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Cosa ne sarà della Endurance di Sir Ernest Shackleton?

Il 2022 verrà ricordato dagli appassionati di esplorazioni polari come l’anno del ritrovamento della leggendaria Endurance, il vascello che avrebbe dovuto accompagnare sir Ernest Shackleton a realizzare la prima traversata dell’Antartide, rimasto incagliato tra i ghiacci del Mare di Weddell nel novembre 1915 e successivamente inabissatosi, scomparendo nell’oscurità del fondale marino antartico per oltre 100 anni. Una spedizione che, pur non portando Sir Shackleton a raggiungere il suo ardito obiettivo, lo consacrò come eroe, per essere riuscito a portare in salvo il suo equipaggio. Sono trascorsi 7 mesi dal ritrovamento della nave a una profondità di 3.008 metri e a circa quattro miglia (6,4 km) a sud della posizione originariamente registrata dal capitano della nave Frank Worsley, nell’ambito della spedizione Endurance22 della Falklands Maritime Heritage Trust (FMT), e ancora non è chiaro quale sarà il suo destino.

L’ipotesi di un recupero

Nei giorni dell’annuncio al mondo della preziosa scoperta, la FMT aveva tenuto a sottolineare che scopo della spedizione fosse localizzare, indagare e filmare il relitto tramite veicoli di ricerca subacquea e condurre in contemporanea importanti ricerche scientifiche e un eccezionale programma di sensibilizzazione, senza alcun intervento invasivo sul reperto. Dichiarazione che dunque avrebbe escluso piani di recupero dal fondale. Ma in questi mesi qualcosa è cambiato. Di recente il direttore della Endurance22, Mensun Bound, ha infatti rivelato che la nave potrebbe essere riportata in futuro in superficie.

La motivazione alla base di una simile scelta? Il rischio che il vascello, nonostante si sia egregiamente conservato nelle acque gelide dell’Oceano Antartico finora, possa andare incontro nei prossimi decenni a una degradazione delle sue parti organiche.

Una patata bollente

L’ipotesi di un recupero, come evidenziato da Mensun Bound nel corso di una conferenza a Londra, è da considerarsi una delle varie idee al vaglio degli esperti, aggiungendo che nella valutazione del cosa fare della Endurance vada tenuto conto del forte peso decisionale della famiglia Shackleton, cui molto verosimilmente appartiene la nave. Poco dopo il ritrovamento della Endurance, la nipote dell’esploratore, Alexandra Shackleton, aveva dichiarato che avrebbe preferito vederla restare al suo posto.

Nel caso in cui si optasse per riportarla in superficie, risulterebbe essenziale valutare accuratamente il metodo adeguato di conservazione e definire quale museo sia pronto ad accoglierla. Un percorso “che potrebbe richiedere una eternità come un giorno”.

La questione del se lasciare il vascello al suo destino naturale o trasferirlo in un ambiente asciutto e sicuro ove possa essere preservato per le future generazioni, rappresenta di fatto una “patata bollente”, egregia espressione di sintesi scelta da Bound.

Di certo la nave sarà oggetto di nuovi studi. Mensun Bound ha rivelato che stia progettando di tornare a guardare da vicino quello che definisce come il relitto in legno più bello mai visto. Una scatola del mistero, ricca di tesori d’antiquariato che la tecnologia subacquea consentirà di osservare, senza arrecare danno. Verranno inoltre condotte ricerche di biologia marina perché la nave “è una incredibile oasi in una vasta pianura”. 

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