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Piccozza, bici e ramponi, l’Appennino di Emanuele Ludovisi

Chi ama i titoli a effetto potrebbe sintetizzare questa storia con la frase “due ottomila in una settimana”. Nella sua sfacchinata di pochi giorni fa Emanuele Ludovisi, gestore del rifugio Rinaldi del Terminillo e atleta specializzato in corsa in montagna, ha messo in carniere ben 8000 metri di dislivello in bicicletta, e altrettanti a piedi sulla neve e sul ghiaccio dell’Appennino. Uno dopo l’altro, in un febbraio soleggiato e mite ma con qualche nevicata improvvisa, Ludovisi, 39 anni, residente ad Ardea sulla costa a sud di Roma, ha raggiunto i 2476 metri del Monte Vettore (Sibillini), i 2454 del Gorzano (Monti della Laga), i 2793 del Monte Amaro (Maiella) e i 2486 del Velino. “Tetto” del suo viaggio con bici, piccozza e ramponi sono stati i 2912 metri del Corno Grande, la cima più alta del Gran Sasso e dell’intero Appennino. 

Il viaggio

Pensavo a un concatenamento invernale da qualche anno, e all’inizio pensavo di farlo a piedi, portando i bagagli su un mulo. Poi ho capito che sarebbe stato complicato, perché il mulo dev’essere accudito, ha bisogno di cibo e non può essere lasciato solo alla base dei sentieri” spiega Emanuele Ludovisi. “Sarebbe stato un viaggio lento, di una ventina di giorni. Allora ho scelto la bici, con le gomme chiodate. Quando sono partito il mio mezzo, con il sacco a pelo, il fornello, la tenda e il cibo per una settimana pesava 52 chili. 

Il primo giorno, l’8 febbraio 2022, Emanuele è sceso dal Terminillo fino a Vazia, e poi ha pedalato sulla via Salaria, evitando i tratti a quattro corsie, fino a Pescara ed Arquata del Tronto, devastate dal terremoto del 2016. Una dura salita in bicicletta lo ha portato ai 1536 metri di Forca di Presta, dove ha passato la notte in tenda.  L’indomani è salito al rifugio Zilioli e al Monte Vettore, la cima più alta dei Sibillini. Dopo essere tornato alla strada, è dovuto scendere fino a Norcia per trovare un meccanico capace di riparare il cambio della bici. Dopo una notte a Capricchia, frazione di Amatrice ai piedi dei pendii della Laga, è salito al Monte Gorzano, il “tetto” della catena e del Lazio, nel bosco e poi per una cresta di neve. “Da questo lato non lo conoscevo, è stata una gran bella salita” racconta. 

Spingendo sui pedali, attraverso Antrodoco, Sella di Corno e L’Aquila, Emanuele ha raggiunto Fonte Cerreto, ai piedi della funivia del Gran Sasso. Dopo una notte in tenda, senza utilizzare l’impianto, è salito alla cresta della Portella e poi ai 2912 metri del Corno Grande. La neve caduta nelle ore precedenti ha rallentato l’ascensione ma non l’ha impedita. Dopo un’altra notte a Fonte Cerreto, una lunghissima giornata in bicicletta lo ha portato al Passo San Leonardo, ai piedi della Majella. In tutto, con la bici, ho percorso poco più di 600 chilometri” racconta ancora Emanuele Ludovisi. “Tre tappe, tutte oltre i 100 chilometri cadauna, sono state molto dure, roba da una decina di ore. Le altre sono state più tranquille. L’unico problema meccanico è stato quello dedl primo giorno, al cambio”.

Per compiere la quarta ascensione del viaggio, verso il Monte Amaro della Majella, Emanuele ha seguito la “direttissima”, la Rava della Giumenta Bianca, un canalone che esce a poca distanza dalla cima. Poi è sceso in bici sotto una nevicata a Pacentro, ha traversato la conca di Sulmona, nonostante la pioggia ha affrontato e superato il valico di Carrito. Un lungo tratto pianeggiante, accanto alla piana del Fucino, lo ha portato a Rosciolo, ai piedi del versante occidentale del Velino. L’ultima ascensione faticosa del viaggio, da Santa Maria in Valle Porclaneta, ha visto Emanuele superare i 1500 metri di dislivello verso la cima del Velino. Poi una pedalata quasiu pianeggiante, per Borgorose,la valle del Salto e Grotti, lo ha portato ai piedi del Terminillo. Il 15 febbraio, l’ultimo giorno, ha affrontato la salita verso Pian de’ Valli e Campoforogna, utilizzata più volte dal Giro d’Italia. La salita finale dal rifugio Sebastiani ai 2216 metri del Terminillo, per il breve Canalone Centrale, è stata una sgambata senza problemi.  

Emanuele Ludovisi tra exploit e una vita da rifugista

Per Emanuele Ludovisi, il tour sulle vette innevate dell’Appennino non è stato il primo exploit faticoso. Negli anni scorsi l’atleta di Ardea ha partecipato per tre volte all’Ultra Trail du Mont-Blanc, la corsa lungo il Giro del Monte Bianco, con come miglior piazzamento un ottimo nono posto. Nell’Italia centrale, in estate, ha seguito di corsa, in una settimana, il Cammino Naturale dei Parchi, un trek di 170 chilometri da Roma fino ai piedi del Gran Sasso. 

Dopo le tre partecipazioni all’UTMB non ho più avuto voglia di competizioni, e ho scelto sfide diverse” racconta Emanuele. “Rispetto al Cammino, quando ho corso per 10 e più ore ogni giorno, la pedalata e le ascensioni dei giorni scorsi sono state un’esperienza rilassante, che mi ha consentito di guardarmi intorno e pensare. In futuro mi piacerebbe qualcosa di più lungo e impegnativo, magari in Himalaya. Mi sto guardando intorno”. 

Qualunque itinerario Emanuele sceglierà, non potrà affrontarlo in estate. La gestione del rifugio Rinaldi, storica struttura della sezione di Rieti del CAI sui 2108 metri del Terminilletto, è iniziata qualche anno fa quasi per gioco, ma poi è diventata un lavoro impegnativo. In passato il rifugio era aperto saltuariamente, e il pubblico era poco. Negli ultimi anni l’ho tenuto aperto in maniera continuativa in estate, quando per i rifornimenti uso i muli. Apro anche in molti weekend d’inverno, quando la fatica è molta, il guadagno poco, ma i visitatori apprezzano molto i miei sforzi, e spesso decidono di tornare in estate”. A creare qualche problema, soprattutto d’inverno, è la posizione del rifugio Rinaldi, su una vetta ben visibile da Pian de’ Valli e Campoforogna, i due centri turistici del Terminillo. “In tutte le stagioni molti telefonano per venire qui a pranzo, senza rendersi conto che ci sono 400 metri di dislivello a piedi” sorride Emanuele Ludovisi. 

D’inverno il sentiero estivo scompare, e l’itinerario che conduce da Campoforogna al rifugio ha carattere alpinistico, e dev’essere affrontato con i ramponi ai piedi. Chi pensa di salire con ramponcini o ciaspole rischia di mettersi nei guai. Spesso, anche quando dovrei fare altro, sono costretto a rispondere a chi mi telefona, a informarlo, a invitarlo a non mettersi nei guai”. I gestori dei rifugi, sull’Appennino più che altrove, hanno un ruolo fondamentale anche per la sicurezza in montagna.   

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