Arrampicata

Alex Honnold realizza HURT, epico concatenamento di 14 vie nel Red Rock Canyon

Nell’estate del 2020, carichi di energie post lockdown, Alex Honnold e Tommy Caldwell si cimentavano in un epico concatenamento nel Parco Nazionale delle Montagne Rocciose ribattezzato CUDL, Continental Divide Ultimate Linkup. 17 le vette raggiunte, 11 le vie classiche percorse, 56 i km affrontati, con un dislivello di 6.000 metri circa, il tutto in 36 ore. Una esperienza che è stata per Honnold fonte di ispirazione per un nuovo concatenamento, stavolta nei pressi di casa, nel Red Rock Canyon, portato a termine a metà ottobre 2022: HURT, Honnold’s Ultimate Red Rock Traverse. In sole 32 ore ha percorso 56 km, affrontato 7.000 metri di dislivello, concatenando 14 vie classiche e toccando una ventina di cime (il numero preciso è da considerarsi variabile, come vedremo più avanti) lungo lo skyline di Red Rock.

Esattamente come per il CUDL, il cui nome è stato scelto anche con rimando agli abbracci (cuddle) “per come si sta caldi di notte”, come spiegavano provati al termine dell’avventura Alex e Tommy, anche HURT rimanda a una sensazione, il dolore. Come chiarito da Honnold, “il nome deriva da come mi sono sentito dopo aver lavorato su ogni segmento”.

Una “semplice” combinazione di vie e vette

In estrema sintesi, il progetto ha visto Honnold combinare “tutte le vie di arrampicata classica (14 in totale, tra cui la celebre Epinephrine, multipitch sulla Black Velvet Wall, teatro di sfide in velocità tra Alex e l’amico Brad Gobright, tragicamente scomparso nel 2019, nda) e tutte le cime che potevo nel modo più semplice che potevo trovare”. I commenti in calce al post in cui ha annunciato di aver raggiunto l’obiettivo lasciano qualche dubbio sul concetto di “semplicità” espresso da Honnold.

“Qualcosa mi dice che ci vorrà parecchio tempo prima che venga ripetuto – scrive Caldwell – . Bel lavoro amico mio. Decisamente epico.”

C’è anche da aggiungere che le cifre sopra riportate, in riferimento a chilometri percorsi e dislivello, potrebbero essere sottostimate. “Potrebbe essere un po’ di più – ammette il protagonista dell’impresa – perché il GPS è in qualche modo inaffidabile sulle vie di arrampicata. La mia traccia leggeva 68 km e 8.200 metri di dislivello quando ho finito, ma poi l’ho modificata in seguito per rimuovere tutti gli scarabocchi derivanti dalle pareti verticali. Quindi la realtà è da qualche parte nel mezzo. Non che i numeri gli rendano davvero giustizia: il terreno è così complicato e confuso che è davvero difficile muoversi.”

Come racconta l’amico Maury Birdwell su Climbing.com in un articolo in cui HURT viene definito con ironia “l‘ultima assurdità di Alex Honnold”, per realizzare l’impresa tutta d’un fiato, Alex ha dovuto letteralmente esplorare la zona, disegnare un percorso su un terreno per gran parte privo di sentieri. Non sono mancati incidenti, che non hanno però scalfito la sua voglia di farcela. Importante è risultato anche essere il supporto offerto dall’ultrarunner locale, Chris Gorney, che ha condiviso tracce GPS di alcune sezioni complicate e ha anche accompagnato Alex per un tratto del percorso.

A supportare a livello logistico (ed emotivo) il climber di Sacramento nelle sue 32 ore di avventura, oltre a Gorney e a Birdwell, la inseparabile Sanni McCandless e altri due amici, Brett Lowell e Pete Mortimer, proprietario della Sender Films.

14 vie classiche e 18/23 vette

Come anticipato, Honnold ha affrontato 14 vie classiche e salito una ventina di vette, per la precisione, come sottolineato da Birdwell “18 cime vere, 23 se contiamo anche quelle più sciocche”.

Di seguito il recap delle vie:

  1. Tunnel Vision,
  2. NE Arete Bridge
  3. Dark Shadows
  4. [in discesa] Cat in the Hat
  5. Community Pillar
  6. [in discesa] Olive Oil
  7. Aquarium
  8. Armatron
  9. [in discesa] Myster Z
  10. Crimson Chrysalis
  11. Bird Hunter Buttress
  12. [in discesa] Solar Slab
  13. Inti Watana
  14. Epinephrine

E delle vette:

  1. White Rock Peak
  2. Goodman Peak
  3. Duderino and Buffalo Wall (registrate ma considerate “sciocche”)
  4. Sandstone North
  5. North Peak
  6. Bridge
  7. Bridge Point
  8. Mescalito
  9. Magic Mountain
  10. Rose Tower
  11. Jackrabbit Buttress (“se questa è una cima”, cit. Honnold)
  12. Juniper Peak
  13. Cloud Tower (come punto 11)
  14. Bench below the Rainbow Wall (registrata ma considerata “sciocca”)
  15. Rainbow Wall
  16. Rainbow East
  17. Mt Wilson
  18. South Summit Mt Wilson
  19. White Pinnacle
  20. Indecision Peak
  21. Hidden Peak
  22. Black Velvet Peak

Un finale incerto

Il viaggio su roccia di Alex è iniziato lunedì 10 ottobre alle 6:15 del mattino, con la salita della prima via, Tunnel Vision e il raggiungimento della prima cima, White Rock Peak. Da lì è andato avanti a razzo, come sottolinea Birdwell, bruciando le tappe e arrivando alla decima via della giornata con 3 ore di anticipo rispetto ai programmi.

La stanchezza ha iniziato a farsi sentire qualche ora dopo il tramonto, in procinto di attaccare il Mt Wilson. Ma non ha mollato. Ulteriore titubanza è stata mostrata una volta raggiunto l’Indecision Peak. Ma di fronte alla difficile scelta tra dichiarare chiusa l’avventura o racimolare ancora un po’ di energie per raggiungere il Black Velvet Peak, Alex ha optato per stringere i denti e proseguire, “perché c’è un valore nello scegliere un obiettivo e nel fare ciò che avevi detto che avresti fatto, non si può semplicemente smettere quando è difficile“. A fornirgli sostegno sul finale è stato Birdwell, che lo ha accompagnato in salita sull’ultima via, Epinephrine.

Come egregiamente sintetizzato da Sanni McCandless, si è trattato di uno sforzo erculeo. “Questo non era un obiettivo facile da affrontare, tra gli impegni da padre e quelli quotidiani, ma la tua motivazione e la tua volontà di spingerti oltre sono una grande cosa.”

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