Stambecco bianco? Più probabile che si tratti di un ibrido

Le immagini del presunto stambecco bianco avvistato di recente in Valle di Susa, Piemonte, hanno fatto in poco tempo il giro del web. La collettività ha accolto la notizia, diffusa dalla Città metropolitana di Torino, con immenso stupore e gioia. Un esemplare di tal genere rappresenta infatti una rarità. Lo sanno bene gli abitanti delle Alpi, dove lo stambecco bianco è un animale avvolto dalla leggenda. Ben presto sono giunti chiarimenti in merito da parte sia del Comprensorio Alpino TO3 – Bassa Valle Susa e Val Sangone, che dall’Ente di gestione delle aree protette delle Alpi Cozie. Con alta probabilità non si tratterebbe di uno stambecco bianco ma di un ibrido tra capra domestica e stambecco.

Le precisazioni del Comprensorio Alpino TO3

“In merito al Comunicato stampa pubblicato ieri dalla Città Metropolitana di Torino e subito diffuso da molti organi di stampa, per onor di verità, desideriamo raccontare il reale andamento della vicenda, smentendo la superficiale informazione, farcita anche di un clamoroso e ripetuto errore tecnico (il termine “leucista” non esiste, quello corretto è “leucistico”)  che è stata divulgata”, scrive il Comprensorio Alpino TO3.

“Innanzitutto, nessuno ha mai confermato che l’animale di cui si è parlato nelle ultime settimane sia uno stambeccoevidenzia il comunicato – . Anzi, come ha ripetutamente ipotizzato il Prof. Rossi nel corso delle due uscite di monitoraggio organizzate in collaborazione col Comprensorio Alpino TO3 e la Città Metropolitana, è molto verosimile che si tratti di un ibrido tra stambecco e capra domestica. Tale ipotesi potrà essere avvalorata mediante indagini genetiche per le quali sarà necessario disporre di campioni biologici dell’animale ottenuti, ad esempio, tramite la raccolta delle fatte o eventualmente per mezzo di tele anestesia e successivo prelievo di sangue. Ma sul come e quando dovranno essere effettuati tali approfondimenti saranno le Istituzioni competenti a decidere, così come dovranno definire le azioni tese alla salvaguardia del patrimonio stambecco qualora fosse confermata l’ipotesi dell’ibrido e se si accertasse la sua fertilità”.

Dalla segnalazione ai sopralluoghi

“In secondo luogo – prosegue il Comprensorio – , è opportuno precisare che, dopo la prima segnalazione effettuata il 5 novembre scorso da un cacciatore autorizzato al prelievo selettivo di un camoscio (segnalazione peraltro confermata da esaustiva e ben definita documentazione fotografica), il Comprensorio Alpino TO3 ha iniziato a monitorare l’animale in questione impegnando nelle osservazioni due volontari e direttamente il proprio personale dipendente nelle giornate del 13 e 17 novembre al fine di consentire un sicuro avvistamento il 18 novembre, giorno programmato per il sopralluogo del Prof. Luca Rossi dell’Università di Torino e di un funzionario della Città Metropolitana. In effetti, in quella giornata, i dipendenti del CATO3 Barini e Borgo hanno accompagnato i suddetti esperti sul Monte Palon dove, insieme ad un gruppo di altri 23 stambecchi, hanno avvistato l’esemplare bianco, di sesso maschile e privo di corna, osservandolo per alcune ore, anche a breve distanza, e acquisendo una preziosa documentazione video-fotografica. Nella giornata di sabato 21 novembre, alla quale si riferisce il comunicato diffuso a mezzo stampa, è stato organizzato un secondo sopralluogo a cui hanno partecipato, oltre al tecnico faunistico del CATO3 Borgo e al Prof. Rossi anche due agenti della Funzione specializzata tutela fauna e della flora della Città Metropolitana di Torino e il giornalista della Rai Maurizio Menicucci accompagnato dalla sua troupe. Ciò al fine di registrare in loco un servizio televisivo su questo curioso animale e sentire a riguardo il parere autorevole del Prof. Rossi, il quale opportunamente intervistato, ha illustrato con dovizia di particolari le osservazioni effettuate e spiegato quella che può essere considerata come l’ipotesi più probabile, ovvero un incrocio tra capra domestica e stambecco, non tralasciando le eventuali criticità che potrebbero derivarne”.

Ente Parchi Alpi Cozie: “Un evento non raro”

Ulteriori chiarimenti giungono dall’Ente di gestione delle aree protette delle Alpi Cozie, cui è affidata la gestione del SIC – ZSC Rocciamelone, all’interno del quale ricade anche l’area dell’avvistamento.

