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Perché non parliamo della spedizione invernale al K2 di Grace Tseng

Da anni seguiamo con passione la stagione invernale sugli 8000 raccontandovi di uomini e donne che sfidano l’aria sottile in condizioni estreme all’unico scopo di “conquistare l’inutile”. Abbiamo riportato i loro progressi, i loro pensieri e le difficoltà, giorno dopo giorno. Abbiamo scritto tante parole di gioia e, purtroppo, troppe di dolore. Una cronaca che ci ha sempre accompagnati durante i mesi dell’inverno, anche quest’anno. Con una eccezione. I più attenti avranno notato che dopo l’annuncio dell’inizio della spedizione al K2 di Grace Tseng non abbiamo più dato aggiornamenti. Una mancanza la nostra che non è dettata dalla disattenzione, ma che è una precisa scelta editoriale, che desideriamo spiegarvi.

Montagna.tv ha avuto da sempre una posizione chiara sull’alpinismo a cui dare attenzione e risalto. Non abbiamo mai nascosto, malgrado alcune critiche, il fatto che l’alpinismo commerciale himalayano non ci piace. Nonostante siamo consapevoli che ci sono alpinisti di livello che in questi anni hanno fatto uso delle spedizioni commerciali per avere un passaggio sugli 8000, forse non bello, ma conveniente e a volte necessario.

Avremmo potuto semplicemente ignorare l’esistenza di questo tipo di alpinismo, ma sarebbe stato miope e superficiale da parte nostra e così ne abbiamo parlato come fenomeno, di come si è evoluto e abbiamo spiegato le tante criticità dell’aver trasformato l’alpinista in turista d’alta quota.

Quello che non abbiamo raccontato sono le vette raggiunte dai clienti di queste spedizioni, per coerenza con il nostro pensiero di alpinismo, che preferisce la sfida onesta tra l’alpinista e la montagna, il più possibile senza aiuti esterni come il supporto degli sherpa in quota o ossigeno supplementare. Ci sono stati casi in cui abbiamo derogato questa regola ed è avvenuto perché il progetto alpinistico, sebbene non by fair means, era meritevole di essere raccontato e aveva un interesse alpinistico. Un esempio fra tutti la prima salita invernale del K2 con l’ossigeno supplementare dei 9 nepalesi (il decimo, Nirmal Purja, è salito senza). Un’impresa unica, che entra nella storia senza se e senza ma. Certamente questa performance potrà essere migliorata in futuro con uno stile diverso, ma quello sarà il secondo passo dopo il primo che ha reso possibile l’impossibile.

In questa stagione invernale sugli 8000 abbiamo raccontato di Barmasse e Gottler al Nanga Parbat, di Moro e Txikon al Manaslu e di Kobusch all’Everest. Tre spedizioni molto diverse nello stile e nelle modalità, ma che hanno in comune un approccio leale alla montagna. Stiamo raccontando però anche dei nepalesi al Cho Oyu, che saliranno con corde fisse e ossigeno e lo stiamo facendo perché il progetto di apertura di una nuova via sul difficile versante nepalese merita attenzione. Non ha invece per noi alcun interesse alpinistico quello che sta succedendo al K2 dove sei sherpa stanno lavorando, con ossigeno, sulla montagna per consentire alla loro cliente, con ossigeno, di raggiungere la vetta. Un passo indietro rispetto all’anno scorso e di certo, non quello in avanti che ci auguravamo per l’alpinismo invernale.

La spedizione al K2 di quest’anno non ha per noi nulla che sia riconducibile all’essenza dell’alpinismo, se non l’essere su una montagna, che andrebbe anch’essa rispettata.

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