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Il grande successo del nuovo rifugio Sebastiani del Velino e il futuro dell’Appennino

Nel cuore dell’Appennino c’è un rifugio che sembra nuovo di zecca. In realtà la struttura che la sezione di Roma del CAI ha dedicato a Vincenzo Sebastiani, alpinista, sciatore e vigile del fuoco caduto durante la Grande Guerra, è stata inaugurata nell’autunno del 1922, e sta quindi per festeggiare il suo primo secolo di vita. Ma il rifugio Sebastiani, che sorge sui 2102 metri del Colletto di Pezza, nel massiccio del Velino, negli ultimi due anni è stato completamente trasformato. La storia del brutto anatroccolo e della sua rinascita nelle forme di un cigno è vecchia come il mondo. Ma la trasformazione della vecchia e scomoda casetta di pietra nel confortevole rifugio di oggi sorprende gli habitué della zona.

Come abbiamo raccontato più volte i lavori, rallentati dal Covid-19 e dai 5-6 metri di neve dell’inverno 2020-‘21, sono stati interrotti nella scorsa estate per consentire qualche settimana di apertura. Tra settembre e ottobre gli interventi sono stati completati, e il nuovo rifugio è stato inaugurato in condizioni invernali, con l’apertura degli ultimi weekend. Ricordiamo che l’accesso invernale al Sebastiani, con la chiusura delle strade sterrate che conducono da Campo Felice alla Valle Leona e dal Vado fino al Capo di Pezza, è molto più lungo di quello estivo, e richiede circa 3 ore da entrambi i lati. La distanza, piacevole per gli escursionisti a piedi o con le ciaspole e per gli scialpinisti, complica il lavoro per i gestori. 

Grazie al bel tempo, e alla poca neve sul terreno, nei fine-settimana di gennaio e di inizio febbraio il Sebastiani è stato preso d’assalto. Nonostante le regole ancora imposte dal Covid (per entrare occorre il Super Green Pass, il numero degli ospiti è contingentato), centinaia di appassionati hanno raggiunto la struttura.  Siamo orgogliosi del lavoro fatto, l’affetto degli appassionati di montagna per il Sebastiani è evidente. Fino a marzo, i posti per dormire nei weekend sono tutti prenotati” sorride Eleonora Saggioro, che gestisce il rifugio da molti anni insieme alla cooperativa Equorifugio. 

I lavori per il nuovo rifugio, iniziati nel 2020, sono stati diretti dall’architetto Daniele Costanzo, socio del CAI di Roma, e seguiti dall’ingegner Massimo Caratelli, presidente della Commissione rifugi sezionale. Tutte le imprese coinvolte, invece, hanno sede in Abruzzo. I progettisti hanno scelto di non eliminare il vecchio rifugio, che è stato “inglobato” in una struttura moderna, comoda e ben riscaldata d’inverno. Mentre la sala da pranzo principale è rimasta quella degli anni scorsi, la zona-notte è stata raddoppiata fino a 22 posti (meno con le regole del Covid). Un’altra sala, con grandi finestre, consente di mangiare in vista del Gran Sasso, e di vedere nelle albe di bel tempo il sole che sorge dal Mare Adriatico. La nuova e spaziosa cucina, e delle camere confortevoli, hanno reso più facili la vita e il lavoro dei gestori, che per anni hanno lavorato in degli spazi minimi. I nuovi bagni e i nuovi serbatoi per l’acqua piovana contribuiscono al confort. Gran parte della spesa, di circa 350.000 euro, è stata sostenuta dalla Sezione di Roma del CAI e dal CAI nazionale. Un primo crowdfunding promosso da Eleonora Saggioro ha portato in cassa altri 30.000 euro, un secondo lanciato con Legambiente e l’ENEL ne ha forniti altri 7.000, che l’ENEL come da accordi ha raddoppiato. Accanto al rifugio, insieme alle bandiere dell’Italia e dell’Unione Europea, sventola il vessillo del Parco Sirente-Velino. Ma il successo del Sebastiani, che è un fiore all’occhiello dell’area protetta abruzzese, pone anche degli interrogativi per il futuro.

