Ambiente

Anche le orchidee salgono in quota sulle Alpi, e non è una buona notizia!

Il cambiamento climatico sta alterando i paesaggi montani, e negare tale evidenza richiede sempre più coraggio. Una nuova prova di quella che più volte ci siamo trovati a descrivere come una “scala verso il cielo”, seguita dalle specie alla ricerca di nuovi habitat, fuggendo da quegli ambienti un tempo in grado di garantire condizioni ottimali di sopravvivenza, arriva dal Parco Adamello Brenta, in Trentino. Nei mesi scorsi i botanici del Museo Civico di Rovereto hanno infatti scoperto, a una quota record di oltre 3000 metri, poco sotto la cima della Lobbia Alta (3196 m), delle orchidee spontanee.

Una orchidea da record

Come si legge nella nota diffusa dal Museo sul proprio sito istituzionale, “lo straordinario ritrovamento nel Gruppo dell’Adamello testimonia la risalita altitudinale delle specie in cerca di habitat più adatti a causa del riscaldamento climatico.”

L’orchidea selvatica in cui si sono imbattuti nel corso di un monitoraggio i due botanici, Alessio Bertolli e Giulia Tomasi, si chiama Coeloglossum viride. Si tratta di una piccola orchidea a distribuzione circumboreale con areale esteso dal Nord-America all’Eurasia. In Europa è ampiamente diffusa, specialmente sui rilievi montuosi: a nord dall’Islanda agli Urali, a sud dalla Spagna al Caucaso. Non è facile da notare! Ha fiorellini medio-piccoli di tinta variabile verde o verde-giallognola, più o meno intensamente sfumata di porpora fino a quasi interamente porpora-brunastra. Le dimensioni della pianta variano fra 5-30(40) cm di altezza a seconda dell’ecologia e dell’altitudine.

“La stazione, costituita da due piccoli gruppi di piante fertili che si trovano rispettivamente a 3144 e a 3150 m, rappresenta il nuovo record altitudinale per un’orchidea spontanea in Europa si legge ancora nella nota – . I precedenti record appartenevano sempre al Coeloglossum viride trovato nel 2016 a 3092 m sul Monte Unterrothorn (Zermatt, Svizzera) e a alla specie Nigritella rhellicani trovata nel 2017 a 3002 m in Alto Adige.”

Il ritrovamento è in fase di stampa sul Journal Europäischer Orchideen, la principale rivista europea interamente dedicata alle orchidee spontanee e vede come autori, oltre agli scopritori, anche altri due ricercatori della Fondazione Museo Civico di Rovereto: Filippo Prosser, conservatore della sezione botanica e Giorgio Perazza, uno dei massimi esperti di orchidee spontanee in Italia.

Sempre sulla Lobbia Alta, dove il Museo monitora ogni 15 anni i cambiamenti floristici in atto, è stato rinvenuto a 3130 metri di quota un esemplare di larice (Larix decidua) alto 35 cm. Anche in questo caso si può probabilmente parlare di record altitudinale assoluto per la specie. Anche questa scoperta sarà oggetto di una pubblicazione scientifica

Un problema che non nasce ieri

Gli effetti del cambiamento climatico, con riferimento specifico alle Alpi, stanno diventando oggi sempre più rilevanti ma il problema non è certo nato ieri. Il surriscaldamento globale, che attualmente si cerca di frenare in una sfida contro il tempo, è un processo iniziato decenni fa. E per decenni purtroppo si è fatto molto poco.

In questo lasso di tempo le specie vegetali, che sono estremamente sensibili a parametri quali umidità e temperatura, hanno iniziato ad avvertire che qualcosa stesse cambiando e ben presto si sono messe “in cammino” verso quote più elevate. Tale fenomeno è comprovato da studi scientifici fin dagli anni Cinquanta.

“E questo comporta che fra qualche anno il paesaggio vegetale alpino potrà essere notevolmente diverso dall’attuale – evidenzia il Museo di Rovereto – con aree verdi e boscate a quote molto più elevate e con rarefazione di una serie di specie spontanee dalle basse quote che non saranno in grado di far fronte ai cambiamenti climatici sempre più rapidi e all’ingresso prepotente di specie esotiche.”

Chi rischia di più?

“La scoperta di un’orchidea ad altitudini così elevate non fa che confermare come il riscaldamento climatico in atto abbia conseguenze dirette sulla flora alpina con risalite delle piante a quote più elevate e con velocità sempre crescente, in cerca di situazioni ecologiche più idonee – commenta Alessio Bertolli – . Nel medio-lungo periodo è possibile prevedere che maggiormente a rischio potranno essere le specie tipiche di alta quota, che soprattutto a livello prealpino non avranno possibilità di trovare habitat più freddi rispetto agli attuali. I monitoraggi sono importantissimi per documentare questi cambiamenti e sensibilizzare rispetto al pericolo di riduzione o perdita della diversità biologica, ed eventualmente gestire, ove possibile, le transizioni”.

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