Ambiente

Come stanno gli stambecchi delle Orobie? Ce lo dice la citizen science

Il ritorno dello stambecco alpino sulle Alpi Orobie è un evento piuttosto recente. Sono trascorsi infatti poco più di 30 anni dall’avvio del progetto di reintroduzione, promosso dalla regione Lombardia negli anni Ottanta. Nel 1990 furono 87 gli esemplari trasferiti in Alta Val Seriana. Venti anni più tardi un censimento fornì conferma dell’efficacia del progetto, evidenziando, nell’estate 2008, la presenza di ben 1026 esemplari sulle Orobie. Oggi in totale sull’arco alpino (Francia, Svizzera, Italia, Austria, Germania e Slovenia) si contano 178 colonie di stambecco, per un totale stimato di esemplari superiore a 53.000, distribuiti tra i 1500 e i 3000 metri di quota. In occasione del 30° anniversario dell’avvio del progetto “Stambecco Lombardia” è stato realizzato il progetto “Citizen science: Stambecco Orobie”.

Il progetto, svolto nel triennio 2017/2019 nelle Alpi Orobie su commissione della sezione bergamasca del Club  Alpino Italiano (CAI) e dalla Commissione Scientifica del CAI, ha permesso di raccogliere 2.530 osservazioni fotografiche di stambecco grazie alla collaborazione dei cittadini e, come vi raccontavamo lo scorso anno, ha portato alla realizzazione di una mappa di distribuzione dello stambecco orobico.

L’iniziativa è infatti nata con un duplice obiettivo:

  • coinvolgere ed educare cittadini, escursionisti ad un’osservazione consapevole della biodiversità/fauna selvatica ed in particolare degli stambecchi;
  • monitorare, attraverso le immagini, la distribuzione e stato di salute della popolazione di stambecchi a 30 anni di distanza dalle prime operazioni di reintroduzione.

I risultati di 3 anni di progetto sono stati di recente pubblicati sulla rivista scientifica Biogeographia – The Journal of Integrative Biogeography.

“Una ricerca innovativa – racconta Luca Pellicioli, coordinatore scientifico progetto e autore della pubblicazione – condotta secondo i principi della ‘citizen science’ che è un metodo di lavoro che permette a tutti i cittadini ed escursionisti di inviare segnalazioni che una volta validate vanno a costituire un archivio di dati utili per sostenere la ricerca scientifica.”

Dalle foto ai dati

Annualmente la popolazione è stata invitata a collaborare al progetto dal 1 giugno al 30 novembre. Un compito semplice ma da svolgere con accuratezza: scattare una foto in caso di avvistamento, inviarla ai profili Instagram o Facebook del progetto (massimo 5 foto per partecipante), aggiungendo dettagli tecnici (nome del fotografo, data, ora, altitudine, descrizione del sito e coordinate GPS). Le foto inviate sono state sottoposte a valutazioni quotidiane da parte di una commissione scientifica che ha provveduto ad inviare feedback agli autori per poi procedere alla pubblicazione sui social degli scatti.

Ogni immagine è stata analizzata per definire correttamente specie, sesso, età, altitudine dello scatto, codice identificativo dell’animale e ambiente circostante. Tutte informazioni successivamente caricate in un database.

Per rendere il lavoro ancora più divertente, annualmente è stato indetto un contest fotografico per premiare gli scatti più belli. Una iniziativa che ha fatto bene alla scienza ma anche al turismo, aprendo le porte a una nuova forma di fruizione esperienziale delle Orobie.

Un progetto che piace al pubblico

Sul totale dei tre anni di progetto sono state inviate ben 2530 foto: 612 nel 2017, 803 nel 2018 e 1115 nel 2019. Gli autori sono stati 735 “citizen scientists” (225 nel 2017, 248 nel 2018, 262 nel 2019), con un 76% di rappresentanza maschile e 24% femminile. Il 38% delle immagini è stata scattata nei pressi di sentieri, al di sopra di 2300 metri di quota.

Cosa ci dicono le foto

A distanza di quasi 10 anni dall’ultimo censimento dello stambecco, effettuato nel 2012, la georeferenziazione delle immagini scattate dai cittadini ha consentito di valutare che le aree più frequentate dalla specie si siano espanse progressivamente.

Molto interessante è notare che non siano stati avvistati ibridi di stambecco – capra domestica, al contrario di altre zone alpine. Dalle foto è stato anche possibile dedurre informazioni sullo stato di salute degli esemplari. In alcuni casi è stato possibile monitorare sui 3 anni il medesimo esemplare. Alcuni maschi hanno evidenziato danneggiamenti ai corni (anche caduta totale), dovuti all’età o combattimenti. E in casi fortunati è stato possibile seguire la caduta del corno.

Sono stati anche notati stambecchi affetti da Trombicula  autumnalis e Dichetobacter nodosus. Non sono stati invece evidenziati casi di cheratocongiuntivite.

In merito al 38% di scatti al di sopra dei 2300 metri, gli esperti hanno ipotizzato che la ragione di una maggiore presenza della specie a tali quote sia da legarsi a rivalità territoriali con altri ungulati che vivono a quote inferiori.

Anche le variazioni del clima nell’arco di un decennio, chiariscono i ricercatori, hanno per certo giocato un ruolo chiave nella modifica dei comportamenti della specie, addirittura nelle modalità di accrescimento del corno.

Costi bassi e grandi risultati

La mole di dati interessanti per la scienza raccolti attraverso il progetto, assume valore ancor maggior se si considera i bassi costi di gestione. E l’effetto educativo nei confronti della popolazione.

Per tale ragione, come si legge in conclusione del paper, i promotori del progetto ritengono che “il metodo utilizzato possa essere applicato con successo allo studio della popolazione dello stambecco alpino, e possa essere utilizzato insieme ai normali monitoraggi biologici di attività e censimenti delle specie, assicurando una modalità di investigazione non invasiva, importante soprattutto nelle aree protette.”

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