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La verità di Achille Compagnoni sul K2, secondo la cognata Fernanda Mossini

Cos’è davvero successo sul K2 il 30 luglio del 1954, la sera prima dell’arrivo di Achille Compagnoni e Lino Lacedelli sugli 8611 metri della cima? Quindici anni fa, nel 2008, il CAI ha accolto l’opinione della commissione dei “Tre Saggi” (Alberto Monticone, Fosco Maraini, Luigi Zanzi), e ha fatto sua la versione di Walter Bonatti. Gli anni passano inesorabilmente, e i due alpinisti che hanno raggiunto la cima sono entrambi scomparsi nel 2009. Lino Lacedelli ha chiesto pubblicamente scusa a Bonatti, Compagnoni si è chiuso in un orgoglioso silenzio. In questa intervista inedita, Fernanda Mossini, sorella minore di Elda, la seconda moglie di Achille, ci racconta l’indignazione e il dolore di un uomo di montagna tutto d’un pezzo.

(Stefano Ardito)

La storia dell’alpinismo italiano presenta ombre relative ad ascensioni anche di fortissimi scalatori poste in dubbio dai ripetitori, come la “prima”, nel 1925 e in solitaria, di Severino Casara sugli strapiombi Nord del Campanile di Val Montanaia o quella sul Cerro Torre, 1959, di Cesare Maestri e Toni Egger, quest’ultimo scomparso in discesa con la macchina fotografica che avrebbe dovuto documentare la vetta. L’ombra più pesante e nota è però quella che grava sulla “conquista” del K2 da parte della spedizione nazionale italiana del 1954 guidata da Ardito Desio e che vide sulla cima Achille Compagnoni e Lino Lacedelli.

Walter Bonatti, che aveva guidato il gruppo incaricato di portare in quota l’ossigeno supplementare per la cordata di punta, accusò i due alpinisti di avere spostato l’ultimo campo in un luogo diverso da quello concordato per non farsi raggiungere, e d’averlo così costretto col portatore Amir Mahdi a un bivacco a 8100 metri potenzialmente fatale, un evento che rese Mahdi invalido. In più, secondo Bonatti, Compagnoni e Lacedelli mentirono, sostenendo che quell’ossigeno era terminato prima della vetta.

La questione, dibattuta per decenni e occasione di giudizi negativi quando non irridenti sull’alpinismo italiano provenienti da “esperti” di tutto il mondo, mi ha colpito in ritardo, dopo la condivisione da parte del Club Alpino Italiano delle accuse di Bonatti e la condanna dei due della cima. Scavando negli scritti dei protagonisti, e di Bonatti soprattutto, ho maturato la convinzione che quella condanna fosse infondata e ho quindi, non richiesto, assunto la difesa di Compagnoni. Un impegno appassionante che mi ha dato modo di conoscere persone interessate come me a quell’ombra o interessanti per posizione o ricordi. Una è stata più importante di altre.

Fernanda Mossini, sorella minore di Elda, seconda moglie di Achille Compagnoni dal 1985 alla scomparsa di lui nel 2009, è una milanese concreta e decisa che ha raccolto dalla sua germana l’eredità morale del cognato, e i documenti e i cimeli della sua grande impresa. Ne fornisce un ritratto “dall’interno” ovviamente di parte come le mie domande ma ricco di notizie e spunti (e di grinta!), e cortesemente corredato di alcune immagini del suo archivio. Non ci sono più le voci dei diretti protagonisti, questa è una delle poche, o forse la sola, proveniente da personaggi a loro vicinissimi insieme a quella dei familiari di Pino Gallotti, che nel 2010 hanno dato alle stampe il suo diario. La storia che Fernanda Mossini racconta ci riguarda, e può contribuire a far luce sull’impresa più notevole dell’alpinismo italiano nel Novecento. Ascoltarla significa conoscere, e conoscere non fa mai male.

Quando e come ha conosciuto Achille Compagnoni e cosa sa di lui e della sua vita?
Ho conosciuto Compagnoni personalmente nei primi anni ‘70, quando con mia sorella Elda, appassionata di montagna e di sci, frequentavamo Cervinia abitualmente, tanto che Elda decise di acquistarvi un piccolo alloggio. Compagnoni era molto famoso per la sua impresa sul K2 e capitava spesso di incontrarlo e di intrattenersi con lui nel bar del suo Albergo Da Compagnoni.