“A seguito dei sopralluoghi effettuati dal Comparto Alpino CATo3 e dalla Città metropolitana di Torino insieme al professor Luca Rossi dell’Università di Grugliasco, la presenza di un esemplare leucistico, cioè con il mantello bianco anziché con la tipica colorazione marrone, è stata nuovamente confermata. “Nuovamente” perché la sua presenza nel periodo invernale alle pendici del Rocciamelone è nota ai guardiaparco delle Aree protette delle Alpi Cozie da due o tre stagioni, tanto che la segnalazione precisa è da tempo correttamente inserita nella banca dati regionale e sulla piattaforma iNaturalist (progetto Aree protette Alpi Cozie)”, sottolinea l’Ente in un comunicato a cura di Luca Giunti.

“Si tratta di un episodio raro ma non infrequente. Talvolta esemplari albini, quindi con gli occhi rossi accompagnati da alcune patologie, oppure solo bianchi, come nel nostro caso, compaiono qua e là nelle popolazioni selvatiche di ungulati. Di solito la selezione naturale limita la loro vita e le loro possibilità riproduttive, sia perché più deboli e fragili dei loro simili, sia perché dotati di minore sex-appeal (in etologia si chiama proprio così) e quindi scartati nelle scelte per gli accoppiamenti”.

“In questo caso, conoscendo il territorio e le sue frequentazioni – prosegue il comunicato – , non può escludersi che si tratti di un animale ibrido, un incrocio fra gli stambecchi e qualcuna delle capre domestiche che da qualche anno si sono rinselvatichite e vivono libere, talvolta accompagnandosi proprio con gli stambecchi. Il nome latino dello stambecco, Capra ibex, ci ricorda che si tratta di specie sorelle che possono facilmente fecondarsi. Capre della razza Saanen, ad esempio, sono biancastre, spesso prive di corna e di dimensioni analoghe a quelle fotografate (e, per amor di scherzo, il loro nome ricorda l’espressione piemontese “A ssa nén” che si attaglia bene alla situazione visto che significa “non si sa…”). E proprio sotto la vetta del Palon resiste il toponimo “Passo della Capra” frequente in montagna ma sempre di difficile discriminazione tra domestico o selvatico. Capre ferali imbrancate con stambecchi sono presenti in molte realtà alpine, anche nelle limitrofe Valli di Lanzo”. 

Il progetto Lemed Ibex

Nel comunicato del Parco viene fatto cenno anche al progetto di monitoraggio e di gestione dello stambecco dal lago di Ginevra (Léman) al Mediterranneo”Lemed Ibex”.

“Durante il progetto Lemed Ibex del quale il Parco Alpi Cozie è stato partner attivo, sono state effettuate ripetute campagne di monitoraggio, catture selettive, prelievi di campioni biologici, analisi genetiche e posizionamento di radiocollari su tutte le Alpi occidentali, dal Lago Lemano alle Marittime, compresa l’area del Rocciamelone. Il progetto è concluso e i suoi risultati definitivi saranno pubblicati a breve, ma secondo le analisi genetiche effettuate dall’Università di Zurigo non sembra essere presente una introgressione di geni di capra domestica particolarmente elevata. Al momento questo significa solo che non era presente nei campioni raccolti e sarà necessario proseguire le ricerche, ma durante le attività di campo estive l’esemplare bianco non è mai stato osservato. Insieme alle altre segnalazioni, questo conferma che probabilmente arriva solo nel periodo invernale, forse seguendo il naturale impulso all’aggregazione dei maschi intorno a dicembre, la stagione degli amori degli stambecchi. È difficile però immaginare che possa avere un buon successo riproduttivo, perché fra gli stambecchi la dominanza che prelude all’accoppiamento con le femmine viene ogni anno stabilità a suon di cornate. Un maschio senza corna, bianco o nero che sia, è evidentemente escluso in partenza da questa competizione”.

Rimane la meraviglia…

“Va ancora ricordato si legge in conclusione – che lo stambecco alla fine dell’800 è stato sulla soglia dell’estinzione. Ne erano rimasti solo un centinaio di esemplari tutti concentrati nell’area del Gran Paradiso. La protezione accordata prima dalla riserva di caccia del re e poi dall’istituzione del primo parco nazionale italiano ne ha permesso dapprima il recupero e poi, a partire dagli anni ‘90 del Novecento, la reintroduzione di piccoli nuclei in varie aree vocate delle Alpi. Nelle Cozie, prima nei Parchi Val Troncea e Orsiera-Rocciavrè, poi alle pendici del Rocciamelone, a Rochemolles (Bardonecchia), intorno al Rifugio Mariannina Levi (Exilles). Da questi pionieri, che conservano comunque un patrimonio genetico piuttosto ridotto, si sono originate le popolazioni che oggi in buon numero coprono le Alpi occidentali. Rimane la meraviglia e il fascino per un animale diverso dagli altri, dal mantello candido, al quale si sono ispirate leggende, mitologie, documentari e film come Tutta colpa del Paradiso di Francesco Nuti (1985)”.

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