la conoscenza dei pescatori locali sullo stato attuale della copertura di ghiaccio ci è stata di grande aiuto. Quel giorno abbiamo notato che la zona fosse piena di massici in stile alpino, molto interessanti, una vera Eldorado dell’arrampicata, e in particolare, una parete rocciosa con una esposizione spettacolare, ampia circa 6 chilometri e di altezza indefinita. La decisione è stata presa in silenzio, ci siamo innamorati di quel pezzo di roccia ghiacciata.

L’avventura può iniziare

Il 9 febbraio abbiamo posizionato le nostre tende sulla superficie del fiordo, ancorandole al ghiaccio con le viti. Abbiamo recuperato del ghiaccio per cucinare da un vicino lastrone di ghiaccio, dal momento che sia la neve che la superficie del fiordo erano salate. Il giorno successivo abbiamo preso il materiale e siamo partiti per raggiungere la parete. E così è iniziata la nostra avventura.

Ci sono voluti in totale 14 giorni per allestire la via. Abbiamo affrontato le parti più basse della parete con il bel tempo ma come abbiamo scoperto poco dopo, una giornata di sole in Groenlandia equivale a temperature molto rigide. Nei primi giorni in azione abbiamo sperimentato valori sui -40°C. Come abbiamo scoperto, i locali aggiungono alcuni gradi nelle previsioni del tempo relative all’area per la vicinanza dell’aria fredda della calotta di ghiaccio. In un primo momento, durante la salita, abbiamo combattuto essenzialmente contro il freddo. Dopo i primi giorni in azione e uno durante il quale abbiamo deciso di aspettare che passasse una ondata di gelo (-41°C se non di meno), cosa rara persino in questa regione, abbiamo fissato parte della parete fino al punto identificato per allestire il bivacco in portaledge.

L’arrampicata nella parte inferiore non è risultata tecnicamente difficile ma di sicuro impegnativa, a causa della roccia instabile e di particolari formazioni rocciose. In quest’area prevalgono rocce metamorfiche e sedimentarie. Le bande nere di roccia che avvolgono la parete in due livelli identificano granito di scarsa qualità e alto rischio di crolli spontanei di frammenti. Avere a disposizione 7 ore di luce al giorno ha significato non essere in grado di completare più di una o due lunghezze al giorno, sia in artificiale che in libera, fino a M5. Arrampicare di notte era fuori questione a causa delle condizioni e delle temperature. Eravamo concordi sul fatto che la priorità fosse evitare congelamenti, non raffreddarci oltre limite accettabile e completare la via, anche se ciò avrebbe richiesto più tempo.

In quel momento, così come fino alla fine della spedizione, ogni giorno siamo andati vicini a congelarci le dita e le mani, che ogni tanto perdevano sensibilità e diventavano bianche. Un momento di scarsa attenzione o negligenza avrebbe causato la fine dell’avventura e del nostro sogno di aprire una nuova via su una parete meravigliosa. Abbiamo notato la linea quasi immediatamente e ci siamo trovati perfettamente d’accordo. Si sviluppa lungo una linea di formazioni naturali, con alcuni punti di domanda. Che mi piacciono tanto. Come è risultato chiaro a posteriori, unico cambio della linea è stato necessario al termine, dove abbiamo dovuto scegliere tra due grandi angoli di uscita. Incapaci di decidere, abbiamo deciso di scenderci nel mezzo. E ci siamo resi conto che fossero cupi, fragili e pieni di pezzi instabili. Nel mezzo abbiamo invece notato della bellissima roccia arancione. E si è rivelata una buona scelta.

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Il 18 febbraio siamo partiti per bene all’attacco della parete. Deliberatamente non abbiamo bivaccato nella parte bassa per evitare di danneggiarla con delle scariche di roccia. Abbiamo trasportato su le borse agganciandole lì dove avevamo allestito il bivacco in portaledge, poco sopra il nono tiro. C’è una buona cengia con della neve da sciogliere per ricavare acqua. Il meteo, nonostante le basse temperature e il vento, era buono. Perciò abbiamo cercato di fare il massimo ogni giorno per salire ulteriori metri di parete. Un processo lento, a tratti noioso. Il freddo era il nostro maggiore antagonista. Dopo un momento di riposo, il corpo si raffredda, si perde calore dalle dita e tocca scaldarle di nuovo e di nuovo. Ci deve sempre essere tempo per questa cosa!