Eravamo state più volte ospiti nel suo albergo e fummo molto colpite dalle due tragedie che lo ferirono negli affetti più profondi, la perdita nel 1973 del figlio maggiore Maurizio, nato nel 1943, in un incidente sull’Autostrada Milano-Torino, e la scomparsa nel 1979 della moglie Enrica, sua coetanea, che aveva con lui condiviso la sua vita di guida, alpinista e conquistatore del K2, oltre che la gestione del loro hotel. Qualche anno più tardi quella che era stata per Achille ed Elda una semplice conoscenza, si trasformò in un affetto sempre più tenace che li portò al matrimonio nel 1985. Elda vedeva in Achille il suo “eroe” e non esitò a lasciare Milano e il suo lavoro presso un’importante casa produttrice di cosmetici per trasferirsi a Cervinia, coadiuvandolo nella gestione dell’albergo, assistendolo nella vita di ogni giorno e difendendolo strenuamente dagli attacchi di Bonatti fino al 2009, quando Achille morì dopo 24 anni di vita insieme.

Io fui sempre vicina a Elda e quindi ad Achille, compatibilmente con la mia vita lavorativa. Nel 2004, ormai pensionata e libera da impegni familiari, mi recai a Cervinia per qualche giorno … e vi rimasi fino al 2019, collaborando con mia sorella e il marito nella gestione dell’albergo. Il mio rapporto con Achille era di amicizia, di affetto e di stima reciproche. Quello che più mi colpiva di lui era l’umiltà.

Compagnoni era stato prima del K2 un’affidabile guida del Cervino ma non era tra gli scalatori più noti di quegli anni. Dopo quell’impresa, fu limitato dalle mutilazioni alle dita delle mani conseguite ai congelamenti riportati lassù. Ma come uomo chi era, Achille Compagnoni?
Vorrei innanzitutto far notare che quando salì il K2 Achille aveva 40 anni. La sua carriera di alpinista e di atleta dello sci – era diventato maestro nel 1942 – si svolse quindi principalmente prima della Seconda Guerra Mondiale sul Monte Bianco e sul Rosa, oltre che sul Cervino e, all’inizio, sulle montagne che l’avevano visto nascere. Proveniva infatti da una famiglia contadina della Valfurva, una valle secondaria della Valtellina e da ragazzo lavorava con i suoi negli alpeggi, tanto che un attestato del 1931 lo qualifica come “casaro”. Amava raccontare che lo zio o il nonno lo nascondevano nella gerla quando portavano viveri ai soldati nelle trincee della Guerra 1915-‘18. O che il suo maestro lo bacchettava sulle mani quando sbagliava a scrivere, e come lui gli portasse un uovo per accattivarselo.

Ricordava la Scuola Militare Alpina di Aosta, che gli aveva permesso di coltivare la grande passione per la montagna e di divenire una guida come quelle che, da bambino, vedeva accompagnare i “signori” sulle sue montagne. E come proprio allora ebbe l’opportunità di conoscere la conca del Cervino e di rimanerne abbagliato. In Valfurva Achille tornava ogni estate a trovare sorelle e amici. Al “monte”, così chiamava la sua baita sopra Santa Caterina, trovava i cervi che lo riconoscevano, in particolare “Toto”, ghiotto del suo pane e “Lisa”, che egli stesso ricorda nel libro K2 Conquista Italiana. Tra storia e memoria.

Quanto alla bravura, so che alcuni componenti della spedizione del 1954 erano più noti di lui come scalatori, non solo Bonatti ma Soldà e lo stesso Lacedelli. Tuttavia anche Achille fu scelto per l’attività di alpinista e di guida oltre che per la serietà e la tenacia che gli erano proprie, e che gli valsero l’incarico da parte del professor Desio di condurre la cordata di punta. Non va dimenticato che Achille, prima di conquistare la cima della seconda montagna della Terra, attrezzò con Rey, Bonatti e Lacedelli il tratto più difficile, piantò sette dei nove campi. Salendo e scendendo per farlo, coprì sullo Sperone Abruzzi, secondo gli accurati grafici redatti quotidianamente da Mario Fantin e riportati nel suo libro K2. Sogno Vissuto del 1958, il dislivello maggiore tra tutti i compagni. Solo molto più tardi, dopo due anni di entrate e uscite dagli ospedali, per gli interventi sulle mani congelate e la lunga convalescenza, riuscì a riprendere il lavoro di maestro di sci e guida alpina, salendo sul Cervino più di 100 volte.

Non va dimenticato che Achille, prima di conquistare la cima della seconda montagna della Terra, attrezzò con Rey, Bonatti e Lacedelli il tratto più difficile, piantò sette dei nove campi.

