Curiosità

Come funzionano i tessuti impermeabili e traspiranti?

Qualsiasi attività si svolga in montagna, rimanere asciutti è una priorità: che si tratti di acqua, neve o sudore, è di fondamentale importanza non perdere ulteriore calore in un ambiente in cui ci si trova spesso ad avere a che fare con vento e basse temperature. Per non parlare delle scarpe: piedi bagnati e vesciche vanno a braccetto, e queste ultime riescono benissimo a rovinare anche i panorami migliori. Ma come funzionano i tessuti impermeabili di cui ci ricopriamo, e come fanno a essere anche traspiranti?

Una questione di equilibrio

Innanzitutto è essenziale considerare che la nostra sensazione di benessere corrisponde a quando la temperatura corporea è in equilibrio, ovvero quando la quantità di calore prodotta equivale a quella che disperdiamo. Per conduzione si trasferisce calore da un oggetto caldo a uno freddo e se i nostri vestiti sono bagnati la dispersione avviene più velocemente. Nel caso del vento, se questo riesce a passare attraverso quello che indossiamo, ci priva del calore che era accumulato vicino alla pelle. Questa dispersione diventa però utile quando siamo surriscaldati: infatti il sudore che evapora ci rinfresca, ed è importante che i tessuti che indossiamo quando facciamo attività fisica non rimangano bagnati a contatto con la pelle, come fa ad esempio il cotone. Meglio optare, quindi, per tessuti tecnici appositamente studiati per questo uso.

Fondamentalmente i compiti di questo tipo di tessuti sono due: bloccare pioggia e neve per mantenere corpo e vestiti asciutti e fornire una via di fuga al sudore per evitare di bagnarli dall’interno mentre si fa attività fisica. Questo tipo di tecnologia ha debuttato quando è stata introdotta la prima giacca GORE-TEX® nel 1978, con una membrana in politetrafluoroetilene espanso: questo materiale è composto da circa 1,4 miliardi di micropori/cm² che impediscono all’acqua allo stato liquido di entrare (ciascun foro è circa 20.000 volte più piccolo di una goccia d’acqua), mentre quella allo stato gassoso – vapore (che è quasi un migliaio di volte più piccolo della pioggia) – riesce a passare attraverso. Nel corso degli anni questa tecnologia è diventata più avanzata e complessa, ottenendo risultati sempre migliori.

L’impermeabilità

Ma come si misura l’impermeabilità? Il metro adottato a livello internazionale, in base alle prove previste dalla norma ISO 811, si misura in colonne d’acqua: si prende un campione di tessuto, su cui viene poggiato un cilindro di di 2,54 cm di diametro (un pollice). All’interno del cilindro viene aggiunta acqua finché la pressione sul materiale diventa così grande da farla penetrare. In sintesi, quindi, più alta è la colonna d’acqua, più la pressione aumenta, più il tessuto è impermeabile. Gli indumenti fino a 5.000mm resistono a una pioggerellina leggera, tra 5.000 e 10.000 si comincia ad avere un po’ più di protezione, ma è al di sopra che si iniziano ad avere capi in grado di resistere a condizioni atmosferiche davvero avverse. La buona notizia è che se una giacca protegge dalla pioggia, lo farà anche dal vento (non è sempre vero il contrario, invece).

L’importanza della traspirazione

Quando si pensa alla traspirazione, invece, un aspetto da considerare è che, quando si suda, l’aria all’interno della giacca diventa più calda e umida rispetto a quella all’esterno: per raggiungere l’equilibrio, quindi, parte di quel calore e dell’umidità migra verso l’esterno attraverso i micropori. Temperatura e umidità, perciò, sono in grado di influire sulle prestazioni dei nostri capi, anche se quelli moderni hanno fatto passi da gigante rispetto alle giacche di prima generazione. Certo è che se si suda molto e ci si allena in un’afosa giornata estiva, anche la capacità traspirante potrebbe non bastare.

Il trattamento DWR

Molti capi impermeabili, poi, sono sottoposti a uno speciale trattamento ultra-sottile idrorepellente a lunga durata (DWR), ossia un polimero applicato sullo strato di tessuto più esterno. Questo impedisce alle gocce di pioggia di impregnare la superficie e compromettere la traspirabilità della membrana o del rivestimento sottostante, riducendo la tensione superficiale del tessuto. Se il trattamento DWR non è danneggiato o svanito, quindi, visivamente l’acqua dovrà formare delle goccioline rotonde sull’indumento e scivolare via quando questo viene inclinato. L’uso costante e l’esposizione a lozioni solari, sporco, detersivi, repellenti per insetti e altri materiali, però, può compromettere la durata del trattamento. In quel caso, si vedranno le gocce “allargarsi”, appiattirsi, diffondersi e penetrare, saturando lo strato esterno del capo e facendo avvertire una sensazione di freddo, che si percepisce come umidità, come se ci fosse una perdita nel tessuto anche se così non è.

Come preservare le qualità dei nostri capi

È molto importante la manutenzione di questi capi: se ce ne si prende cura in modo corretto si potrà sia contare su prestazioni durature, sia ridurre l’impatto sull’ambiente. Meglio lavarli in lavatrice a 40°C con tutte le tasche chiuse in modo che le cerniere non danneggino nulla, usare poco detergente liquido risciacquando molto bene, centrifugare poco e non utilizzare detersivi in polvere, ammorbidenti, smacchiatori o candeggina. Per asciugarli sarebbe preferibile l’asciugatrice (in cui passare il capo una ventina di minuti da asciutto per riattivare il trattamento DWR), ma se non l’abbiamo è possibile lasciare il capo all’aria e successivamente stirarlo proteggendolo con un panno. Si può effettuare questa operazione ogni volta che l’idrorepellenza sembra essere meno efficace. Nel caso non funzioni, significa che è necessario riapplicare un idrorepellente a lunga durata, in formato spray o da aggiungere durante il lavaggio. Nel caso di calzature o guanti, meglio fare riferimento alle indicazioni specifiche.

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