Ci siamo avvicendati al comando ogni giorno. Uno con abbigliamento leggero e in movimento tutto il giorno, e l’altro a fare sicura con abbigliamento un po’ più caldo, per sopravvivere un giorno in parete. Durante la salita, abbiamo attraversato diversi camini e strapiombi, troppo ampi per i nostri cam #6, ritrovandoci a dover improvvisare delle acrobazie. Dopo aver superato la seconda striscia di roccia nera visibile, Paweł ha attaccato l’impegnativo tiro A3. Potevo sentire il rumore dei pezzi di roccia, vedere le sottili lastre attaccate alla parete e io ero lì proprio sotto di loro. Mi sentivo come un condannato che aspetta la ghigliottina. Per quali peccati? Pensavo silenziosamente dentro di me. Beh, lo so, ce ne sarebbero parecchi.

Comunque, alla fine abbiamo deciso di sfruttare dei bat hooks per raggiungere la parte più sicura. Questo tiro ha richiesto a Paul un paio di ore di silenzio, arrampicando tra vento terribile e spindrift. Davvero coraggioso, mi sono sentito orgoglioso di lui. Grazie a questo suo avanzamento, come abbiamo capito dopo, abbiamo ricevuto il miglior premio possibile. Avevamo la possibilità di raggiungere la vetta all’indomani, nell’ultimo giorno secondo le previsioni prima di essere investiti da una ondata di caldo e venti forti sui 110 kmh. In quella giornata, come ogni sera, arrivati alla portaledge ci saremmo infilati lentamente nei sacchi a pelo, tolti gli scarponi e avremmo sciolto la neve per preparare té e cibo liofilizzato. Poi ci saremmo scaldati nei sacchi a pelo a lungo. Ci saremmo addormentati come sempre verso le 9 PM.

Il giorno perfetto

(La sveglia alle 5 ha segnato l’inizio di quello che si sarebbe rivelato il giorno perfetto, nda). Quel giorno è stata una vera ricompensa. Senza vento e apparentemente più caldo del solito. Ho premuto sull’acceleratore e ho affrontato per primo due tiri lughi ed esposti A1/C1 rapidamente fino al top. E’ stato bellissimo! Lasciando la parete ci siamo slegati e dopo una dozzina di metri eravamo in cima. I banchi di ghiaccio sotto di noi, intrappolati nel fiordo ghiacciato, erano pazzeschi da lassù, e mi hanno fatto pensare alla nave FRAM (la nave polare in legno, utilizzata per tre grandi spedizioni polari – da Fridtjof Nansen nel periodo 1893-1896, Otto Sverdrup nel 1898-1902 e Roald Amundsen nel 1910-1912 – e attualmente conservata nel Museo Fram di Oslo, nda) che potrebbe essere passata sotto la nostra parete. Difficile descrivere la sensazione che abbiamo provato, cosa abbiamo visto. Quel momento è composto di innumerevoli brevi momenti, dei giorni passati, dei mesi passati, forse anche della vita. Impossibile descrivere quindi lasciate che mi tenga quel momento per me stesso.

Tornati al bivacco, abbiamo preparato tutto il materiale per la discesa il giorno successivo. Le previsioni meteo dell’InReach non erano positive. Il tempo gioca il ruolo più importante in questi casi e, il vento a 110 kmh previsto attorno all’1 PM, insieme alle alte temperature, avrebbero potuto bloccarci lì nel ghiaccio per giorni.

Fortunatamente siamo stati in grado di scendere a mezzogiorno al campo da cui Anton ci ha recuperati dopo un po’. Un’ora dopo il nostro arrivo al villaggio di Uummannaq, la via attraverso il fiordo è stata chiusa. Il ghiaccio ha iniziato a rompersi e trasformarsi in una zuppa. La sera il vento soffiava a tutta forza, non oso immaginare cosa sarebbe potuto succedere se non ce l’avessimo fatta. Quando siamo arrivati al campo base, le nostre tende erano già immerse in una polpa di ghiaccio in fusione. Oggi, 26 febbraio, c’è già acqua sotto le pareti dell’isola di Storoen, il fiordo si è completamente fuso in molti punti. In pochi giorni forse ghiaccerà di nuovo. Mi resta dentro il pensiero che un giorno di ritardo avrebbe potuto tagliarci fuori dal mondo molto più a lungo di quanto avremmo voluto. Siamo stati davvero fortunati.

La parete Oqatssut (nome locale) che abbiamo scoperto è abbastanza fragile, penso che sarebbe alquanto rischioso provarla in estate. Ma merita di essere analizzata da vicino. Ci sono varie sezioni interessanti per nuove vie. Credo che rivivremo questa avventura meravigliosa a lungo. Sono certo che racconteremo altre storie. Siamo felici di aver trasformato il nostro grande sogno in realtà.

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