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Ice Memory, la “carota” di ghiaccio del Gran Sasso è partita per Venezia e l’Antartide

Dalle profondità del ghiacciaio del Calderone, l’unico dell’Appennino e il più meridionale d’Europa, sono riemersi dei frammenti di piante, e alcuni insetti vissuti molti secoli fa.  Studiandoli con l’ausilio del carbonio-14, gli scienziati dell’Istituto Scienze Polari del CNR, dell’Università Ca’ Foscari di Venezia e degli altri istituti coinvolti nel progetto Ice Memory potranno ricostruire il clima del Gran Sasso e dell’Italia in passato.

La presenza degli insetti e dei frammenti vegetali è solo una piccola parte del risultato della missione scientifica sul Calderone, che si è conclusa tra il 30 aprile e il 1 maggio. Nonostante l’ondata di maltempo che ha investito l’Abruzzo tra Pasqua e il ponte del 25 aprile, e che ha trasformato i quattro o cinque giorni previsti in quasi due settimane di lavoro, i ricercatori arrivati da Venezia e da altre parti d’Italia hanno estratto dalle viscere del Calderone una “carota” di ghiaccio lunga 27,2 metri. Dopo qualche giorno di sosta nelle celle frigorifere dell’Istituto Zooprofilattico di Teramo il ghiaccio, diviso in sezioni di un metro di lunghezza, è ripartito con un furgone frigorifero in direzione del Veneto. Le analisi inizieranno nelle prossime settimane, e richiederanno molto tempo.

La memoria del ghiaccio

Il progetto Ice Memory, cioè “Memoria del ghiaccio”, è stato ideato dal professor Carlo Barbante dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, che oggi dirige l’Istituto di Scienze Polari del CNR. L’obiettivo è di ricostruire il clima del passato, estraendo dalle colate delle Alpi, dell’Appennino e di altre catene montuose del pianeta gli strati di ghiaccio che si sono formati nel corso dei secoli, e poi analizzando il loro contenuto. In questo modo, dalle profondità dei ghiacciai, sono tornate alla luce le scorie dell’eruzione che ha distrutto Pompei e di quella, molto più antica, che ha devastato l’isola Santorini, nell’Egeo. Analizzando le “carote” di ghiaccio i ricercatori hanno trovato le tracce dei gas di Chernobyl, ma anche delle esplosioni nucleari di Hiroshima, Nagasaki e dei test compiuti durante la Guerra Fredda. Sono state scoperte e studiate anche le scorie create da attività pacifiche ma inquinanti dell’uomo, dalla lavorazione del piombo da parte degli antichi Romani fino alla Rivoluzione industriale.  

La ricerca sulle “carote” di ghiaccio è iniziata tra gli anni Sessanta e Settanta. Negli anni scorsi i glaciologi veneziani, insieme ai loro colleghi francesi dell’Università di Grenoble, agli svizzeri del Paul Scherrer Institut e agli italiani dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia e del Programma Nazionale per le ricerche in Antartide, hanno lavorato sulle colate del Monte Bianco e del Monte Rosa, oltre i 4000 metri di quota. 

Nel prossimo autunno, se arriveranno l’autorizzazione del governo della Tanzania e i fondi necessari, i ricercatori saliranno sui 5895 metri del Kilimanjaro, in Tanzania. Quel ghiaccio sull’Equatore, descritto da Ernest Hemingway, è destinato a sparire in pochi anni. Poi, e per lo stesso motivo, toccherà alle colate più vicine all’estinzione sulle Alpi, come quelle della Marmolada sulle Dolomiti, e del Canin e del Montasio sulle Alpi Giulie, in Friuli. Estrarre una “carota” dal Calderone del Gran Sasso, a causa della sua posizione, era ancora più urgente. 

La carota del Calderone

A metà marzo, il glaciologo Jacopo Gabrieli, coordinatore della missione dell’ISP-CNR, è salito insieme ai suoi colleghi fino ai 2650 metri del Calderone, che è stato misurato con elettromagnetometro e georadar. A Pasquetta il gruppo è tornato ai Prati di Tivo, ed è risalito verso il rifugio Franchetti. Per terminare il lavoro, come abbiamo già detto, è stato necessario scavalcare qualche giornata di maltempo 

Hanno collaborato alle giornate di Ice Memory sul Calderone il Comune di Pietracamela, due produttori di equipaggiamento per l’outdoor come AKU e Karpos, la Sezione di Roma del Club Alpino Italiano e il rifugio Franchetti, gestito da Luca Mazzoleni. Fondamentale l’aiuto dei Vigili del Fuoco dei reparti volo di Roma Ciampino e Pescara, che hanno messo a disposizione un elicottero AW-139 e una “gru volante” Erickson S-64, che ha trasportato fino ai 2670 metri del ghiacciaio la macchina carotatrice del peso di 45 quintali. 

Il lavoro è stato particolarmente faticoso a causa delle condizioni meteo avverse, e della necessità di scavare nella neve una profonda trincea per piazzare la base della carotatrice. Dopo qualche giorno al Franchetti siamo stati costretti a scendere dal maltempo, poi siamo risaliti, ancora con sci e pelli di foca” spiega Jacopo Gabrieli. “La perforazione è stata difficile perché il ghiaccio era “plastico” e intriso d’acqua, e la punta del perforatore non riusciva a incidere la sua superficie” prosegue il ricercatore.

La missione scientifica sull’unico ghiacciaio dell’Appennino è stata seguita con attenzione a Pietracamela, il borgo ai piedi del versante teramano del massiccio. “Il Gran Sasso è un grande luogo della scienza, come dimostrano i Laboratori sotterranei dell’INGV, l’Osservatorio astronomico di Campo Imperatore e il Gran Sasso Science Institute dell’Aquila” commenta l’assessore Salvatore Florimbi. “Ci piacerebbe se anche sul nostro versante nascesse una struttura permanente dedicata alla ricerca e alla divulgazione scientifica. Il lavoro compiuto nei giorni scorsi sul Calderone dall’ISP-CNR e da altri enti è un primo passo, e un augurio

Nei prossimi anni, come abbiamo già raccontato, parte del ghiaccio raccolto sul Calderone e sui ghiacciai delle Alpi durante le missioni dell’ISP-CNR e degli altri istituti che collaborano al progetto Ice Memory verrà trasferita in Antartide, in una base italo-francese a 3000 metri di quota. Una soluzione che permetterà di conservare i segmenti delle “carote” di ghiaccio al riparo dagli effetti del riscaldamento climatico. E che li lascerà a disposizione dei glaciologi di oggi, e di quelli di domani. 

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