Al contrario che sulle Alpi, dove queste strutture abbondano, sull’Appennino Centrale fino a oggi i rifugi sono stati pochissimi. A causa delle condizioni ambientali, due delle strutture del Club Alpino Italiano (il Duca degli Abruzzi e il Franchetti al Gran Sasso) vengono gestiti solo in estate. Da qualche anno, però, i rifugi dell’Appennino si moltiplicano. Lontano dalle strade lavorano anche con la neve l’Ecorifugio Cicerana del Parco d’Abruzzo, Lazio e Molise, il rifugio Rinaldi sul Terminilletto e il rifugio Cima Alta del Gran Sasso. Sono in posizione più comoda il rifugio Viperella sui Simbruini, l’Angelo Sebastiani del Terminillo, il Casali dei Sibillini e il Pomilio della Majella. Il rifugio Lago Racollo del Gran Sasso è strangolato dalla mancata apertura della strada da Santo Stefano di Sessanio. 

“Il successo del nuovo Sebastiani dimostra che i frequentatori della montagna hanno voglia di rifugi confortevoli, e sono disposti a faticare per arrivarci. La domanda crea delle possibilità di lavoro. Credo che il CAI, e anche i Parchi, debbano fare una riflessione” spiega Eleonora Saggioro. Negli ultimi anni, grazie alle sezioni del Club Alpino o ad altre associazioni, sono nati nuovi punti di appoggio. Il CAI di Ascoli Piceno ha ricostruito lo Zilioli al Vettore, il CAI dell’Aquila sta rifacendo il rifugio Antonella Panepucci, ai piedi del Monte San Franco. Iniziative importanti, ma che hanno dato vita a dei bivacchi, dove non è prevista la presenza di gestori” prosegue la custode del Sebastiani. In qualche caso, come allo Zilioli, credo che non ci fossero alternative, a causa della posizione e della mancanza d’acqua. Altrove, però, credo sia giusto realizzare delle strutture abbastanza grandi, e confortevoli per chi le gestisce, da creare lavoro per i gestori conclude Eleonora Saggioro. 

Nessuno, nell’Appennino centrale, pensa a grandi strutture come quelle delle Dolomiti, e il nuovo Sebastiani e il Franchetti dimostrano che con 20-30 posti letto si può lavorare. Ma riusciranno il Club Alpino Italiano e i Parchi, che pure hanno l’ecoturismo nella loro legge istitutiva, a varare dove possibile delle strutture di questo tipo? 

La questione è aperta, riguarda anche la Regione Abruzzo e le sue vicine, sarà inevitabilmente al centro dei festeggiamenti per il nuovo Sebastiani che la Sezione di Roma del CAI organizzerà in estate e in autunno. In quei giorni, al rifugio si arriverà per comodi sentieri segnati. Adesso, ed è bene ricordarlo, la neve e il ghiaccio impongono un’attrezzatura (ciaspole, oppure ramponi, oppure sci) e un’esperienza adeguata. Chi non ce l’ha la possiede deve rivolgersi alle guide alpine, o agli altri accompagnatori autorizzati.       

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Un commento

  1. L’autore di questo articolo ha in passato pubblicato un libricino con i numerosissimi rifugi e bivacchi dell’Appennino centrale; personalmente mi sono dedicato, grazie alle dettagliate informazioni, ad andare a scoprire, come si presentavano dal vero, quelli che si trovano nel Parco Nazionale di Abruzzo-Lazio-Molise.
    In questa area protetta non è certo consentito costruirne di nuovi, ma essendoci una quarantina di costruzioni esistenti, sicuramente qualcosa si potrebbe fare.
    Alcuni Comuni hanno anche investito dei finanziamenti per interventi di manutenzione, ma da qui a farli funzionare la strada è ancora lunga.
    Poichè il numero dei posti all’interno non supera quasi mai i 10/12, sono pochissimi quelli che possono consentire un gestore fisso, ma il problema può essere attenuato con un buon sistema di prenotazioni.
    Per quanto riguarda l’Ente Parco, che ne possiede 7/8, malgrado il centenario dalla Costituzione, non risulta che abbiano in programma di agevolare/incrementare l’apertura al pubblico per uso escursionistico.

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