Fernanda Mossini

Che uomo era? Quello che risulta da quanto sopra: forte, lavoratore, determinato, giustamente orgoglioso della sua impresa, ma rispettoso degli altri e modesto, malgrado la conoscenza di celebrità del cinema, capitani di industria, VIP del tempo, la cui amicizia mise a frutto per ottenere dei contributi per don Vietto, parroco di Cervinia, che necessitava di aiuti per la nuova chiesa in costruzione. Era anche orgoglioso di aver conosciuto tutti i Presidenti della Repubblica, tra cui Carlo Azeglio Ciampi che nel 2004 lo fece Cavaliere di Gran Croce e tutti i Papi fino a Benedetto XVI.

Prima d’intraprendere la professione di guida, Compagnoni era stato militare di carriera nelle guardie di frontiera, poi alpino nella Scuola di Aosta. Cosa gli era rimasto di una permanenza così lunga nelle truppe di montagna?
Rispondo con le indicazioni che lui stesso ha lasciato nel citato libro K2 Conquista Italiana. Tra storia e memoria. Achille era entrato a vent’anni, nel 1934, nei reparti della Milizia Confinaria di stanza in Valtellina, passando poi alla Scuola Militare Alpina di Aosta, dalla quale si congedò nel 1945 col grado di sergente per esercitare a Cervinia la professione di maestro di sci e guida alpina. Da militare partecipò a molte gare nelle Alpi. Nel 1936 corse il Trofeo Mezzalama, piazzandosi con la sua squadra al secondo posto solo perché vicino al traguardo un suo compagno perse un attacco. Nel 1940 vinse il Giro delle Dolomiti, impegnativa competizione di sci di fondo e nello stesso anno, la gara di tiro nel Campionato mondiale pure di fondo.

Gli undici anni in divisa gli avevano lasciato un forte senso del dovere. Nel 1936 la Scuola di Aosta indicò in lui “un elemento di eccezionale forza fisica, uno sciatore alpino sicuro ed avveduto, ottimo di carattere, educato, disciplinato”. Questo giudizio trovò integrale conferma nel suo comportamento durante la Spedizione al K2 e nella sua dedizione al Prof. Desio, che proprio negli alpini era stato Ufficiale durante la guerra 1915-’18. Certo, anche per spirito gerarchico, ne accettava più degli altri alpinisti i modi militareschi e ne seguiva gli ordini. Quando, subito dopo la morte di Mario Puchoz, il capo spedizione chiese agli alpinisti di riprendere l’ascensione, il “SÌ” di Achille, contro il “NO” di tutti gli altri, fu determinante. Ci furono critiche nei suoi confronti oltre che nei confronti di Desio, ma non si sa come sarebbe finita se quel “SÌ” non ci fosse stato.

Lei è stata vicina a Compagnoni dal 1985 al 2009, negli anni delle sempre più pesanti accuse di Bonatti e poi della condanna del CAI nel 2004. Quali erano stati i rapporti tra i due ex compagni e come visse suo cognato quei sospetti e quella censura infamanti?
Compagnoni diceva che lui, Bonatti e gli altri compagni avevano lavorato duramente e serenamente insieme per la conquista del K2, Achille spesso in coppia con Ubaldo Rey e Bonatti con Lacedelli. Al rientro dal K2 Bonatti aveva fatto visita a Compagnoni quando questi era in ospedale per i suoi interventi, era stato ospite nel suo albergo a Cervinia e aveva partecipato con gli altri alpinisti della spedizione agli incontri cordiali organizzati a Courmayeur per ricordare Mario Puchoz.

Questi rapporti amichevoli finirono d’improvviso quando, come ricorda Achille, “una volta, credo fosse il settimo anno (dunque il 1961, ndr) eravamo a mangiare da Ubaldo Rey, a un tratto Bonatti si alza, si scusa, dice che deve andare, saluta. È l’ultima volta che l’ho visto, subito dopo ha cominciato con le sue accuse”. Achille non riuscì mai a spiegarsi la ragione del mutamento e restò, di fronte a quelle accuse, prima stupito e poi indignato. Penso che all’inizio avesse sottovalutato la situazione, sapendo di avere la coscienza pulita e so che il professor Desio gli aveva consigliato di lasciar perdere, pensando che tutto si sarebbe calmato. Purtroppo non fu così.

Achille non riuscì mai a spiegarsi la ragione del mutamento e restò, di fronte a quelle accuse, prima stupito e poi indignato.

Fernanda Mossini

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